Legge elettorale, nuovo rinvio alla Camera. I lavori in commissione procedono a rilento e l’approdo in aula slitta ancora

Nulla da fare per la riforma della legge elettorale, che registra l’ennesimo rinvio alla Camera. L’ufficio di presidenza della commissione Affari costituzionali di Montecitorio, infatti, ha preso atto che l’esame della riforma non potrà terminare entro lunedì 27 marzo, data in cui è calendarizzata in aula, e ha concordato di inviare una lettera alla presidente della Camera, Laura Boldrini, per comunicare l’impossibilità dell’approdo in aula la settimana prossima.

Il presidente della commissione, Andrea Mazziotti, ha auspicato che a partire da domani, “ci sia un dibattito concreto” sulla riforma e non “solo sulle rispettive proposte di bandiera”, in modo da arrivare “al più presto” a un testo base che consenta di fissare la data per la presentazione degli emendamenti. Durante la seduta del pomeriggio, Mazziotti ha concluso l’illustrazione sulle proposte di riforma, che intanto sono arrivate a 29: oggi si sono aggiunte quelle a firma Valiante, La russa, Lupi e Costantino.

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Attacco all’eredità di Matteo Renzi: Commissione Ue, Fmi e Berlino sul Dieselgate. Il governo resiste, Renzi punta al voto

La Commissione Europea chiede all’Italia una manovra aggiuntiva di 3,4 miliardi di euro. Il Fondo Monetario Internazionale taglia le stime di crescita del Belpaese. Il ministro dei trasporti tedesco Alexander Dobrindt chiede all’Ue di garantire che i modelli Fca Fiat500, Doblò e Jeep-Renegade siano ritirate dal mercato per violazioni delle norme sulle emissioni. E’ un attacco concentrico al cuore di ciò che Matteo Renzi ha lasciato nel momento in cui ha mollato Palazzo Chigi dopo la sconfitta al referendum del 4 dicembre.

L’eredità dell’ex premier è presa d’assalto. Prima di tutto dalla Commissione Europea, che prima del referendum aveva di fatto sospeso il giudizio su una legge di stabilità fatta anche quest’anno di sforamenti rispetto ai vincoli dell’austerity, per via delle spese per migranti e sicurezza. Eccolo qui, un primo giudizio è arrivato: l’Italia deve varare una manovra correttiva del valore di 3,4 miliardi di euro, fanno sapere da Palazzo Berlaymont.

E’ una doccia gelata per Roma, in un inverno già alquanto rigido. Già in mattinata, Padoan si riunisce per un’ora con il premier Paolo Gentiloni. Dal Tesoro insistono a dire che ancora dalla Commissione non è arrivata alcuna lettera ufficiale e che il confronto, mai interrotto con il commissario all’Economia Pierre Moscovici, continua. Al governo decidono di resistere all’attacco. Ma non è Gentiloni a parlare.

Per l’esecutivo parla il ministro Pier Carlo Padoan e per ora non cede. “Vedremo se sarà il caso di prendere misure ulteriori per rispettare gli obiettivi – dice – Ma la via maestra per abbattere il debito è la crescita: e questa resta la priorità del governo”.

Troppo presto per dire se siamo di fronte ad un nuovo braccio di ferro con l’Ue. Ma certo gli indizi ci sono tutti. Dal governo fanno sapere che non se ne parla di nuove tasse per riparare il debito. E comunque si parte da una trattativa con la Commissione per cercare di ridurre l’impatto dell’eventuale nuova manovra. E poi, questo è il secondo elemento di reazione del governo, a Roma non la chiamano ‘manovra correttiva’. Piuttosto, dice il viceministro all’Economia Enrico Morando si tratta di “misure di aggiustamento, ma senza penalizzare la crescita e senza ostacolare il contrasto alla povertà e all’eccesso di disuguaglianze”.

Insomma, anche con l’uso delle parole si cerca di attutire l’impatto dell’attacco all’eredità di Renzi. Padoan poi si dice “stupito” per la decisione dell’Fmi. “Le ragioni addotte per dire che la crescita sarà più bassa sono: che ci sarà più incertezza politica, che secondo me è difficile da argomentare perché il nuovo governo è in continuità con il precedente, e ci saranno problemi con le banche. Anche qui il governo ha preso importanti misure proprio per fronteggiare situazioni che non sono preoccupanti”.

