Salvatore Romeo: “Io e Virginia Raggi sapevamo delle cimici in Campidoglio, siamo andati sul tetto 15 volte”

“Io e Virginia Raggi sapevamo delle cimici in Comune dal secondo giorno di governo della città. Sul tetto ci saremo andati quindici volte, quel giorno mangiavamo un panino, come sempre, poi è uscita fuori quella foto ed ecco che è scoppiato un caso”. Lo afferma Salvatore Romeo, ex capo della segreteria politica in Campidoglio, in un’intervista al Messaggero in cui chiede che il contenuto della chat con Raggi, Marra e Frongia non venga reso noto.

“Se ci sono gli omissis nelle carte dell’inchiesta, tali devono rimanere, perché non hanno rilevanza penale”, dichiara Romeo. “Faccio un esempio: se io le scrivo in una chat che sono innamorato di lei, e poi viene pubblicato, la gente penserà che io e lei siamo amanti anche se non è vero. E se avrò detto, faccio un altro esempio, che mi piaceva una segretaria, non penso che sia interessante la pubblicazione di questo dialogo”.

Romeo, che si definisce “un grillino in vacanza” in attesa di tornare al suo vecchio lavoro lunedì, dice di aver “pagato” per difendere la sindaca. “Il mio passo indietro lo considero un atto di responsabilità necessario per consentire alla giunta di andare avanti serenamente. E soprattutto per difendere Virginia dagli attacchi interni”. Quanto a Raffaele Marra, “ho pagato il nostro rapporto privilegiato. Io non sono un gargarozzone, un ingordo di potere, non faccio parte di questo mondo. Non voglio mettere in difficoltà il mio sindaco. In questa città bisogna lavorare, se ci sono degli ostacoli è un problema”.

“La mia conoscenza con Raffaele – racconta Romeo – è iniziata nel 2013 quando lui era il mio capo di dipartimento. Sicuramente ci sarà stato un errore di valutazione evidente da parte mia. Ma i fatti che gli vengono addebitati sono precedenti al suo rapporto con il M5S che nessuno di noi conosceva”.
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E Matteo Renzi segretario prepara la nuova scalata al Pd. La mission: evitare la congiura delle correnti

La prima cosa che un parlamentare renzianissimo chiede quando al telefono gli leggiamo il sondaggio di Scenaripolitici per Huffington Post secondo cui Matteo Renzi deve restare il leader per il 52 per cento degli elettori del centrosinistra è: “Ma gli altri sono uniti o no?”. Vale a dire: tra i vari Franceschini, Orlando, Bersani, Orfini e tutti gli altri, c’è un nome che spicca e c’è qualcuno che manca? Tradotto: alcune di queste aree figurano come alleate oppure no? Domande non casuali perché adesso che non è più premier, adesso che gli è rimasta solo la carica di segretario del Pd, Renzi vuole evitare la ‘congiura’ della varie correnti Dem contro di lui.

Domenica a Pontassieve con la famiglia. Black out totale con i media. Non è da Renzi. Gioca ad allontanarsi dal palcoscenico per poi tornare. Aveva finanche lasciato trapelare di voler disertare la direzione del Pd domani. Ma era solo un giochetto per vedere l’effetto che fa. È durato meno di 24 ore: domani al Nazareno il segretario ci sarà. L’obiettivo ultimo è restare sulla scena ma per farlo il segretario Dem scruta i movimenti interni al Pd, pur convinto che l’unica chiave sia guadagnare consenso fuori dal partito, con un giro di ri-legittimazione in camper a partire da metà gennaio, dopo una vacanza all’estero con la famiglia per le vacanze di Natale. Anche lì, black out totale o quasi: un’assenza che resta presenza.

“Ai milioni di italiani che vogliono un futuro di idee e speranze per il nostro Paese dico che non ci stancheremo di riprovare e ripartire. Ci sono migliaia di luci che brillano nella notte italiana. Proveremo di nuovo a riunirle. Facendo tesoro degli errori che abbiamo fatto ma senza smettere di rischiare: solo chi cambia aiuta un Paese bello e difficile come l’Italia”, scrive su Facebook alle 2 di notte, appena tornato a Pontassieve dopo le trattative romane sul governo.

