Condoglianze dell’assessore Grieco per la scomparsa di Lazzari, il preside di Lucca che aveva gestito il caso dei bulli

FIRENZE – “Sono addolorata e profondamente colpita dalla scomparsa del professor Lazzari, che lo scorso anno aveva brillantemente gestito il delicato caso di alcuni bulli che, a Lucca, avevano vessato un docente. E’ un lutto che ha gettato nello sconforto il mondo scolastico lucchese. Alla famiglia, alla scuola ed a tutti coloro che gli hanno voluto bene, e non ho dubbi che siano molti, va un abbraccio sincero e forte”.
Così si è espressa l’assessore ad Istruzione, formazione e lavoro della Regione Toscana, Cristina Grieco, nell’apprendere la notizia dell’improvvisa scomparsa, avvenuta ieri sera in Sicilia, del preside dell’istituto Carrara Nottolini Busdraghi di Lucca e delle scuole medie di Bagni di Lucca, Cesare Lazzari, a cui un malore è stato fatale mentre nel pomeriggio stava facendo il bagno nel mare di Sampieri, in provincia di Ragusa, terra di origine della moglie Loredana.

Nato a Lucca, Lazzari si era laureato in Fisica all’università di Pisa ed era stato docente prima al liceo Vallisneri di Lucca, lo stesso in cui si era diplomato, poi al scientifico Majorana di Capannori. Era quindi diventato dirigente scolastico ed aveva ricoperto quel ruolo alle scuole Mazzini di Livorno, prima di passare al Carrara di Lucca nel 2015 dove ancora era in servizio.

Nel 2018 si era trovato a gestire la vicenda dei bulli, assunta alle cronache nazionali dei giornali e delle tivù, che avevano vessato un insegnante. In quel frangente, dimostrando capacità direttive e di giudizio, aveva deciso delle misure disciplinari.

 

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Il caso Consip scuote il Governo, Paolo Gentiloni: “La maggioranza è solida”

“Abbiamo una maggioranza solida, abbiamo una serie di riforme decise dal governo di cui già facevo parte da completare. Abbiamo nuove iniziative di cambiamento avviate in queste settimane. Con un catalogo lungo. Ma la mia non è una scelta, fa parte del mio dovere trasmettere a tutti i nostri concittadini l’idea che il governo si concentra sulla sua attività e sul tentativo di dare una soluzione ai problemi. E’ di questo che abbiamo bisogno”. Lo ha detto il presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, a Catania.

“Non dobbiamo dimenticarci da dove veniamo: da 7-8 anni di crisi continuativi, durissimi sul piano sociale che soltanto ultimamente grazie a sacrifici degli italiani, alle imprese che esportano, al senso del dovere dei nostri lavoratori e all’impegno dei governi guidato da Renzi e da chi l’ha preceduto, ci siamo rimessi gradualmente in carreggiata. Ma le cicatrici di questi anni sono lì”, ha proseguito Gentiloni. Il premier ha poi aggiunto: “Utilizzare i fondi per il Mezzogiorno è uno dei problemi cruciali del Paese. Se diamo risposte al divario non facciamo una cosa utile e importante per il Sud ma recuperiamo una delle potenzialità per la crescita del nostro Paese”.

“Abbiamo bisogno di riprendere direttamente in mano la questione dello sviluppo del Mezzogiorno – ha annunciato – e tra un mese lo faremo con un grande incontro a Matera”. “L’Italia è un paese ricco di opportunità e straordinariamente ricco di potenzialità . Noi dobbiamo mettere l’amore e la dedizione per il nostro Paese davanti a tutto”.
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Caso Consip, Matteo Renzi: “Un disegno evidente per creare tensioni ad hoc. Mio padre? Se colpevole pena doppia”

Non crede al complotto. Però lo evoca. “C’è un disegno evidente in queste ore di tentare di mettere insieme cose vecchie di mesi”. L’indagine su Lotti e Del Sette “è una cosa di tre mesi fa. Cosa è successo?”, domanda Renzi. “Una discussione incredibile. Non credo ai complotti” ha detto, ospite di Lilli Gruber a Otto e mezzo. Ma ha poi specificato che “si creano tensioni ad hoc con polemiche come quelle di questi giorni”.

Mentre a Piazzale Clodio quasi contemporaneamente terminava l’interrogatorio di suo padre Tiziano Renzi, indagato nell’inchiesta Consip per traffico di influenze, l’ex premier ne parla in tv: “Se c’è un parente di un politico indagato in passato si pensava a trovare le soluzioni per scantonare il problema ed evitare i processi. Io sono fatto in un altro modo: per me i cittadini sono tutti uguali. Anzi. Se mio padre secondo i magistrati ha commesso qualcosa mi auguro che si faccia il processo in tempi rapidi. E se è davvero colpevole deve essere condannato di più degli altri per dare un segnale, con una pena doppia”.

“Se ci sono ricatti si va dai magistrati. Vogliamo essere chiari: stiamo parlando di soldi pubblici e allora se ci sono ricatti e reati, se ci sono tangenti c’è il dovere di fare i processi. Noi siamo persone perbene, non abbiamo paura dei processi. Anzi. Erano quelli di prima che facevano i lodi e il legittimo impedimento per non fare i processi”, ha aggiunto Renzi. “Io so chi è mio padre e lui deve difendersi dal punto di vista processuale. Di quello che ha fatto mio padre ne Deve rispondere lui davanti ai magistrati, lo considererei una cosa gravissima se fosse condannato”.