Il punto è che, off the record, sono proprio il premier e i suoi a dirsi certi che “se avesse vinto il sì al referendum, questo attacco non ci sarebbe stato”. E’ questo il commento a caldo che trapela nei contatti tra Roma e Pontassieve, tra Palazzo Chigi e il quartier generale provvisorio del segretario Pd. “Monti ha votato no al referendum costituzionale: facciamoci una domanda, diamoci una risposta”, dice il renziano David Ermini. Insomma, dice un altro fedelissimo dell’ex premier, “non mi figuro uno scenario con Renzi ancora a Palazzo Chigi, vittorioso al referendum, e la Commissione che chiede una manovra correttiva…”.

Colpa di Gentiloni? “No, è che la voce grossa con l’Europa la si poteva fare dopo il 40 per cento preso alle europee. Adesso l’Italia potrà tornare ad avere voce nel capitolo europeo solo con nuove elezioni, legittimità popolare e un Pd che vinca…”, aggiunge un renziano della prima ora.

Commenti a denti stretti, con tanta amarezza e consapevolezza che di armi a disposizione non ce ne sono molte. Una cosa è certezza: di fronte all’attacco, Renzi e il suo successore a Palazzo Chigi cercano una stessa risposta. Tanto che nel pomeriggio a un certo punto si diffonde addirittura la voce di una nuova enews da parte dell’ex premier, la prima nel ruolo di segretario Pd. Poi ci ripensa.

Ma per lui lo scenario resta lo stesso: andare al voto al più presto. A maggior ragione di fronte al nuovo attacco straniero, che per ora conosce tre piste: Commissione, Fmi, la Germania che quest’anno ha la sua campagna elettorale per le politiche. “Fattore da non dimenticare – dicono i Dem a Bruxelles – useranno l’argomento Italia ai fini del voto…”.

Intanto a sera l’argomento lo usa Graziano Delrio, tornando ad attaccare Berlino sul Dieselgate. “Non accettiamo imposizioni per le campagne elettorali o le tensioni interne ad un paese – dice il ministro al Tg1 – La proposta tedesca è irricevibile: non si danno ordini a un paese sovrano come l’Italia, l’autorità di omologazione italiana è quella deputata a stabilire la correttezza dei dispositivi e noi l’abbiamo stabilito esattamente come loro hanno stabilito le irregolarità sulla Volkswagen. Queste sono le relazioni tra buoni vicini che si rispettano, noi non abbiamo niente da nascondere, per questo i dati sono a disposizione della commissione europea che ha messo in piedi una camera di mediazione”.
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Il nuovo terremoto rafforza le ragioni di Roma contro Bruxelles: ecco la risposta di Padoan alla Commissione Ue

Il sisma della notte scorsa non cambia la sostanza della risposta italiana alla Commissione Europea sulla manovra economica ma certo rafforza la posizione del governo Renzi. Il caso insomma fa la sua parte, pur catastrofica per le popolazioni colpite. E’ un fatto se stamane, dopo una notte di scosse e paura nel centro Italia, a Bruxelles la portavoce del Commissario Pierre Moscovici, Annika Breidthardt, sia stata costretta dagli eventi a tornare su quei “costi per l’emergenza in risposta a catastrofi naturali” che “secondo le regole Ue” sono “esclusi dal calcolo degli sforzi strutturali di uno Stato durante la valutazione del rispetto delle regole del Patto di stabilità e crescita”. A Roma si diffonde lo stesso ottimismo che ha colto il premier Matteo Renzi venerdì scorso a Bruxelles quando il Consiglio europeo ha riconosciuto “gli sforzi italiani, anche quelli economici” per accogliere i migranti. Terremoto e profughi sono infatti i due capisaldi di spesa sui quali non a caso fa leva l’attesa risposta del ministro del Tesoro Pier Carlo Padoan alla lettera della Commissione Europea.