Ad ogni modo, domani invece Renzi sarà al Nazareno e terrà la sua relazione alla direzione del Pd riunita per la seconda volta nel giro di questa settimana di crisi di governo post-referendum. All’ordine del giorno c’è la fiducia parlamentare da accordare – pare già mercoledì – al nuovo governo Gentiloni. Ma il segretario comincerà ad abbozzare la discussione sul congresso da sviluppare poi in assemblea nazionale domenica 18 (forse a Milano).

Il timing gli è chiaro. Partenza a metà gennaio, congressi nei circoli ma soprattutto primarie a metà marzo massimo, voto a giugno. Ciò che si muove o si potrà muovere nel Pd gli è meno chiaro. Dal giorno della sconfitta, le correnti sono in fermento. L’idea di disertare la direzione domani era anche un modo per prendere le distanze dalle correnti. Puntare subito fuori dal Pd, tra quegli elettori di centrosinistra che nei sondaggi lo riconoscono ancora come leader, rivolgersi a loro piuttosto che a un partito che ormai lo sopporta. In direzione lancerà la volata per il congresso e avvierà la resa dei conti con la minoranza del no.

Ma la riflessione che lo interroga è sulla sua maggioranza nel partito. Con Franceschini c’è una sorta di tregua armata. Subito dopo la sconfitta i primi sintomi del nuovo clima, il braccio di ferro sul voto subito o meno, il segretario costretto a frenare. Prima volta che ci riescono con Renzi. Ora nasce un governo Gentiloni, voluto dal segretario che in questo l’ha spuntata. E proprio domani, mentre la direzione nazionale del Pd sarà nel pieno della discussione, il premier incaricato potrebbe salire al Colle a sciogliere la riserva. Ma d’ora in poi come si muoveranno le correnti?

Un nome: Andrea Orlando. Il guardasigilli, che dovrebbe essere confermato al dicastero di via Arenula anche nel governo Gentiloni, non è più in ottimi rapporti con Matteo Renzi, da quando il disegno di legge sul processo penale è finito sul binario morto in Senato. Argomento troppo spinoso da affrontare in campagna referendaria, messo da parte come quello sulla tortura o il cognome materno. Invece Orlando continua ad avere buoni rapporti con Gianni Cuperlo e anche con Pier Luigi Bersani. Ora: tra Cuperlo che ha votato sì al referendum e Bersani che ha votato no, c’è un divario forse incolmabile. Tanto più che Cuperlo ha cominciato a muoversi insieme con la sinistra di Giuliano Pisapia, la sinistra del sì fuori dal Pd nell’ottica di una ricostruzione del centrosinistra. Tra Orlando e Bersani però qualche renziano comincia a non escludere alleanze in nome della vecchia ditta. Operazione “nostalgia Ds” la chiamano.

Renzi non la teme, convinto com’è di avere più capacità di leadership degli altri. Ma se ne guarda lo stesso. Per lui è vitale che le altre aree si presentino divise al congresso, che non si saldino su un unico nome contro il suo. Ecco il perché del camper in giro per l’Italia. “E’ tutto da costruire”, dice un fedelissimo. Renzi si prepara a ri-scalare il Pd con il solito aiuto da fuori. Promette giri in ogni federazione e tra i giovani, coloro che più di ogni altra fascia sociale gli hanno voltato le spalle al referendum. “Le primarie sono aperte”, ricordano i suoi, convinti che questo basti a legare la maggioranza del partito alla leadership di Renzi. A cominciare da Areadem di Franceschini.

Lo scenario a cui punta il segretario è ‘io contro lo spezzatino’, insomma. Certo si ritroverà come avversari i governatori Michele Emiliano ed Enrico Rossi. C’è chi fa anche il nome di Sergio Chiamparino, per completare il quadro dei presidenti di regione candidati alla segreteria. Ma “ognuno per conto suo e senza leader”, esulta il renziano cui abbiamo letto il sondaggio di Huffington Post. Basterà?

