Rischia di perdere il figlio in un incidente, medico barese va in Africa per curare i bambini: “Mi sdebito così”

Dopo aver rischiato di perdere suo figlio, Pietro Venezia, medico del Policlinico di Bari, ha deciso di sdebitarsi con l’umanità, partendo per il Kenya, dove è diventato direttore amministrativo del cattolico Trinity Mission Hospital. “”Qui avrei pagato il mio debito nei confronti dell’umanità sofferente e del Padreterno”, ha raccontato in un colloquio con il Corriere della Sera.

Nel giugno del 2010, il figlio Paolo era stato coinvolto in un tremendo incidente stradale, in cui un’auto pirata tranciò di netto la sua gamba, mentre percorreva la strada con la moto. Il padre, dopo aver assistito a 10 ore di operazione in cui i suoi colleghi avevano cercato di riattaccare l’arto al corpo del ragazzo, decise di amputarlo e salvare la vita al figlio. Paolo oggi si è laureato, ha messo su un’associazione per amputati post traumatici e sta studiando la sicurezza sui luoghi di lavoro in Kenya, per aiutare il padre che ormai dal maggio 2016 divide la sua attività di medico tra l’Italia e l’Africa.

Quando suor Jane Ataku, laureata in scienze infermieristiche a Roma, gli scrisse una email: «Qui abbiamo realizzato l’ospedale, lei che fa? È dei nostri?». «Sono pronto» rispose Pietro, che in realtà quella suora l’aveva conosciuta per caso a maggio del 2013 all’aeroporto di Addis Abeba. «Avevo visto un gruppetto di suore e mi ero avvicinato per chiacchierare – ricorda -. Mi parlarono del progetto di un ospedale e io dissi: fatemi sapere, magari vengo a darvi una mano». Così quando è stato il momento suor Jane si è ricordata.

“Qui avrei pagato il mio debito nei confronti dell’umanità sofferente e del Padreterno”, ha raccontato il medico di Bari. “Io sono cattolico ed essere qui per me vuol dire anche essere grati al cielo per avermi concesso di veder vivere e crescere Paolo dopo l’incidente”

Da maggio ad oggi 26 interventi chirurgici e 250 pazienti visitati (sia adulti sia bambini), compresi alcuni che vivono in villaggi remoti. E poi corsi di medicina organizzati e tenuti da lui stesso, strumentazione arrivata dall’Italia «dove ho smantellato il mio studio polispecialistico», consulti continui con colleghi conosciuti in Germania, Stati Uniti, Cina, Giappone, Francia…

E non solo, perchè ormai l’ospedale è diventata una questione di famiglia.

Paolo, appunto, che studia gli aspetti della sicurezza sul lavoro. Ma anche l’altro suo figlio laureato in medicina, che presto andrà a dargli una mano, e il suo fratello cardiologo: «Mi ha regalato un elettrocardiografo, io gli mando l’immagine via whatsupp, lui legge gli elettrocardiogrammi e suggerisce i trattamenti».

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Direzione Pd, la minoranza non ci sta: “Se è così si avvicina la scissione”. Pressing su Orlando per candidarsi contro Renzi

Alle 19,30, si materializza lo spettro della scissione. Roberto Speranza, seduto vicino a Davide Zoggia, sussurra: “Vedi, il re è nudo. Non hanno fatto votare il sostegno al governo fino al 2018, perché il congresso in tempi brevi gli serve per poi tirare giù il governo e andare al voto”. Il che, negli effetti, porta a una linea riassunta in una parola, che fa tremare le vene ai polsi, per chi è cresciuto col mito della disciplina di partito: scissione: “Se l’obiettivo – dichiara Speranza – è un congresso- lampo per poi andare a un voto-lampo, non c’è più il Pd, diventa il partito dell’avventura. Questo per noi crea un problema enorme. Non si capisce come si può andare al voto senza una legge elettorale che può garantire un minimo di governabilità”.

