David alla carriera a Roberto Benigni: “La vita è bella me lo ha detto il cinema. Questo premio è di Nicoletta”

“La vita è bella me lo ha detto il cinema. Il premio è di Nicoletta”. Standing ovation per il regista e attore Premio Oscar Roberto Benigni, vincitore del David di Donatello alla Carriera. A consegnarglielo, tra gli applausi scroscianti della platea, il regista Giuliano Montaldo, presidente ad interim dell’Accademia del Cinema Italiano.

“È un premio che mi scalda il cuore e in una serata come questa, con una platea che neanche il Papa a San Siro, mi inorgoglisce ancora di più”, ha detto il comico toscano. “Il cinema rende il mondo meno estraneo e nemico, è l’arte della vicinanza”, ha ricordato nel suo speach che è stato un vero e proprio inno alla Settima Arte e all’amore. Dopo aver ricordato che “la vita è bella- me lo ha detto il cinema” e che “il cinema italiano è il più grande del mondo”, Benigni, visibilmente emozionato, ha voluto dedicare il premio a sua moglie, Nicoletta Braschi. “Il premio appartiene a lei, perché è da sempre al mio fianco, e mi piacerebbe che sia lei a dedicarlo a me”.
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Uomo assolto dall’accusa di violenza: “La donna ha detto solo ‘basta’, non ha urlato”

L’ha palpeggiata e lo ha ammesso, ma sostenendo che lei fosse consenziente. Lei invece non lo era, gli diceva “basta” e lo ha denunciato per violenza sessuale. Ma il tribunale di Torino le ha dato torto, assolvendo l’uomo di 46 anni perché il fatto non sussiste, proprio perché la sua vittima gli ha soltanto intimato di smetterla senza gridare, chiedere aiuto o reagire violentemente.

Stando a quanto riporta il Corriere della Sera, l’episodio è accaduto nel novembre del 2011 in vari ospedali del capoluogo piemontese, dove un dipendente della Croce Rossa ha molestato più volte la sua collega, autista barelliere, più giovane e assunta molto più di recente. L’assoluzione è stata motivata in base alla “debole” reazione della donna alle molestie.

La donna “non riferisce di sensazioni o condotte molto spesso riscontrabili in racconti di abuso sessuale, sensazioni di sporco, test di gravidanza, dolori in qualche parte del corpo”. Infine, rimarca il collegio tutto femminile, Laura, quando le viene chiesto cosa ha provato su quelle barelle, risponde: “Disgusto”. “Ma – scrive la presidente di sezione – non sa spiegare in cosa consisteva questo malessere”. “Non grida, non urla, non piange – rimarca la corte – pare abbia continuato il turno dopo gli abusi”.

I giudici, quindi, non le hanno creduto, tanto che, oltre al danno, per la donna ci sarà anche la beffa.

Non solo dovrà accettare il fallimento della sua causa. Ma dovrà rispondere di calunnia, perché la prima sezione penale presieduta dalla giudice Diamante Minucci ha trasmesso gli atti al pubblico ministero non ritenendo “verosimile” la sua versione dei fatti.

Ma perché non ha gridato o strattonato l’uomo che la palpeggiava? La donna lo ha spiegato nel corso del processo.

“Uno il dissenso lo dà, magari non metto la forza, la violenza come in realtà avrei dovuto fare, ma perché con le persone troppo forti io non… io mi blocco”. Le crisi di pianto avevano interrotto più volte una testimonianza sofferta, a tratti confusa, vaga nei dettagli, sia perché si tratta di fatti risalenti nel tempo – l’imputato era stato arrestato dalla polizia nel novembre 2011 – sia perché l’emozione aveva probabilmente fagocitato la lucidità del riportare dettagli […] Secondo la versione della parte lesa, [l’uomo] l’avrebbe costretta a presunti rapporti sessuali “come pegno per poter continuare a lavorare» ed evitare turni scomodi o in luoghi come il Cie”.

I legali della donna hanno annunciato il ricorso.
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