Evviva la Deflazione! Più degli 80 euro di Renzi potè il ribasso della benzina.

Anche se in ritardo la grande distribuzione ha capito che per far tornare gli acquisti bisogna far scendere i prezzi; la pacchia, complici i mancati controlli che hanno consentito in breve tempo il raddoppio dei prezzi dopo il passaggio Lire/Euro, è finita!

Non c’è bisogno che Grillo, a cui vanno le nostre simpatie, si affanni tanto e spenda tante energie per arrivare ad un referendum sull’uscita dell’Italia dall’Euro, le stesse energie potrebbero essere utilizzate, sul territorio e magari attraverso gli stessi banchetti ai quali si raccolgono le firme, per incidere ancor di più sulla discesa dei prezzi al consumo.

 

qualsiasi cosa di uso comune e giornaliero, dai biscotti al dentifricio, oggi sta calando di prezzo; i produttori e distributori vedendo che la crisi delle vendite non accennava a finire hanno fatto la cosa più logica (peraltro senza fare cartello ma semplicemente adottando criteri di libera concorrenza) e pian piano la gente sta ritrovando la voglia di spendere e magari di potersi permettere qualche sfizio.

 

Renzi pensava, ma per molti è stata solo una mossa tendente ad acquisire voti nelle elezioni europee, che elargendo 80 Euro ad una fascia della popolazione l’economia si sarebbe prontamente ripresa; in realtà così non è stato perchè, come poi si è potuto constatare, pur senza voler generalizzare, quanto dato con la mano destra è stato ripreso (e magari abbondando) con la mano sinistra.

Quindi la deflazione, cioè non l’aumento ma la discesa dei prezzi, vista dai grandi economisti come una sciagura, si sta rivelando una grande risorsa per le economie famigliari e se questi grandi scienziati la smettessero di guardarsi l’ombelico potrebbero persino arrivare a capire che se a fronte di una riduzione dei prezzi del 10 % ottengo maggiori vendite del 30% (ovviamente le percentuali sono variabili in base ai settori economici e le varie attività) il PIL torna a crescere e lo stato introita più tasse, IVA in primis.

 

Quindi la battaglia che vale la pena di combattere non è quella sull’uscita (improbabile e demagogica) dell’Italia dall’Euro, bensì quella del riallineamento dei prezzi in euro al valore che avevano (ovviamente rivalutato considerando un 2% medio di inflazione annua) ai tempi della lira.
Altri Paesi europei, vedi Germania, non hanno consentito, dopo il cambio Marco/Euro, l’aumento indiscriminato dei prezzi ed è per questo che oggi a Dusseldorf o a Berlino, un dentifrico della stessa marca costa il 40% di quanto costi in Italia.

 

Ma veniamo alla benzina, su cui grava una mole di tasse inaudita, e anche (unico caso l’Italia) l’iva sulle tasse; è in atto una speculazione di una entità colossale; vi basti pensare che all’attuale prezzo di un barile di greggio (intorno ai 45 dollari) dovrebbe corrispondere un prezzo alla pompa, pur gravato dell’esorbitante 75% di tasse, di circa 65 centesimi il litro. Invece, sempre ad oggi, si fatica a trovare stazioni di servizio che vendano un litro di diesel a meno del doppio.

 

Qualcuno dice che petrolieri e Stato sono prudenti (e intanto straguadagnano) perchè, hai visto mai, il prezzo del greggio potrebbe ricominciare a salire da un minuto all’altro; ma anche questa ipotesi, sempre a voler sollevare lo sguardo dall’ombelico, è fortemente improbabile e per vari motivi: primo, perchè le nuove tecniche di estrazione consentono maggiore produttività; secondo, il sempre maggiore ricorso alle energie rinnovabili continua a far scendere la richiesta di petrolio; terzo, al largo del Brasile c’è probabilmente più petrolio di quanto ce ne sia nel resto del mondo; quarto, il cartello dell’OPEC non riesce più, e forse neanche vuole, a condizionare i mercati.