Il riferimento è all’ordine del giorno presentato dalla minoranza, non messo ai voti. E a quello su congresso subito, stravotato. Pare una questione procedurale, ma è sostanza politica. La proposta era: una conferenza programmatica, come aveva chiesto il ministro Orlando, poi un congresso a ottobre, dunque voto. Uno degli estensori del documento dice: “Si era aperta una trattativa e alcuni renziani erano anche d’accordo, ma Renzi e soprattutto Orfini l’hanno chiusa, e hanno optato sulla forzatura votando solo il loro ordine del giorno, così Renzi si tiene le mani libere sul governo”.

È il momento più teso del pomeriggio. Dalla sala qualcuno urla: “Votiamo per parti separate”. La forzatura suona anche come uno schiaffo al protagonista dell’unica, vera, mediazione alla luce del sole, come si sarebbe detto una volta. Appunto Andrea Orlando. Il quale, non a caso, alla fine non ha partecipato al voto. Nel suo intervento il guardasigilli aveva suggerito un percorso diverso, bacchettando al tempo stesso la minoranza per la “campagna di delegittimazione” quotidiana del segretario e Renzi perché “i caminetti sono iniziati perché manca una proposta politica forte”. E fare le primarie per legittimare il leader senza discutere in una conferenza programmatica di una piattaforma politica è come “fare le tagliatelle con una macchina da scrivere”.

“Andrea candidati”, “a questo punto è una via obbligata”. Il pressing sul guardasigilli parte dai suoi, che anche sul territorio danno segnali di insofferenza, come in Veneto dove i “turchi” e “sinistra” si sono riuniti. Per ora, Orlando ha declinato l’offerta, anche perché non è chiaro il dove candidarsi. Perché la scissione è un’ipotesi molto concreta. Anzi cresce. Perché dietro il dibattito, criptico, sul congresso c’è tutto il tema del voto, in tutte le sue sfumature. Che vanno dalla “responsabilità verso il paese” alla formazione delle liste. Detto in termini prosaici, la sinistra non condivide l’accelerazione sul governo, che in altri tempi si sarebbe chiamata la linea della “crisi e dell’avventura” e al tempo stesso non si fida di Renzi: “Lui – dicono – vuole una rilegittimazione, per avere le mani libere sul voto e farsi le liste come vuole lui e nelle liste fare l’epurazione”. In questo quadro, se di qui a domenica non ci saranno novità, meglio non partecipare al congresso. Michele Emiliano, e non solo lui, sabato aveva già avuto l’idea di non partecipare alla direzione, prevedendo come sarebbe andata. “Non diamogli alibi” gli hanno detto gli altri.

Con l’ordine del giorno si ripresenta il convitato di pietra, il governo e il voto anticipato. Argomento sul quale provano a “stanare” Renzi sia Bersani sia Roberto Speranza, dopo che l’ex premier non aveva chiarito la mission del governo né il percorso sulla legge elettorale: “La prima cosa che dobbiamo dire – scandisce Bersani – è quando si vota. Non possiamo lasciare un punto interrogativo sulle sorti del nostro governo. Io propongo che noi non solo diciamo, ma garantiamo all’Europa, ai mercati agli italiani, la conclusione normale e ordinata della legislatura”.

L’intervento dell’ex segretario ha un grande valore simbolico. E prepara la grande rottura perché – questo è il ragionamento – “se esce lui, non si può dire che se ne vanno quattro gatti, ma non c’è più il Pd”. Negli ultimi giorni ci sono stati contatti anche con Pisapia. Solo la disponibilità di Orlando, di qui a domenica, potrebbe cambiare lo schema. E il terreno su cui in parecchi cercano di convincerlo è il governo: “Se Renzi forza sul governo come evidente, si rende protagonista della crisi istituzionale e tu ti devi intestare la linea della responsabilità”.
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Antonio Iannone: “Da Lugano ai Caraibi per fare il paninaro. Così ho mollato tutto e ho ricominciato a vivere”

“Mollo tutto e me ne vado”. Quante volte vi è capitato di dirlo o pensarlo? Antonio Iannone, comasco di origini campane, 38 anni (“Quasi 39”), l’ha fatto davvero. La sua seconda vita è iniziata ad Aruba, isola caraibica di 180 chilometri quadrati a nord del Venezuela facente parte del Regno dei Paesi Bassi.