La scommessa è così aperta che, pur ragionando ormai in termini di proporzionale o semi-proporzionale per trovare al più presto un accordo con Berlusconi e andare al voto, nella cerchia del segretario non sono più tanto sicuri nemmeno di questo. “Se l’operazione di ricostruzione della leadership di Renzi dovesse andar bene, perché non insistere sul maggioritario”, ci dice un altro renziano di prima fascia. Forse perché si allungherebbero i tempi per andare al voto, sempre che sia semplice per Renzi staccare la spina al governo del suo fidato Gentiloni a primavera. Forse, la sfida più difficile.
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Il peso delle discordie Pd sulle consultazioni di Mattarella. Nella macchina delle correnti, pressing su Renzi, Franceschini in movimento

Al Quirinale confidano che entro domenica le consultazioni possano diradare le nebbie nel campo renziano, a partire dallo stesso premier. E che non sarà necessario un secondo giro. Sarebbe auspicabile, perché in tal modo l’Italia avrebbe un governo nel pieno delle sue funzioni che la rappresenti al Consiglio europeo del 15 dicembre.

Le nebbie sono quelle che avvolgono il campo del Pd. Perché le pressioni su Matteo Renzi, affinché resti a palazzo Chigi, sono forti tra i suoi. E perché la macchina infernale delle correnti si è messa in moto. E c’è un motivo se Dario Franceschini ha risposto a parecchie telefonate con una battuta sarcastica: “Non posso parlare, sono ad Arcore a chiudere l’accordo con Silvio…”. La battuta rivela un certo fastidio per la ridda di voci sui sospetti del premier in relazione alla sue presunte trame per approdare a palazzo Chigi.

Voci che rivelano ansie, paure, sospetti nel giglio magico. “Non puoi lasciare”, “se molli a palazzo Chigi non torni più”, “se indichi un altro, poi non lo controlli”: frasi come queste Renzi le ha ascoltate decine di volte in questi giorni, da parte dei uomini più fidati. Alcune volte sono sembrate consigli strategici lucidi, altre spie dell’incertezza da perdita del potere, altre ancora preoccupazioni per i destini personali, a tutti i livelli, anche di staff e collaboratori costretti a lasciare le stanze vellutate del governo per tornare (forse) in quelle austere e poco sfarzose del Nazareno.

Nell’ultimo colloquio al Colle è sembrato che il premier pensi, però, che rimanere equivarrebbe a perdere la faccia e a dare l’impressione di essere attaccato alla poltrona, dopo l’annuncio urbi et orbi del “me ne vado, perché diverso dagli altri”. Il me ne vado però non è accompagnato da una indicazione su quel “percorso ordinato” che ha in mente il capo dello Stato e condiviso, nel primo giorno delle consultazioni, dai presidenti delle due Camere, Boldrini e Grasso, e dal presidente emerito Giorgio Napolitano: consentire la nascita di un nuovo governo che duri tutto il tempo necessario ad approvare una nuova legge elettorale, mettere in sicurezza i conti e le banche, non far sfigurare l’Italia al G7 che si svolgerà a maggio in Sicilia.

Un “percorso ordinato” che il capo dello Stato vuole avviare con consultazioni ordinate. Per questo si confida molto, tra le alte cariche, che questo fine settimana aiuti a ritrovare serenità. E porti sabato la delegazione del Pd a collaborare al percorso. E non a iniziare un gioco teso a far fallire questa o quella possibilità di arrivare a un governo, per accusare le altre forze politiche di irresponsabilità e tornare alla casella iniziale, cioè che si vada avanti con questa maggioranza – che non è mai stata sfiduciata – e con Renzi. Un (ex) ministro del Pd che ha consuetudine con ambienti del Quirinale spiega: “Il punto è che Renzi, di qui a sabato, è davanti a una scelta. Il Quirinale ha fatto capire che serve un governo per mettere mano alla legge elettorale. E gli ha fatto capire la sostanza della questione: se vuoi una soluzione faccelo sapere. Può rimanere lui, può indicare un altro. Di fatto stiamo parlando di un governo fino a primavera. Se vuoi lo sfascio te ne assumi la responsabilità. E confida che questi due giorni facciano maturare una consapevolezza”.