 

Ecco quindi che ad una già normale, benchè tardiva, tendenza a risvegliare i mercati applicando prezzi più equi, si aggiunge il risparmio (solo negli ultimi giorni, benchè ancora ben lontano dal valore effettivo, del 20%) sul costo del carburante; cosa questa che incide sul valore delle merci (che vedono nel trasporto una delle maggiori voci di costo) e sul conto economico delle singole famiglie.

 

Addirittura i medici si stanno adeguando e anche i centri di analisi strumentali, con più lentezza ma anche loro, e sempre in virtù della concorrenza, si stanno ridimensionando.
Sono sempre meno (ma purtoppo ancora ci sono) i baroni che osano chiedere 500 Euro per una visita e anche per una semplice lettura di analisi o i centri che per una risonanza "sparano" 500 (quando non di più) Euro.

 

Se ci lasceremo alle spalle la crisi, speriamo presto, è auspicabile che i cittadini non abbassino la guardia; è questo l’unico modo per tenere a bada gli speculatori e far si che i soldi che abbiamo in tasca, pochi o tanti che siano, abbiano un reale e non fittizio potere d’acquisto ma che, soprattutto, bastino per arrivare a fine mese e magari consentano pure qualche risparmio.

Master Viaggi News – Economia e Finanza (Ultime 10 News Inserite)

Il mattone torna al centro degli investimenti per i risparmiatori italiani.

C’è la corsa all’acquisto approfittando dei prezzi vantaggiosi (già in leggera risalita) e degli interessi sui mutui mai bassi come ora. Interessanti valutazioni dal gruppo Tecnocasa.

I segnali positivi colti sul mercato immobiliare nel corso del 2015, sembrano confermarsi anche in questa prima parte del 2016.

 

Il mattone ritorna infatti ad interessare gli italiani che, negli ultimi anni, avevano rimandato il sogno della casa di proprietà in attesa dell’evoluzione del mercato.
Nel primo semestre dell’anno i bassi tassi di interesse sui mutui, i prezzi delle abitazioni ormai a livelli minimi ed una rinnovata fiducia hanno determinato un aumento delle compravendite. Infatti gli ultimi dati dell’Agenzia delle Entrate sulle compravendite mostrano che nel primo semestre del 2016 le transazioni sono state 258.380 con un aumento del 21,9 % rispetto al primo semestre del 2015.

Tra le grandi città il migliore risultato sul semestre spetta a Torino (+29,9%), seguita da Milano con (+28,1%).
L’offerta sembra assottigliarsi, soprattutto sulle tipologie di qualità. I tempi di vendita sono in lieve diminuzione, in particolare, se l’immobile è correttamente valutato.

I dati rilevati dal Gruppo Tecnocasa sulle quotazioni immobiliari ci dicono che nelle grandi città sono in ribasso dello 0,9%, la variazione più contenuta finora registrata a conferma che la stabilità è prossima e la ripartenza non lontana. 
Le nostre previsioni vedono ancora prezzi in calo, tra -2% e 0%, per l’anno in corso ed in leggero aumento per il 2017. Anche il sentiment espresso dagli operatori delle nostre reti è orientato in tal senso.
Le compravendite potrebbero attestarsi tra 480 e 500 mila.
 

NUMERO DI COMPRAVENDITE CITTÀ I sem 2016 I sem 2015 Var.% BARI 1.365 1.321 3,3% BOLOGNA 2.809 2.213 26,9% FIRENZE 2.446 1.995 22,6% GENOVA 3.290 2.577 27,7% MILANO 10.954 8.554 28,1% NAPOLI 3.435 2.764 24,3% PALERMO 2.416 2.215 9,1% ROMA 14.814 13.168 12,5% TORINO 6.253 4.814 29,9% VERONA 1.503 1.253 20,0% Fonte: Agenzia delle Entrate
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Notte degli Oscar, le star del cinema protestano contro Trump. Bufera sulla Casa Bianca per bando media