Iannone fa il frontaliere da dieci anni quando decide che è giunto il momento di una svolta. Ogni giorno raggiunge in auto Lugano (in Svizzera), dove lavora come “middle manager” per un’azienda farmaceutica. “Con dieci anni di esperienza in Svizzera avevo uno stipendio che in Italia prende forse solo chi è alla soglia della pensione”, racconta il 38enne all’Huffington Post.

Ma, evidentemente, i soldi non compensano il senso di insofferenza che Iannone prova ormai da tempo. “Non ne potevo più della solita routine”. Così comincia a cercare lavoro in altri paesi europei. “Mi sarebbe piaciuto lavorare in Italia, ma purtroppo ho sempre ricevuto proposte di stage non retribuiti”.

Dopo tre anni di colloqui senza successo, Iannone decide di partire con la sua famiglia. Sono già stati ad Aruba un paio di volte in vacanza, sanno che si troveranno bene. Inoltre, lì vive da qualche anno il migliore amico del comasco, che si guadagna da vivere con un food truck di cibo italiano.

Iannone, la moglie Sylvie (una donna belga che il 38enne aveva conosciuto mentre entrambi facevano gli animatori in un villaggio turistico invernale) e la figlioletta Luna atterrano ad Aruba nel giugno 2015. I 28 gradi centigradi dodici mesi all’anno giustificano il soprannome dell’atollo caraibico: l’”Isola Felice”.

Nonostante il clima e il paesaggio da sogno, all’inizio è dura. Il problema principale è comunicare, soprattutto per Sylvie: anche se in qualche modo ce la si può cavare con l’inglese o con lo spagnolo, la lingua ufficiale ad Aruba è l’olandese e tutti parlano un dialetto creolo chiamato papiamento. La gente del posto è piuttosto chiusa e il turismo elitario che caratterizza l’isola fa sì che i prezzi siano elevati.

È passato più di un anno e mezzo da allora, e piano piano le cose sono migliorate. Oggi Luna frequenta il secondo anno della scuola elementare, mentre Antonio e Sylvie lavorano al food truck, collocato strategicamente nel parcheggio di una discoteca. Il paninaro è aperto ogni giorno dalle 19 alle 5 del mattino. Nel menù non mancano i classici panini con la salsiccia e con la porchetta (d’importazione) e la pizza. “Il piatto forte però è la lasagna”, spiega Iannone. “La prepariamo io e mia moglie. La gente ci va pazza”.

Iannone, diplomato in ragioneria, non ha mai fatto una scuola di cucina. Ma la passione ce l’ha sempre avuta. Da bambino adorava fare torte e, quando andava a trovare i parenti in Campania, osservava affascinato le nonne cucinare. “Per un periodo ho avuto in testa di fare la scuola alberghiera, ma poi ho cambiato idea perché mi piaceva troppo uscire nel fine settimana e non avrei sopportato di stare chiuso in un ristorante il sabato e la domenica”.

Da qualche tempo Iannone ha iniziato a fare anche il cuoco a domicilio, spesso nei villoni presi in affitto dagli statunitensi in vacanza. “Mescolo la cucina locale con quella italiana. Ma alla fine i piatti che vanno per la maggiore sono la lasagna e il tiramisù”.

A luglio, per la prima volta da quando sono arrivati ad Aruba, Iannone e la sua famiglia torneranno per un breve periodo in Italia. “Gli stipendi qui sono abbastanza bassi e ci vuole un po’ prima di riuscire a stabilizzarsi. L’importante è trovare il business giusto”, commenta. “In ogni caso, credo di avere trovato il mio posto nel mondo, anche se nella vita non si può mai sapere”.