L’importante, al Colle, sono consultazioni ordinate per un governo ordinato. Nel disordine del Pd, per tutto il giorno, dal campo renziano è filtrato il nome di Paolo Gentiloni, la best option del giglio magico dopo Renzi perché “è uno dei nostri”. E la sua presenza assicurerebbe un minimo di continuità a palazzo Chigi. Della continuità farebbe parte anche la permanenza di Luca Lotti, nel ruolo di sottosegretario. Postazione strategica, perché nel 2017 ci sono in agenda nomine che rappresentano il cemento di qualunque governo. Già si parla, per i primi mesi del prossimo anno, di un cambio dei vertici Rai e del direttore generale del Tesoro Vincenzo La Via. E poi in primavera si passa ad Enel, Eni, Poste, Finmeccanica, Terna e tanti altri consigli di amministrazione. Le vecchie volpi del Palazzo però scommettono che, in questo quadro, “se indichi uno del Pd, in questo quadro di scontro interno, la quadra non la trovi, anzi aumenti la balcanizzazione del Pd”. Mentre Grasso e Padoan garantirebbero un clima più sereno, consentendo lo svolgimento del congresso del Pd nelle forme e nei modi opportuni, non sulla pelle del governo e del paese.
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Lotti e Nardella nel casertano dai signori delle preferenze, dove le clientele girano “come Cristo comanda”

Il Giglio Magico, nonostante l’alluvione nel Casertano, arriva nei feudi di Nicola Cosentino, detto Nick o’ mericano, dove il partito della Nazione è già nato. Luca Lotti, dopo la benedizione di De Luca jr a Salerno, è ad Aversa a sostenere le ragioni del Sì, il “cambiamento” atteso “vent’anni”. Entra nella sala gremita con Stefano Graziano, coinvolto in un’inchiesta sui favori ai clan Zagaria in cambio di appoggi elettorali. L’accusa di concorso esterno è caduta, resta l’ipotesi di voto di scambio: voti in cambio di favori. “Stefano è tornato a casa”, così la scorsa settimana a Caserta lo ha salutato il premier dal palco. In prima fila, a battere le mani, c’era Vincenzo D’Anna, cosentiniano di ferro e artefice di una lista che portò un bel po’ di voti a Vincenzo De Luca.

Accanto a Lotti anche l’europarlamentare Nicola Caputo, indagato dalla Dda di Napoli per voto di scambio. Negli atti dell’inchiesta si leggono sfarzose feste elettorali con 1800 invitati, la faccia del candidato stampata sui tovagliolini, fiumi di vino (“quello venduto anche ai cinesi”) e ragazze in minigonna “tipo quelle che stanno in America”. La Florida italiana, coi suoi sei milioni di votanti, profuma di antico. “Organizzate le clientele come Cristo comanda”, il verbo deluchiano mai smentito, criticato dai fedelissimi del premier. Arriva a Caserta in serata anche Dario Nardella, che sabato sarà a Napoli con il fior fiore dei sindaci renziani, da Gori a Ricci a Decaro, diventato presidente dell’Anci con la mission di macinare voti al Sud, mobilitando gli amministratori del Sud.

Caserta, Aversa, ma anche Casapesenna, Marcianise, erano l’America di Nick o mericano, condannato per camorra, un sistema scientifico, fatto di consenso organizzato, referenti precisi, capibastone efficienti. Ora, da quelle parti, va forte il Pd, diventato feudo di Graziano. A Marcianise l’ex sindaco del Pd è indagato per concorso esterno in associazione camorristica, perché secondo la Dda fu sostenuto dal clan Belforte alle elezioni del 2006 e del 2001. Guardate la sua bacheca su Facebook: “Basta un Sì'”, contro l’accozzaglia. In parecchi nel Pd sussurrano che, ai tempi in cui era segretario, Veltroni nei suoi comizi da queste parti si rivolgeva così ai poteri opachi: “I vostri voti non gli vogliamo perché noi vogliamo distruggervi”.