Mancano poco più di ventiquattr’ore alla notte degli Oscar, che si prevede, come spiega l’agenzia LaPresse, sarà altamente politicizzata dopo che anche le star solitamente più schive hanno scelto di esporsi contro il presidente Donald Trump unendosi alle proteste che ormai ogni giorno si tengono nel Paese. Trump, in risposta, ha provocatoriamente twittato: “Forse i milioni di persone che hanno votato per ‘Rendere l’America grande di nuovo’ dovrebbero organizzare la propria manifestazione. Sarebbe la più grande di tutte!”. Ciò mentre la Casa Bianca è in una nuova bufera dopo che diversi giornalisti di grandi media statunitensi ieri non sono stati ammessi al briefing giornaliero del portavoce, Sean Spicer. E intanto emerge che il consigliere per la sicurezza nazionale di Trump, il generale H.R. McMaster, ha preso le distanze dalla rigida posizione dell’amministrazione sul mondo islamico, contestando la definizione di “terrorismo islamico radicale”. A questo poi si aggiunge lo scoop del Washington Post secondo cui la Casa Bianca avrebbe ingaggiato alti dirigenti dell’intelligence e del Congresso nel tentativo di confutare le notizie di stampa sui presunti contatti tra l’entourage di Donald Trump e l’intelligence russa, oggetto di inchiesta da parte dell’Fbi nonchè del Congresso.

JODIE FOSTER CONTRO TRUMP. La United Talent Agency di Beverly Hills quest’anno ha cancellato la festa in vista della notte degli Oscar, trasformandola in una manifestazione contro Trump. Vi hanno partecipato star e personaggi del cinema, e tra loro è spiccata Jodie Foster, solitamente restia a mostrarsi sotto i riflettori per prendere posizioni politiche. L’attrice, vincitrice dell’Oscar per ‘Il silenzio degli innocenti’ e ‘Sotto accusa’, ha dichiarato: “Non sono una persona che ama usare il suo volto pubblico per l’attivismo”, “ma quest’anno è diverso, è tempo di impegnarsi. È una periodo insolito nella storia”.

Sul palco è salita anche la star di ‘Ritorno al futuro’, Michael J. Fox, che ha parlato di sé e delle star del cinema come di “quelli fortunati”, affermando di voler condividere un po’ di quella fortuna con i profughi che vogliono entrare negli Usa. Le proteste dei divi, così come quelle ormai quotidiane in tutto il Paese, contestano infatti le politiche migratorie di Trump, dopo il suo ordine esecutivo per bloccare l’ingresso negli Usa ai cittadini di sette Paesi a maggioranza musulmana. In video conferenza da Teheran è anche intervenuto il regista iraniano Asghar Farhadi, nominato agli Oscar come miglior film straniero ‘Il cliente’ ma che boicotterà la cerimonia. Con altri cinque candidati al miglior film straniero, ha inoltre firmato un comunicato in cui viene criticato il clima “di fanatismo e nazionalismo” degli Usa e di altre parti del mondo.

IL DIVIETO AI GIORNALISTI ALLA CASA BIANCA. I reporter di Cnn, New York Times, Politico, Los Angeles Times e BuzzFeed non sono stati ammessi al briefing ‘a telecamere spente’ di Spicer, senza una motivazione sulla scelta delle testate bandite. Trump si è più volte scagliato contro i media, che accusa di fornire “notizie false” e ha definito “nemici” degli americani. La decisione ha scatenato una dura risposta. “Nulla del genere è mai accaduto alla Casa Bianca nella nostra lunga storia in cui abbiamo seguito molte amministrazioni di diversi partiti”, ha scritto Dean Baquet, il direttore del New York Times, sottolineando che “il libero accesso dei media a un governo trasparente è ovviamente di cruciale interesse nazionale”.

Cnn ha twittato: “Questo è uno sviluppo inaccettabile”, “apparentemente legato al riportare fatti che a loro non piacciono, cosa che continueremo a fare”. Proteste sono arrivate anche dalla White House Correspondents Association, l’associazione dei corrispondenti dalla Casa Bianca. Proprio ieri, Spicer aveva ribadito: “Non lasceremo che racconti falsi, storie false e fatti inaccurati escano da qui”.

