Hotel Rigopiano, le ore del disinganno: i familiari dei dispersi fra rabbia e disillusione

La giornata della disillusione. Si cammina nervosamente nella fredda sala d’attesa del pronto soccorso di Pescara. Si cammina, ci si abbraccia, si prega, ci si dispera. È proprio l’attesa, questa lunga ed estenuante attesa, che unisce ormai da oltre settantadue ore i parenti delle persone sommerse dalla slavina che ha colpito l’hotel Rigopiano. Il papà di Stefano Faniello, con un berretto blu in testa e circondato dagli amici, piange mentre varca la porta per incontrare i medici. Piange perché il nome del figlio ieri sera compariva nella lista ufficiale delle persone vive da estrarre dalle macerie. Oggi sarebbe stato il giorno dell’abbraccio e invece di Stefano non si hanno notizie. La fidanzata Francesca Bronzi, salvata ieri, dal suo lettino del reparto chiede di lui: “Mia figlia sta bene ma vuole sapere di Stefano”, racconta il papà Gaetano, felice di avere Francesca accanto sana e salva ma con questo senso di angoscia. L’angoscia di chi si era illuso e adesso si sente ingannato: “Com’è possibile che c’era stato detto che era vivo?”.

Lassù, a Rigopiano, si continua a scavare in condizioni avverse e con oltre cinque metri di neve. “Si continua a lavorare con grande determinazione, con grande forza, con grande professionalità e con ogni mezzo per trovare le persone che sono lì sotto. Noi continuiamo a coltivare speranza”, dice il viceministro dell’Interno, Filippo Bubbico, dopo aver incontrato i familiari. “Arrabbiati? Hanno ragione ad essere arrabbiati, perché soffrono”, risponde. In realtà qualcosa non ha funzionato. Lo dice anche Francesca Bronzi che ha criticato, viene riferito dai parenti, “la mancanza di organizzazione e di informazioni ufficiali”. Stanca, provata, “non avevamo cibo, non avevamo acqua, mi trovavo in uno spazio piccolissimo e mangiavo la neve”, spera che sotto quella neve, diventata ghiaccio, ci sia ancora il suo Stefano, come le era stato promesso. Ma adesso, nel reparto di rianimazione dell’ospedale di Pescara, dove vengono portati i sopravvissuti, lui non c’è.

Poco più in là sbuca da una porta scorrevole lo zio di Samuel: “Io devo dire qualcosa a mio nipote. Gliela devo dire”. Il bimbo di sette anni chiede di mamma e papà, che solo ieri erano stati considerati tra le persone sopravvissute e oggi invece sono di nuovo nella lista dei dispersi. Era stato il primo cittadino di Osimo, citando fonti della polizia e familiari a dare la notizia che l’intera famiglia Di Michelangelo ce l’aveva fatta. E invece si spera e si attende ancora, mentre sale la rabbia di chi non riesce ad avere notizie, e se ne ha sono poche e confuse: “Ogni quattro ore dovrebbero dirci qualcosa, e invece niente. Dov’è il prefetto?”, è arrabbiatissimo lo zio Alessandro.

Ricoverata c’è anche Giampaolo Matrone, lui è salvo, è vivo, è fuori dalle macerie. Lei, Valentina Cicioni, è ancora dispersa. Nessuno vuole dare voce al terrore che si avveri l’ipotesi peggiore. La speranza dà forza ad amici e parenti della coppia trentenne di Monterotondo, hinterland romano, che martedì scorso aveva lasciato la figlioletta ai nonni per cercare un po’ di relax tra i monti dell’Abruzzo.

Composti, silenziosi. Seduti sui gradini di questa enorme sala d’attesa ci sono una ventina di ragazzi. Circondano Piergiovanni Di Carlo, non lo hanno mai lasciano solo in questi tre giorni, ieri hanno gioito con lui, oggi sono di nuovo sconvolti e increduli. “Siamo compaesani, gli amici della piazza di Loreto Aprutino”, racconta uno di loro al bar mentre sorseggia una coca cola: “Ieri avevano detto che insieme al piccolo Edoardo si erano salvati anche la mamma e il papà, e invece…”. E invece oggi il fratello più grande ha dovuto riconoscere il corpo senza vita della mamma Nadia. Del papà Sebastiano non si hanno notizie.