Si tratta di una semplice email, indirizzata al Vice Presidente Dombrovskis e al Commissario Moscovici. “Dear Valdis, dear Pierre”, scrive con fare informale Padoan. La missiva viene pubblicata sul sito del ministero di via XX Settembre e su quello della Commissione Europea, quello dove ci sono tutte le leggi di bilancio presentate dagli Stati membri con le relative lettere della squadra Juncker per l’Italia e altri sei paesi (Lituania, Finlandia, Belgio, Spagna, Portogallo, Cipro). Un testo di sei pagine (incluse le tabelle) in cui il Tesoro fornisce nuovi argomentazioni per cui le spese per la ricostruzione post-sisma e messa in sicurezza del territorio e quelle per l’accoglienza dei profughi devono essere scorporate dal patto di Stabilità e crescita.

La missiva parte dal peggioramento delle condizioni economiche globali. “Questo significa che l’economia italiana sta ancora soffrendo condizioni cicliche difficili – si legge – e si appresta ad un più graduale aggiustamento verso gli obiettivi di medio termine, che resta il pareggio di bilancio nel 2019”. E’ per questo che il deficit strutturale non scende, spiega il Tesoro nella risposta a Bruxelles. Ma anche per via delle “spese straordinarie su migranti e rischio sismico”.

I costi straordinari dell’accoglienza saranno lo “0,2 per cento del pil per il 2017”. “Il numero di migranti e rifugiati arrivati sulle nostre coste o salvati dalla nostra marina e guardia costiera è aumentato quest’anno – continua la lettera per l’Ue – e c’è il rischio concreto che questo trend persista nel 2017. Fino al 26 ottobre 156.705 migranti sono stati salvati nel 2016, più dell’intero 2015”. E’ la prima volta che il governo mette nero su bianco l’aumento degli arrivi: prima dell’estate insisteva nel dire che i profughi sbarcati non erano aumentati rispetto all’anno scorso. Invece la lettera per l’Ue diventa l’occasione per l’ennesima invettiva italiana sull’immigrazione.

“Il numero degli immigrati arrivati in Italia nel 2016 è di tre volte superiore a quello del 2013 e ancor più rispetto al 2011-2012”. E ancora: “I confini esterni dovrebbero essere responsabilità comune. L’Italia sta giocando un ruolo critico nella difesa dei confini esterni dell’Ue e ha fatto sforzi finanziari eccezionali per l’Unione Europea per assolvere i suoi compiti umanitari”. Perciò “le spese per le operazioni di soccorso, prima assistenza sanitaria, accoglienza ed educazione per più di 20mila minori non accompagnati sono stimate in 3,3 miliardi di euro nel 2016 e 3,8 mld nel 2017 in uno scenario stabile. Ma se il flusso dovesse continuare a crescere con il ritmo che ha avuto di recente, la spesa salirebbe a 4,2 miliardi di euro”. E inoltre “va sottolineato che diversamente da altri Stati europei l’Italia non include i costi aggiuntivi per l’integrazione sociale dei migranti, perchè non sono direttamente correlate alla gestione dei confini esterni”.

Per quanto riguarda invece i costi del rischio sismico, “il governo nel 2017 avrà spese considerevoli per l’assistenza post-terremoto e la ricostruzione, per un totale di 2,8 miliardi di euro. Inoltre, data la frequenza di terremoti distruttivi e la sofferenza che hanno causato alle popolazioni italiane, il governo intende portare avanti un programma aggiuntivo per affrontare il rischio sismico con più forza che in passato. Questa azione è necessaria per assicurare per esempio i nostri 42mila edifici scolastici, il 30 per cento dei quali richiedono manutenzione strutturale o devono essere completamente ricostruiti”. Oltre agli “investimenti pubblici” destinati a questo obiettivo, nella legge di bilancio “aumentano” anche “gli incentivi fiscali per gli interventi anti-sismici per le abitazioni private” per un costo di “2 miliardi di euro” sul budget del 2016. La somma degli investimenti pubblici e degli incentivi fiscali per gli interventi anti-sismici fa lo “0,2 per cento del pil”.

Ora la Commissione Europea ha tempo fino alla fine di novembre per esprimere un nuovo parere. Mentre il 9 novembre, diffonderà le previsioni economiche d’autunno per tutta l’Ue. A Roma non si aspettano altri bracci di ferro. Non prima del referendum costituzionale del 4 dicembre. La risposta della Commissione Juncker dovrebbe essere ‘provvisoria’, un parere teso a prendere tempo fino al 5 dicembre, quando si riunirà l’Eurogruppo. Il braccio di ferro contro il governo di Roma potrebbe iniziare solo allora. Domani intanto a Bratislava il ministro Pier Carlo Padoan avrà modo di toccare con mano la reazione di Moscovici in un bilaterale ad hoc a margine di una conferenza sull’Unione monetaria.