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In Svizzera cittadinanza più facile per i nipoti degli immigrati. Il fronte del Sì vince il referendum con il 60,4%

Sarà ora più facile ottenere l’ambito passaporto elvetico per i nipoti di immigrati, tra i quali molti italiani, nati e cresciuti in Svizzera. Chiamati oggi alle urne, gli elettori della Confederazione hanno infatti approvato con il 60,4% una modifica costituzionale sulla naturalizzazione agevolata per i giovani stranieri di terza generazione. Il testo ha ottenuto anche la maggioranza dei cantoni: 19 su 26 hanno votato sì.

Finora – ricorda l’agenzia di stampa svizzera Ats – i progetti per facilitare l’ottenimento della cittadinanza da parte dei discendenti di immigrati non avevano mai superato lo scoglio delle urne. Oggi invece il consenso è stato ampio, con punte superiori al 70% nei cantoni di Giura, Vaud, Ginevra e Neuchatel. Per i giovani stranieri di terza generazione sarà dunque un pò più semplice e meno costoso ottenere il passaporto rossocrociato, anche se non sarà automatico. Gli stranieri dovranno infatti candidarsi e potranno beneficiare della procedura agevolata solo se nati sul territorio elvetico, se hanno meno di 25 anni, detengono un permesso di domicilio ed hanno frequentato almeno 5 anni di scuola dell’obbligo in Svizzera. Inoltre, almeno uno dei genitori ed uno dei nonni devono tra l’altro aver soggiornato in Svizzera.

Soddisfatto, il governo ha sottolineato che gli aspiranti dovranno dimostrare la loro integrazione. La ministra di giustizia e polizia Simmonetta Sommaruga ha ricordato che ne approfitteranno 25 mila giovani, soprattutto italiani, spagnoli e portoghesi, che con procedura agevolata otterranno “il passaporto della loro patria, quello svizzero”.

La naturalizzazione facilitata era sostenuta da tutti i grandi partiti, ad eccezione del partito di destra Udc che ha fatto campagna contro agitando la paura di giovani non integrati e dell’Islam con manifesti raffiguranti una donna con il niqab. Per la deputata socialista Ada Marra, di origini pugliesi, si tratta di una “grande vittoria”. Le nuove disposizioni – scrive l’Ats – potrebbero entrare in vigore l’anno prossimo insieme alle modifiche della Legge federale sull’acquisto e la perdita della cittadinanza svizzera.

Severa sconfitta del governo invece per la Riforma dell’imposizione delle imprese, secondo tema in votazione a livello federale bocciato da oltre il 59% dei votanti. Il progetto approvato dal parlamento era combattuto da un referendum del Partito socialista. Scopo della Riforma, che godeva dell’appoggio delle maggiori organizzazioni economiche, era di adeguare ai nuovi standard internazionali il sistema fiscale svizzero, ed in particolare i regimi speciali ideati per attirare holding, società miste e società di domicilio. La Riforma prevedeva di sopprimere l’imposizione ridotta delle società con statuto speciale e nuove misure di sgravio fiscale per promuovere innovazione e attività di ricerca e sviluppo.

Senza sorprese, gli svizzeri hanno infine approvato con il 61,9% di Sì la creazione di un Fondo per finanziare le strade nazionali e il traffico d’agglomerato.

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Donald Trump presidente degli Stati Uniti: il ruolo chiave della middle-class operaia nel Midwest dietro la vittoria del tycoon

La verità sta nel mezzo, “in the middle”. E, per essere precisi, nella middle-class del Midwest. Le ragioni che hanno portato Donald Trump a diventare il 45esimo presidente degli Stati Uniti d’America non sono né politiche né tantomeno culturali. A poche ore dalla vittoria del tycoon newyorchese si vanno sempre più delineando, se si incrociano i voti ottenuti nei singoli Stati e i dati su economia e lavoro, i motivi che hanno spinto gli americani a credere che fosse The Donald l’uomo giusto per rendere l’America “great again”.