Parole che nessuno del Giglio Magico pronuncia. Luca Lotti, braccio destro e sinistro di Matteo Renzi, nei suoi interventi parla poco. Più abituato alla manovra nell’ombra che alle orazioni appassionata, sa che conta la foto, da quelle parti. Il governo, sinonimo di potere, benedice i potenti locali. Il che rende il sistema di potere locale più forte nel chiedere voti, perché se è arrivato Lotti significa che “questi contano” e “possono fare qualcosa”, come si dice da queste parti.

Qualche tempo fa Rosaria Capacchione, giornalista antimafia e ora senatrice del Pd, criticò proprio questa assenza di filtri, figlia di manovre spericolate, a proposito degli scambi del suo partito sul consiglio di amministrazione di un consorzio industriale: “Se ci si occupa di consigli di amministrazione, si finisce nelle cronache giudiziarie”. Il riferimento era il consiglio di amministrazione del consorzio Asi, struttura strategica per la programmazione dei fondi europei. In quell’occasione il Pd, impegnato a portare mondi di destra a De Luca, fece l’accordo col parlamentare europeo Fulvio Martusciello.

I voti si contano, in questa campagna elettorale che si gioca al Sud, senza tanti filtri e parole, con un sistema che non cambia verso: “Quanti voti porta quello?”, “Da li ne devono arrivare X”, “da lì Y”. A Casapesenna, paese del boss Michele Zagaria, è molto attivo sul Sì Marcello De Rosa, il sindaco che vive sotto scorta per le minacce della camorra ma è indagato per concorso esterno in associazione camorristica. Secondo la Dda di Napoli De Rosa fu eletto nella primavera del 2014 anche grazie all’appoggio dell’ex sindaco Fortunato Zagaria (omonimo del boss del clan dei casalesi), indagato anche lui per concorso esterno.

A Caserta in serata arriva anche il sindaco di Firenze Dario Nardella per un incontro dal titolo “la cultura per il Sì, come valorizzare quello che ci rende unici in Europa”. Ci sono anche Graziano e Caputo. Causa alluvione e strade allagate, l’iniziativa viene rimandata. La macchina del consenso però continua a girare, “come Cristo comanda”.
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Mediaset presenta un ricorso contro Vivendi: “Sequestrare il 3,5% delle azioni dei francesi”. Il titolo ko in Borsa

Mediaset stringe nella battaglia giudiziaria contro Vivendi per portare il gruppo francese a onorare il contratto per l’acquisto di Premium. Secondo quanto appreso dall’ANSA, il Biscione ha depositato una richiesta di sequestro di azioni proprie di Vivendi pari al 3,5% del capitale (dal valore di circa 820 milioni), cioè la quota che le parti si sarebbero dovute scambiare: il Tribunale di Milano ha fissato la prima udienza sull’istanza cautelare per il prossimo 8 novembre, mentre al momento le cause per danni intentate da Mediaset e Fininvest rimangono in calendario il 21 marzo 2017.

Di fronte al giudice civile Vincenzo Perrozziello, che ha accolto la fondatezza del ricorso d’urgenza di Mediaset, le parti dovranno presentarsi e presumibilmente portare proprie memorie sulla vicenda: di fatto il Biscione prova a ‘stanare’ i francesi, che per ora tentano di cuocere lentamente una controparte che si deve occupare interamente di una società che pensava di aver già ceduto, non potendo tra l’altro compiere su di essa alcuna scelta. Formalmente la pay tv sarebbe infatti in una gestione condivisa, ma se il management Mediaset prende delle decisioni queste potrebbero venir impugnate come mancanze nel contratto di vendita.