Se Renzi vince il referendum è sua intenzione cominciare da subito la battaglia per cambiare il Patto di stabilità e crescita e il Fiscal Compact, battaglia che gli assorbirà tutto il 2017, peraltro anno di campagna elettorale verso le politiche del 2018 (se non prima, secondo alcune voci di Palazzo). E come per la campagna referendaria la critica all’Europa sarà il cavallo di battaglia del premier anche in vista delle elezioni per il rinnovo della legislatura di governo. Già da ora Renzi ha lanciato il suo sasso nel pozzo delle tensioni europee, minacciando il veto italiano sui fondi ai paesi che non accolgono i migranti nella discussione sul prossimo bilancio europeo 2020-2026 che inizierà l’anno prossimo. Roba che ha già scatenato reazioni in Ungheria. “Se l’Italia rispettasse le regole, allora ci sarebbe minore pressione migratoria nell’Unione europea”, attacca il ministro degli Esteri ungherese Peter Szijjarto. Gli risponde a tono il titolare della Farnesina Paolo Gentiloni: “Con muri e referendum l’Ungheria ha sempre rivendicato di violare le regole europee sulle migrazioni. Ora almeno eviti di dare lezioni all’Italia”.

Scintille destinate a intensificarsi, se Renzi resta in sella vincendo il referendum. Se invece lo perde, lo scenario è tutto da disegnare anche a Bruxelles, dove sperano comunque che il premier italiano non faccia la fine di David Cameron messo ko dalla Brexit.
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La Commissione Ue scrive, Matteo Renzi se ne infischia: “La manovra resta com’è”. E alza il tiro sui migranti

Alla fine la Commissione Europea scrive. Lettere per sette paesi dell’Ue: Italia, Belgio, Finlandia, Cipro, Spagna, Portogallo e Lituania. Qui a Roma nelle caselle email del ministero del Tesoro la missiva è arrivata ieri sera. Oggi è pubblica sul sito ufficiale della Commissione Ue. Nella sostanza si chiede ciò che era trapelato nei giorni scorsi. E non sono buone notizie per Matteo Renzi e Pier Carlo Padoan. Entro giovedì 27 ottobre infatti dovranno fornire chiarimenti su: deficit strutturale che cresce dello 0,4 per cento invece di diminuire dello 0,6; spese per migranti e sisma del 24 agosto, quantificate nella manovra in 6,8 miliardi di euro (0,4 per cento del pil). Ma per ora Renzi e Padoan rispondono picche. Anzi con la lettera europea entra di fatto nel vivo il braccio di ferro tra Roma e Bruxelles sul bilancio italiano 2017, con un occhio a quello europeo per gli anni a venire. Su questi Renzi promette “il veto” se verranno confermate le risorse per quei paesi che non accolgono i migranti. Di più: se vince il sì, programma di mettere a soqquadro il ‘Fiscal Compact’. Di questa intenzione, il premier ha già accennato in recenti apparizioni tv, e c’è da scommetterci che la stessa sarà rilanciata nella manifestazione di sabato del Pd.

“C’è da mettere il veto”, dice Renzi a Porta a Porta parlando della discussione sul bilancio Ue 2020-2026 che inizierà l’anno prossimo. “Noi mettiamo i soldi se in cambio degli oneri ci sono gli onori. I soldi non passano attraverso i muri. Sai che c’è? Che se non ci aiutate, non mettiamo più i soldi”. E ancora: “Il governo Monti ha stabilito che diamo 20 miliardi e ne riceviamo 12, ma se Ungheria, Slovacchia ci fanno la morale sui nostri soldi e poi non ci danno una mano sui migranti non va bene”.

Fin dall’inizio della tenzone con Bruxelles, il premier ha intrecciato la questione ‘manovra economica’ con la questione migranti. Tradotto: c’è chi dà e non riceve dall’Ue, come i paesi Mediterranei. E chi invece ha mandato a monte il piano Juncker di redistribuzione dei profughi eppure non viene punito dall’Ue: è il caso dei paesi dell’Est, il cosiddetto blocco di Visegrad (Ungheria, Slovacchia, Polonia e Repubblica Ceca).