L’American dream, per realizzarsi di nuovo, ha bisogno di depurare il tessuto industriale ed economico dagli effetti della globalizzazione e della delocalizzazione e di rimettere al centro il lavoro del cittadino americano: è questo il messaggio che sembra uscire dalle urne. Per capire, però, gli squilibri economici che hanno reso il terreno fertile per la vittoria di Trump è necessario partire da alcuni dati.

Negli Stati Uniti i numeri ufficiali riportati dall’Ufficio delle Statistiche del lavoro parlano di un tasso di disoccupazione al 4,7%. Un numero che disegna un quadro occupazionale roseo ma che non rappresenta affatto la realtà. Non si tiene conto, infatti, dei cittadini americani che non partecipano al mercato del lavoro, i cosiddetti “not in labour force”: gli inattivi in America ammontano a circa 90 milioni di persone. Cifra considerevole che però scompare dalle stime ufficiali e che disegna una realtà dai contorni più foschi dello stato occupazionale Usa.

Non è finita qui: come ha riportato Martin Wolf sulle pagine del Financial Times, l’incidenza della quota lavoro sul prodotto interno lordo americano è calato, dal 2001 al 2014, dal 64,6% al 60,4%. Si tratta di un dato che conferma come l’evoluzione dell’economia americana verso la finanziarizzazione e l’innovazione tecnologica lasci uno strascico pesante sui redditi delle famiglie. Redditi che sono aumentati del 5,2% tra il 2014 e il 2015 ma restano comunque al di sotto del livello pre-crisi Lehman Brothers.

Come ricorda il giornalista del Sole 24 Ore Vito Lops, inoltre, dal 2008 al 2016 i cittadini americani costretti a ricorrere ai food stamps (buoni alimentari) sono aumentati del 60%, passando da 28 a 45 milioni. E’ in questo contesto che si va ad inserire la vittoria di Donald Trump che ha fatto di tutto, durante la campagna elettorale, per accreditarsi come il vero oppositore dell’establishment e dello status quo, aiutato anche dalla debolezza della sua rivale Hillary Clinton, troppo legata nell’immaginario collettivo ai poteri forti di Wall Street e simbolo della continuità del potere.

La verità “in the middle”, si diceva. E in effetti è il caso di sottolineare il voto di alcuni Stati che rappresentano la spina dorsale della working class americana. Sono le roccaforti del Midwest: il Michigan, con la sua capitale Detroit un tempo centro nodale del modello fordista e oggi piegata dalla crisi industriale, il Wisconsin agricolo e manifatturiero e la Pennsylvania (più orientale ma comunque a trazione industriale) democratica dal 1992, con i suoi 20 Grandi Elettori. E poi il Nord e il Sud Dakota, Iowa e Kansas. Trump ha poi vinto in Ohio, uno degli swing states che con le sue due principali città, Columbus e Cleveland, è un bacino di voti operai impiegati in impianti siderurgici, meccanici, chimici e in particolare di gomma. Ha di certo contribuito, poi, la vittoria in Florida, altro grande stato attenzionato alla vigilia del voto con i suoi 29 Grandi Elettori. Ma, tornando al Midwest, la Clinton è riuscita a far breccia solo nel Minnesota e in Illinois.

Non è un caso: come fa notare il sito Fivethirtyeight fondato dal mago dei sondaggi Nate Silver, gli Stati del Midwest che Trump si è aggiudicato sono quelli più colpiti dalle importazioni di prodotti cinesi. Un’area identificata dall’economista David Autor del Mit come tra le più colpite dagli effetti della globalizzazione e dove le diseguaglianze hanno raggiunto la maggiore ampiezza nella forbice sociale, traducendosi nella perdita di due milioni di posti di lavoro tra il 1999 e il 2011.

