E Matteo Renzi segretario prepara la nuova scalata al Pd. La mission: evitare la congiura delle correnti

La prima cosa che un parlamentare renzianissimo chiede quando al telefono gli leggiamo il sondaggio di Scenaripolitici per Huffington Post secondo cui Matteo Renzi deve restare il leader per il 52 per cento degli elettori del centrosinistra è: “Ma gli altri sono uniti o no?”. Vale a dire: tra i vari Franceschini, Orlando, Bersani, Orfini e tutti gli altri, c’è un nome che spicca e c’è qualcuno che manca? Tradotto: alcune di queste aree figurano come alleate oppure no? Domande non casuali perché adesso che non è più premier, adesso che gli è rimasta solo la carica di segretario del Pd, Renzi vuole evitare la ‘congiura’ della varie correnti Dem contro di lui.

Domenica a Pontassieve con la famiglia. Black out totale con i media. Non è da Renzi. Gioca ad allontanarsi dal palcoscenico per poi tornare. Aveva finanche lasciato trapelare di voler disertare la direzione del Pd domani. Ma era solo un giochetto per vedere l’effetto che fa. È durato meno di 24 ore: domani al Nazareno il segretario ci sarà. L’obiettivo ultimo è restare sulla scena ma per farlo il segretario Dem scruta i movimenti interni al Pd, pur convinto che l’unica chiave sia guadagnare consenso fuori dal partito, con un giro di ri-legittimazione in camper a partire da metà gennaio, dopo una vacanza all’estero con la famiglia per le vacanze di Natale. Anche lì, black out totale o quasi: un’assenza che resta presenza.

“Ai milioni di italiani che vogliono un futuro di idee e speranze per il nostro Paese dico che non ci stancheremo di riprovare e ripartire. Ci sono migliaia di luci che brillano nella notte italiana. Proveremo di nuovo a riunirle. Facendo tesoro degli errori che abbiamo fatto ma senza smettere di rischiare: solo chi cambia aiuta un Paese bello e difficile come l’Italia”, scrive su Facebook alle 2 di notte, appena tornato a Pontassieve dopo le trattative romane sul governo.

Ad ogni modo, domani invece Renzi sarà al Nazareno e terrà la sua relazione alla direzione del Pd riunita per la seconda volta nel giro di questa settimana di crisi di governo post-referendum. All’ordine del giorno c’è la fiducia parlamentare da accordare – pare già mercoledì – al nuovo governo Gentiloni. Ma il segretario comincerà ad abbozzare la discussione sul congresso da sviluppare poi in assemblea nazionale domenica 18 (forse a Milano).

Il timing gli è chiaro. Partenza a metà gennaio, congressi nei circoli ma soprattutto primarie a metà marzo massimo, voto a giugno. Ciò che si muove o si potrà muovere nel Pd gli è meno chiaro. Dal giorno della sconfitta, le correnti sono in fermento. L’idea di disertare la direzione domani era anche un modo per prendere le distanze dalle correnti. Puntare subito fuori dal Pd, tra quegli elettori di centrosinistra che nei sondaggi lo riconoscono ancora come leader, rivolgersi a loro piuttosto che a un partito che ormai lo sopporta. In direzione lancerà la volata per il congresso e avvierà la resa dei conti con la minoranza del no.

Ma la riflessione che lo interroga è sulla sua maggioranza nel partito. Con Franceschini c’è una sorta di tregua armata. Subito dopo la sconfitta i primi sintomi del nuovo clima, il braccio di ferro sul voto subito o meno, il segretario costretto a frenare. Prima volta che ci riescono con Renzi. Ora nasce un governo Gentiloni, voluto dal segretario che in questo l’ha spuntata. E proprio domani, mentre la direzione nazionale del Pd sarà nel pieno della discussione, il premier incaricato potrebbe salire al Colle a sciogliere la riserva. Ma d’ora in poi come si muoveranno le correnti?

Un nome: Andrea Orlando. Il guardasigilli, che dovrebbe essere confermato al dicastero di via Arenula anche nel governo Gentiloni, non è più in ottimi rapporti con Matteo Renzi, da quando il disegno di legge sul processo penale è finito sul binario morto in Senato. Argomento troppo spinoso da affrontare in campagna referendaria, messo da parte come quello sulla tortura o il cognome materno. Invece Orlando continua ad avere buoni rapporti con Gianni Cuperlo e anche con Pier Luigi Bersani. Ora: tra Cuperlo che ha votato sì al referendum e Bersani che ha votato no, c’è un divario forse incolmabile. Tanto più che Cuperlo ha cominciato a muoversi insieme con la sinistra di Giuliano Pisapia, la sinistra del sì fuori dal Pd nell’ottica di una ricostruzione del centrosinistra. Tra Orlando e Bersani però qualche renziano comincia a non escludere alleanze in nome della vecchia ditta. Operazione “nostalgia Ds” la chiamano.

Renzi non la teme, convinto com’è di avere più capacità di leadership degli altri. Ma se ne guarda lo stesso. Per lui è vitale che le altre aree si presentino divise al congresso, che non si saldino su un unico nome contro il suo. Ecco il perché del camper in giro per l’Italia. “E’ tutto da costruire”, dice un fedelissimo. Renzi si prepara a ri-scalare il Pd con il solito aiuto da fuori. Promette giri in ogni federazione e tra i giovani, coloro che più di ogni altra fascia sociale gli hanno voltato le spalle al referendum. “Le primarie sono aperte”, ricordano i suoi, convinti che questo basti a legare la maggioranza del partito alla leadership di Renzi. A cominciare da Areadem di Franceschini.