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Donald Trump su Vladimir Putin: “Lui sarebbe un assassino? Gli Stati Uniti non sono così innocenti”

“Io lo rispetto. Se ci andrò d’accordo si vedrà”. Donald Trump insiste nel voler impostare il rapporto con il collega russo Vladimir Putin in termini ‘diversi’. Ma lo fa questa volta con parole assolutamente inedite per un presidente degli Stati Uniti che, alle accuse mosse verso Putin, additato da qualcuno come “un assassino”, in un’intervista alla Fox News risponde: “Pensate l’America sia così innocente?”.

Una frase shock, secondo molti osservatori, sebbene non del tutto nuova. Il tycoon in campagna elettorale aveva toccato il tema più volte e anche negli stessi termini. Ma che ci torni in maniera così netta da presidente in carica, in un’intervista ‘di rito’ trasmessa come consuetudine per un presidente poco prima del Super Bowl – la finale di football americano per cui l’America si ferma e resta incollata agli schermi in tutto il Paese – suscita più di qualche perplessità. Non solo nell’opposizione, ma anche tra i repubblicani.

Il passaggio in questione è emerso da un’anticipazione del colloquio con uno degli anchor di punta di Fox, Bill O’Reilly.
“Io rispetto Putin. Rispetto molte persone, ma non vuol dire che andrò d’accordo con lui, si vedrà”, premette Trump. Sollecitato poi dal giornalista sulle accuse rivolte al presidente russo di essere “un assassino”, il tycoon non ci pensa due volte: “Ci sono molti assassini. Credi che il nostro Paese sia così innocente?”.

La polemica è immediata, il punto è il paragone che emerge dalle parole del presidente in persona tra gli Stati Uniti e la Russia di Putin. E l’imbarazzo, anche tra i sostenitori di Trump, è palpabile. “Non credo ci sia alcuna equivalenza tra la maniera in cui si comporta la Russia e gli Stati Uniti”, reagisce il leader della maggioranza repubblicana al Senato, Mitch McConnell, dopo aver messo in chiaro che, a suo avviso, Putin è “un ex agente del Kgb e un delinquente”.

“Non mi metterò a criticare ogni commento del presidente, ma io credo che l’America sia eccezionale, l’America è diversa, in nessun modo operiamo nello stesso modo dei russi. Sussiste una distinzione chiara che tutti gli americani comprendono e io non avrei caratterizzato la cosa in quel modo. Ovviamente non vedo la questione nello stesso modo” in cui la vede il presidente.

Un altro esponente di spicco del partito, il senatore Marco Rubio, twitta: “Quando mai un attivista politico dei democratici è stato avvelenato dal Gop (il partito repubblicano, ndr) o viceversa? Noi non siamo la stessa cosa di Putin!”.

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Un biglietto d’amore per la moglie ogni mattina: così il padre di Hud ha commosso il figlio e, poi, il web intero

“Da quando ne ho memoria, mio padre si è alzato ogni mattina alle 05:00 per preparare il caffè a mia madre e lasciarle un messaggio d’amore”. È questo il post che Hud (@EhrichHudson) ha pubblicato su Twitter nel mese di ottobre, riscuotendo un successo probabilmente inaspettato per lui.

Il post dell’adolescente, accompagnato dalle foto dei post-it nelle tazzine del caffè e sparsi sui tavoli, da allora continua ad essere virale, tra commenti e retweet di chi ha apprezzato il bel gesto dell’uomo.

Il web non è rimasto indifferente di fronte ai tanti messaggini scritti su bigliettini a forma di stelle e cuoricini per la sua Alona e in molti devono aver invidiato quei risvegli così dolci.


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Sabatini: “Così è un dramma. Ma Garcia non si tocca” – La Gazzetta dello Sport


La Gazzetta dello Sport

Sabatini: "Così è un dramma. Ma Garcia non si tocca"
La Gazzetta dello Sport
Il direttore sportivo usa parole forti: "Dobbiamo tutti assumerci la nostra fetta di responsabilità. Ma non c'è un colpevole. Siamo tutti colpevoli. Il mister resta".. ARTICOLO PRECEDENTE. ARTICOLO SUCCESSIVO.. Ascolta. 61;;;;;. 61;;;; …
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