Il 22 ottobre a Gettysburg, nella Pennsylvania che vive una profonda crisi in particolare nel settore siderurgico, Trump ha tenuto il suo discorso programmatico, stipulando un “Contratto con gli elettori americani”, e ha messo in chiaro alcuni punti centrali della Trumponomics: una nuova riforma fiscale che prevede l’abbassamento dell’aliquota fiscale per le aziende dal 35 al 15%; revisione o cancellazione di tutti i trattati commerciali e gli accordi di libero scambio, come il Nafta (per l’America del Nord), Tpp (con i paesi dell’Area pacifica tranne “l’odiata” Cina) e il Ttip che in Europa abbiamo già avuto modo di studiare; l’aumento dei dazi sulle merci importate; la dichiarazione di una “guerra commerciale” alla Cina che ha “stuprato” gli Stati Uniti facendosi artefice del “più grande furto della storia del mondo” grazie alla manipolazione della sua moneta, lo yuan. In sintesi, la transizione da un’economia liberista al protezionismo e all’isolazionismo.

Guerra commerciale alla Cina e ai frutti marci della delocalizzione da un lato, guerra alla finanza di Wall Street e ai lobbisti dall’altro. Così il magnate di New York è riuscito a diventare l’uomo giusto per la middle-class americana, diventando il terminale del sentimento di rivalsa del ceto operaio, rimasto indietro per via dei processi di globalizzazione che hanno favorito quei Paesi più forniti di manodopera a basso costo piegando il settore manifatturiero americano.

Con una propaganda forte e una ricetta economica estremista, Trump ora è chiamato a dar seguito alle promesse fatte nei mesi di campagna elettorale, conciliando il Donald politico con il Donald Presidente degli Stati Uniti. Dall’altra sponda dell’Atlantico arriva un voto che parla (anche) all’Europa, mostrando tutti i guasti prodotti da un modello economico che ha dimenticato il ruolo centrale delle forze lavoratrici. Il Re è nudo, l’Europa è avvisata.
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L’Italia di Conte è pronta: l’attesa degli azzurri – Sport Mediaset


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L'Italia di Conte è pronta: l'attesa degli azzurri
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Tutto è pronto a Lione per la super-sfida Italia-Belgio. La giornata ora per ora. Facebook; Twitter; GooglePlus; Pinterest; Stampa; Invia ad un amico. A A A. 13 giugno 2016. Tempo reale. Conte, foto Ipp. Si comincia. Al via l'Europeo dell'Italia
Euro 2016, Belgio-Italia alle 21 LIVE. Segui la diretta con prepartita e formazioniTuttosport
#CMinFrancia: al Belgio la sfida del tifo, ma c'è tanta Italia a LioneCalciomercato.com
Diretta Euro 2016, Belgio-Italia: formazioni e prepartita liveCorriere dello Sport.it
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«Mezzo milione a settimana», offerta incredibile degli sceicchi per Messi – Il Sole 24 Ore


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«Mezzo milione a settimana», offerta incredibile degli sceicchi per Messi
Il Sole 24 Ore
Un milione (lordo) a settimana per Leo Messi, 355 mila euro (netti) per Cristiano Ronaldo. Sono le offerte-choc che, secondo i tabloid inglesi, gli sceicchi del calcio sarebbero pronti a mettere sul piatto per portare il campione argentino del
"Un milione a settimana per Messi", sceicchi da chocANSA.it
CALCIO, M. CITY; PELLEGRINI: NON COMMENTO VOCI SU MESSI E GUARDIOLALa Repubblica
Offerte folli degli sceicchi per Messi e Cristiano RonaldoSuperNews
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Nelle semifinali degli Us Open affronteranno S.Williams e la Halep – Rai Sport


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Nelle semifinali degli Us Open affronteranno S.Williams e la Halep
Rai Sport
1441880481293_108476.jpg. Notte da sogno per il tennis italiano quella che comincerà all' 01.00 sul mitico Arthur Ashe Stadium, lo stadio da tennis più grande del mondo con i suoi 23.000 posti. Roberta Vinci e Flavia Pennetta, tarantina la prima
La Pennetta ci crede: in semifinale trova la rumena HalepRai News
Tennis: Us Open, Flavia Pennetta in semifinale contro la romena HalepANSA.it
US Open, splendida Flavia Pennetta, come la Vinci è in semifinale. Battuta la Kvitova in 3 set. In semifinale Federer Il Messaggero
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