Lo scenario a cui punta il segretario è ‘io contro lo spezzatino’, insomma. Certo si ritroverà come avversari i governatori Michele Emiliano ed Enrico Rossi. C’è chi fa anche il nome di Sergio Chiamparino, per completare il quadro dei presidenti di regione candidati alla segreteria. Ma “ognuno per conto suo e senza leader”, esulta il renziano cui abbiamo letto il sondaggio di Huffington Post. Basterà?

La scommessa è così aperta che, pur ragionando ormai in termini di proporzionale o semi-proporzionale per trovare al più presto un accordo con Berlusconi e andare al voto, nella cerchia del segretario non sono più tanto sicuri nemmeno di questo. “Se l’operazione di ricostruzione della leadership di Renzi dovesse andar bene, perché non insistere sul maggioritario”, ci dice un altro renziano di prima fascia. Forse perché si allungherebbero i tempi per andare al voto, sempre che sia semplice per Renzi staccare la spina al governo del suo fidato Gentiloni a primavera. Forse, la sfida più difficile.
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Il peso delle discordie Pd sulle consultazioni di Mattarella. Nella macchina delle correnti, pressing su Renzi, Franceschini in movimento

Al Quirinale confidano che entro domenica le consultazioni possano diradare le nebbie nel campo renziano, a partire dallo stesso premier. E che non sarà necessario un secondo giro. Sarebbe auspicabile, perché in tal modo l’Italia avrebbe un governo nel pieno delle sue funzioni che la rappresenti al Consiglio europeo del 15 dicembre.

Le nebbie sono quelle che avvolgono il campo del Pd. Perché le pressioni su Matteo Renzi, affinché resti a palazzo Chigi, sono forti tra i suoi. E perché la macchina infernale delle correnti si è messa in moto. E c’è un motivo se Dario Franceschini ha risposto a parecchie telefonate con una battuta sarcastica: “Non posso parlare, sono ad Arcore a chiudere l’accordo con Silvio…”. La battuta rivela un certo fastidio per la ridda di voci sui sospetti del premier in relazione alla sue presunte trame per approdare a palazzo Chigi.

Voci che rivelano ansie, paure, sospetti nel giglio magico. “Non puoi lasciare”, “se molli a palazzo Chigi non torni più”, “se indichi un altro, poi non lo controlli”: frasi come queste Renzi le ha ascoltate decine di volte in questi giorni, da parte dei uomini più fidati. Alcune volte sono sembrate consigli strategici lucidi, altre spie dell’incertezza da perdita del potere, altre ancora preoccupazioni per i destini personali, a tutti i livelli, anche di staff e collaboratori costretti a lasciare le stanze vellutate del governo per tornare (forse) in quelle austere e poco sfarzose del Nazareno.

Nell’ultimo colloquio al Colle è sembrato che il premier pensi, però, che rimanere equivarrebbe a perdere la faccia e a dare l’impressione di essere attaccato alla poltrona, dopo l’annuncio urbi et orbi del “me ne vado, perché diverso dagli altri”. Il me ne vado però non è accompagnato da una indicazione su quel “percorso ordinato” che ha in mente il capo dello Stato e condiviso, nel primo giorno delle consultazioni, dai presidenti delle due Camere, Boldrini e Grasso, e dal presidente emerito Giorgio Napolitano: consentire la nascita di un nuovo governo che duri tutto il tempo necessario ad approvare una nuova legge elettorale, mettere in sicurezza i conti e le banche, non far sfigurare l’Italia al G7 che si svolgerà a maggio in Sicilia.

Un “percorso ordinato” che il capo dello Stato vuole avviare con consultazioni ordinate. Per questo si confida molto, tra le alte cariche, che questo fine settimana aiuti a ritrovare serenità. E porti sabato la delegazione del Pd a collaborare al percorso. E non a iniziare un gioco teso a far fallire questa o quella possibilità di arrivare a un governo, per accusare le altre forze politiche di irresponsabilità e tornare alla casella iniziale, cioè che si vada avanti con questa maggioranza – che non è mai stata sfiduciata – e con Renzi. Un (ex) ministro del Pd che ha consuetudine con ambienti del Quirinale spiega: “Il punto è che Renzi, di qui a sabato, è davanti a una scelta. Il Quirinale ha fatto capire che serve un governo per mettere mano alla legge elettorale. E gli ha fatto capire la sostanza della questione: se vuoi una soluzione faccelo sapere. Può rimanere lui, può indicare un altro. Di fatto stiamo parlando di un governo fino a primavera. Se vuoi lo sfascio te ne assumi la responsabilità. E confida che questi due giorni facciano maturare una consapevolezza”.

L’importante, al Colle, sono consultazioni ordinate per un governo ordinato. Nel disordine del Pd, per tutto il giorno, dal campo renziano è filtrato il nome di Paolo Gentiloni, la best option del giglio magico dopo Renzi perché “è uno dei nostri”. E la sua presenza assicurerebbe un minimo di continuità a palazzo Chigi. Della continuità farebbe parte anche la permanenza di Luca Lotti, nel ruolo di sottosegretario. Postazione strategica, perché nel 2017 ci sono in agenda nomine che rappresentano il cemento di qualunque governo. Già si parla, per i primi mesi del prossimo anno, di un cambio dei vertici Rai e del direttore generale del Tesoro Vincenzo La Via. E poi in primavera si passa ad Enel, Eni, Poste, Finmeccanica, Terna e tanti altri consigli di amministrazione. Le vecchie volpi del Palazzo però scommettono che, in questo quadro, “se indichi uno del Pd, in questo quadro di scontro interno, la quadra non la trovi, anzi aumenti la balcanizzazione del Pd”. Mentre Grasso e Padoan garantirebbero un clima più sereno, consentendo lo svolgimento del congresso del Pd nelle forme e nei modi opportuni, non sulla pelle del governo e del paese.
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