Oggetto del contendere è ovviamente il contratto di acquisto di Premium da parte di Vivendi firmato nell’aprile scorso con uno scambio paritario del 3,5% tra le capogruppo Mediaset e Vivendi. La valorizzazione della pay tv, dalla quale sarebbe dovuto uscire il socio di minoranza Telefonica, fu superiore ai 700 milioni, ma in maggio i conti del primo trimestre di Premium evidenziarono una perdita mai emersa prima: oltre 56 milioni, che in proiezione indicava un rosso di oltre 200 milioni l’anno, pur superando la quota di due milioni di abbonati.

Ed è su questa debolezza strutturale della pay tv che in Borsa il titolo Mediaset fatica: nell’ultima seduta il Biscione ha ceduto il 4% tornando ai minimi degli ultimi due anni toccati in agosto. Dall’emersione dei contrasti con Vivendi Mediaset ha perso il 20%, dalla Brexit un terzo del suo valore. La novità delle ultime ore è che Premium, che già ha dato via libera a un aumento di capitale per ripianare le perdite, potrebbe fortemente rivedere il suo perimetro. In che modo non è ben chiaro, ma gli analisti pensano ovviamente a un forte taglio dei costi.

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Il sosia di Matt Damon in una foto del 1961. Il figlio posta online lo scatto delle nozze dei genitori e il web impazzisce

Immaginate cosa si prova nello sfogliare l’album di nozze dei propri genitori e scoprire che in realtà papà è Matt Damon. Stessa mascella importante, stesso sorriso a mezza bocca, stessa attaccatura dei capelli. Il doppelganger del famoso attore americano non è una star di Hollywood, ha 75 anni e vive a Seattle. Il figlio ha postato la foto del matrimonio con la madre su Reddit, scatenando un’ondata di commenti da parte degli utenti, impressionati dall’incredibile somiglianza.

My parents Wedding day, February 1961. I think Dad looks like Matt Damon…… from OldSchoolCool

“Il giorno delle nozze dei miei genitori. Febbraio 1961. Credo che mio padre somigli a Matt Damon”, si legge nella didascalia della foto, messa online dal nickname “coffeeandtrout”. Un matrimonio felice, fino alla morte di lei, lo scorso anno: “Papà sta cercando ancora di abituarsi. Erano grandi insieme”.

Il complottismo, però, è sempre di casa sul web e in molti si sono lanciati in ipotesi che potessero giustificare l’esistenza di un sosia, senza legami di sangue. All’inizio alcuni hanno pensato a uno scherzo e che nello scatto in bianco e nero fosse stato immortalato effettivamente l’attore. Altri hanno consigliato un test del Dna al figlio, per assicurarsi che nel suo albero genealogico non fosse presente qualche avo in comune con il Jason Bourne del grande schermo.

Alla fine la tesi più accreditata è stata però un’altra. “Coffeeandtrout” è Matt Damon e l’uomo nella foto è suo padre. Dietrologia a parte, sembra davvero non ci sia spiegazione logica e, parenti o no, somigliare a uno degli attori più belli di Hollywood è comunque motivo di vanto. Ma il figlio ha tenuto a precisare: “In realtà mio padre non è identico a Matt Damon: è più alto”.

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Sci: Kitzbuehel, Peter Fill vince sulla Streif nella giornata delle cadute – Il Sole 24 Ore


Il Sole 24 Ore

Sci: Kitzbuehel, Peter Fill vince sulla Streif nella giornata delle cadute
Il Sole 24 Ore
Straordinaria impresa di Peter Fill, primo sulla mitica e difficilissima Streif di Kitzbuehel. L'azzurro ha preceduto gli svizzeri Beat Fuez e Carlo Janka in una gara caratterizzata da una serie di terribili e drammatiche cadute (tra gli altri
Sci, Cdm: Fill vince sulla Streif, sua la libera. A Cortina domina Lindsay VonnLa Repubblica
Impresa dell'azzurro Peter Fill a KitzbuehelLa Stampa
Kitzbuehel: Peter Fill è il Re sulla StreifFantaski.it
DoveSciare.it –Outdoorblog.it (Blog) –Il Sussidiario.net
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