E pensare che la zia Simona, ieri, aveva portato la pizza per tutti i parenti e gli amici in attesa: “Sono salvi, sono salvi, me lo hanno confermato”, ha detto a cronisti e telecamere. Il clima era diverso, gli stessi ragazzi ridevano e scherzavano, in una notte poi è cambiato di nuovo tutto e nessuno si aspettava questo epilogo. “Edoardo sta bene”, racconta ancora uno degli amici: “Ha chiesto al fratello grande, Riccardo, se può avere dei giocattoli. Vuole giocare, sta bene, forse lo ha capito, forse no”. È una barriera di protezione quella attorno a Piergiovanni, che abbassa lo sguardo a terra quando qualcuno si avvicina dicendo: “Speriamo per papà”. Gli amici si stringono tutti in un abbraccio, con al centro lui, pacche sulle spalle di incoraggiamento: “Dobbiamo aspettare domani”. Forse qualche giorno in più. Intanto tutti i parenti sono stati portati in un’altra sala dell’ospedale. Questa volta al caldo. Ancora ad attendere.
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Rigopiano, i parenti dei dispersi tra speranza e rassegnazione: “Mio figlio sarà morto di freddo”

È una notte di speranza nel centro di coordinamento di Penne. Forse l’ultima. È una notte di rassegnazione davanti all’obitorio dell’ospedale di Pescara, dove questa mattina sono arrivati i corpi senza vita dei due ragazzi morti intrappolati nell’hotel Rigopiano. I Vigili del Fuoco nel tardo pomeriggio stazionano davanti la porta della camera mortuaria in attesa che, su un’autoambulanza, arrivi la terza vittima tirata fuori dalle macerie e da una montagna di neve. I genitori sono in arrivo per compiere il triste rito del riconoscimento. L’ennesimo dal 24 agosto, quando il terremoto ha causato quasi trecento vittime.

I parenti delle persone coinvolte nel crollo del Rigopiano e di cui non si hanno notizie sono radunate a Penne, in una stanza all’interno dell’ospedale. “Speriamo, speriamo”, dice una donna, che poi scoppia in lacrime. Ore e ore di attesa e di paura. Due papà scendono dalla montagna piangendo. Sono i genitori di Stefano Faniello, 28 anni, e di Stefania Bronzi 25: “Era la loro prima vacanza insieme, sono fidanzati ed erano venuti qui per fare qualche giorno di relax. Speriamo che siano vivi, devono essere vivi insieme”. Ma i loro occhi sono pieni lacrime.

Secondo qualcuno, le persone presenti in albergo forse hanno trovato rifugio nel centro benessere al piano inferiore, ma è l’ultima speranza a cui ci si aggrappa in questa notte, anche se i cani dell’unità cinofila non rilevano presenze ormai da molte ore. “Siamo tutti all’oscuro, non sappiamo niente di niente”, dice il padre di una ragazza, la quale ha mandato un ultimo sms alle quattro del pomeriggio di ieri spiegando che non riusciva ad andar via dall’albergo per la colpa della troppa neve, che voleva scappare ma non potere muoversi. E infatti lo spazzaneve non è mai arrivato lassù, a 1200 metri di altezza dove sorgeva il resort diventato come l’hotel Roma di Amatrice una trappola umana.

A tarda sera, secondo i calcoli della Protezione civile, i dispersi dell’hotel Rigopiano dovrebbero essere 29, si continua a scavare anche di notte. “È la speranza il motore dei soccorsi, senza speranza i soccorritori non lancerebbero il cuore oltre l’ostalo”, dice Fabrizio Curcio. Ma gli occhi dei parenti, nella saletta dell’ospedale di Penne, sono quasi spenti: “C’erano tantissimi ragazzi, erano tutti i giovani i ragazzi che lavorano lì”. Qualcuno ha voglia di dire qualcosa, tanti altri preferiscono restare in silenzio e nel dolore. Sperando in ciò che anche loro considerano impossibile: “Mio figlio sarà morto di freddo”. Lungo i corridoi e nelle varie sale dell’ospedale di Penne ci sono una quindicina di psicologhe: “Cerchiamo di stare vicini a queste persone in momenti terribili e difficili – spiega una delle volontarie – in questo momento non c’è altro da fare che attendere e stare loro vicini. Li aiuta molto anche il fatto di essere in connessione tra loro – prosegue la psicologa – non è una situazione facile e c’è bisogno di sostegno”.

Si dispera, dal letto del reparto di Rianimazione di Pescara, Giampiero Parete, il,38enne di Montesilvano che si è salvato per puro caso: “Mia moglie aveva mal di testa e aveva bisogno di una medicina che era in macchina. Allora sono uscito dall’albergo e sono andato in auto. Mentre tornavo verso l’hotel ho sentito rumori e scricchiolii e ho visto la montagna cadere addosso all’edificio. Ha travolto anche me, ma parzialmente. Ho visto gran parte dell’albergo ricoperto dalla neve”. Poi piange e si dispera perché sotto ciò che resta dell’hotel Rigopiano ci sono ancora la moglie e i due figli di 6 e 8 anni. Le speranze sono ormai ridotte a lumicino e domani, nell’obitorio di Pescara, potrebbe continuare il lungo tragico rito del riconoscimento delle vittime.
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