Quanto alla lettera Ue sulla manovra: “Di violazioni alle regole europee cene sono tante. La Francia da 9 anni è sopra il 3%, la Spagna ha un deficit che è il doppio del nostro, sul 5%. Il nostro debito è cresciuto dello 0,1% dal 2015, tutti gli altri molto di più a parte la Germania. Ma questa discussione non serve a niente. Io vado avanti per conto dell’Italia, non per conto mio. L’Italia ha rispettato tutte le regole. Abbiamo dato il deficit al 2% e uno 0,3% che è dato dalle clausole eccezionali per terremoto e immigrati. E questa cosa io sono pronto a difenderla in capo al mondo…”.

I toni con Bruxelles sono questi. E l’intenzione è di confermare punto per punto una manovra che mette in difficoltà una Commissione Europea che comunque vuole negoziare con l’Italia e aiutare Renzi a vincere il referendum del 4 dicembre. E’ per questo che Palazzo Berlaymont potrebbe non esprimere un giudizio definitivo entro quella data, ma comunque – come confermano anche oggi fonti alte della Commissione all’Huffpost – entro la fine di novembre diranno la loro su tutte le leggi di bilancio dei paesi Ue. A Renzi tutto questo non interessa. E nemmeno a Padoan. Anzi, “non c’è niente di più popolare che lo scontro con l’Ue”, osserva a distanza Martin Schulz, presidente dell’Europarlamento, citando una frase che ormai a Bruxelles è diventata quasi un adagio.

La manovra “è definita nel dettaglio e sarà mantenuta”, spiega quindi anche il ministro dell’Economia Padoan ospite a ‘Politics’. Cosa più importante: il governo italiano confermerà con Bruxelles non solo i 6,8 miliardi di euro di spese su migranti e terremoto (le circostanze eccezionali riconosciute dai trattati) ma anche quel deficit strutturale in crescita che preoccupa tanto i commissari Ue perché, come scrivono nella lettera, viene meno ai patti con cui l’anno scorso la Commissione ha accordato all’Italia 19 miliardi di euro di flessibilità. “Se mandano la lettera a noi, dovrebbero mandare libri e un’enciclopedia a chi non accoglie i migranti”, è il mantra di Renzi.

La battaglia sulla legge di stabilità è propedeutica a quella sulla modifica dei Trattati che nei piani di Renzi inizia a marzo dell’anno prossimo in occasione dei 60 anni del Trattato di Roma, che sarà celebrato alla presenza di tutti i leader europei. “Il Fiscal compact ha una data di scadenza: 5 anni”, dice sempre il premier. Approvato nel 2012, scade l’anno prossimo: ecco perché il 2017 è il tempo giusto per sferrare l’attacco. Sempre però che il premier vinca il referendum costituzionale del 4 dicembre. A Bruxelles vogliono aiutarlo pur sapendo che, dopo, i falchi (soprattutto tedeschi) dell’austerity si potrebbero ritrovare sotto attacco, proprio nell’anno di campagna elettorale per le legislative a Berlino. Però a Bruxelles non vedono alternative a Renzi, come garanzia di stabilità in Italia, per ora.

E’ questa la cornice nella quale Padoan si ritroverà faccia a faccia con Moscovici venerdì prossimo a Bratislava, proprio all’indomani della risposta italiana a Bruxelles: picche. Il ministro e il commissario all’Economia saranno entrambi relatori ad un seminario sul “rafforzamento dell’Unione monetaria in tempi di crisi”. Ci sarà anche il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schauble.

Ma Renzi ha in mente un’altra data per irrobustire la sua battaglia europea in chiave di campagna referendaria. Vale a dire: 18-19 novembre a Berlino. C’è il vertice dei capi di Stato e di governo di Italia, Francia, Gran Bretagna, Germania convocato da Angela Merkel. Ma la Cancelliera ha invitato anche Barack Obama che proprio all’Europa dedicherà così la sua ultima missione all’estero da presidente degli Usa. Dopo la due-giorni all’insegna della crescita e del no all’austerity alla Casa Bianca, Renzi arriva a Berlino convinto dell’assist dell’amico Barack. Dovrà solo stare attento a non raccogliere troppi consensi espliciti al sì per il referendum: magari da Merkel o da altri leader Ue. Potrebbero essere controproducenti.
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