Renzi poi blinda il suo braccio destro Luca Lotti, anche lui indagato nell’inchiesta Consip: “Non deve assolutamente dimettersi, a mio giudizio. Lo conosco da anni e la sua famiglia deve sapere di avere in casa una persona estremamente onesta. Non accetto processi sommari. È una persona straordinariamente seria. Io non ho mai scaricato nessuno e mai lo farò”. “Sono pronto a scommettere che Lotti e Del Sette non hanno commesso il reato”, ha aggiunto.

“In questi anni in cui abbiamo governato ci sono stati una serie di cambiamenti ai vertici della macchina pubblica e non c’è stato alcuno scandalo verificato dalla magistratura, e non dai giornalisti di Cerno (Espresso, ndr)”, si è difeso Renzi. “Si è garantisti sempre. Non sto in un partito guidato da un pregiudicato e io non ho la fedina penale sporca. Abbiamo fatto cambiamenti epocali”.

L’ex premier ha poi parlato della condanna in primo grado inflitta dal tribunale di Firenze al senatore Denis Verdini a nove anni: una sentenza “pesante” e “se la condanna verrà confermata” in via definitiva, è un “fatto rilevante, grave e con conseguenze non solo politiche ma anche personali”, ha detto. “Quanto al giudizio politico, se si è fatto Jobs act, Expo e Giubileo e una serie di cose concrete, è perché c’è stata una maggioranza che nonostante il fallimento delle elezioni 2013 ha governato. Se non c’era Verdini non passavano i diritti civili, perché Bersani non ha vinto le elezioni nel 2013”.

Quanto alla campagna per le primarie Renzi ha annunciato che “mi farò accompagnare da Maurizio Martina, che ha fatto molto bene come ministro, in un ticket. Ci saranno altre persone che saranno coinvolte, metà donne e metà uomini. E sarà una bella esperienza di campagna elettorale fatta con le proposte. Non mi sentirà mai parlar male degli altri”.

“In questi tre anni qualcosa è cambiato. Potevo fare meglio e mi viene un groppo in gola a pensarlo. Ma il Lingotto non può essere il racconto dei mille giorni appena trascorsi ma l’occasione di raccontare che tipo di Italia possiamo mandare a testa alta in Europa”, ha aggiunto.

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Il caso Consip fa tremare il Giglio magico. L’indagine su Tiziano e la nuova luce sui rapporti con Verdini. Quadrato intorno a Lotti

Ci sono dei giorni in cui tutti gli elementi di una storia si compongono come in un mosaico perfetto. Squarciano il velo sul passato e spalancano le porte sull’ignoto, in questo caso al giglio magico. Chi ha avuto contatti con l’ex premier racconta che, per la prima volta e a dispetto degli spin, la preoccupazione è tangibile: “Se si dimette Lotti, salta tutto”, sussurra la fonte. Al momento la linea è fare quadrato, respingendo ogni accusa (leggi qui post di Lotti su facebook) e attaccando i Cinque Stelle che presenteranno la mozione di sfiducia, in attesa degli sviluppi dell’inchiesta Consip. E al momento la linea è “le primarie si faranno il 30 aprile”. Ovvero, non saranno rinviate, né Renzi ha intenzione di intestarsi una “mossa” di conciliazione interna, né tantomeno di fare “passi indietro”.

Il solo fatto che, tra ministri e nella war room dell’ex premier, si facciano questi ragionamenti, unito al silenzio inquieto e teso di un ceto politico solitamente ciarliero su ogni mezzo di comunicazione, tutto questo dà il senso di come il momento sia vissuto come una sorta di tentativo di Idi di marzo, politiche e giudiziarie. Diverse volte, nella storia d’Italia, le inchieste hanno dato il colpo di grazia a leader già indeboliti politicamente, come accadde prima con Craxi e poi con Berlusconi. E non è sfuggito, dalle parti dell’ex premier, il modo in cui stia leggendo la fase Giorgio Napolitano, uno che ai tempi del primo era presidente della Camera e ai tempi del secondo da capo dello Stato esercitò un forte ruolo di indirizzo politico. In un’intervista a Concita Sannino su Repubblica è proprio Alfredo Mazzei, un suo amico storico napoletano, migliorista, collaboratore della sua fondazione, a raccontare la famosa cena in una “bettola” tra Romeo e il papà di Renzi. E non è un mistero che tutto il mondo di Napolitano, da Violante a Macaluso, abbia fortemente invitato Orlando a candidarsi, poco prima che deflagrasse l’inchiesta e quando l’unica alternativa era Emiliano, troppo “grillino” per affidargli il Pd.

Ecco perché fa davvero paura l’inchiesta Consip che, tra l’altro, dopo il 4 dicembre ha avuto un salto di qualità, con l’acquisizione di nuovi elementi probatori, a partire dalle confessioni di Marco Gasparri. Perché è evidente, sussurrano le stesse fonti, che il “babbo” di Renzi era indagato per traffico di influenza e ora l’attività della procura è volta a verificare se ci sono le condizioni per un’accusa di corruzione. E che investigatori e inquirenti, che venerdì interrogheranno Tiziano Renzi, sono a caccia di prove del fatto che si facesse pagare per la sua mediazione.

Il “babbo”, ma anche “il Lotti”, e “Denis”: il processo Consip suona come un processo al sistema di potere costruito negli sfavillanti mille giorni di governo, che illumina la struttura materiale di quel potere scevra della sovrastruttura narrativa. L’inchiesta dell’Espresso (leggi qui) su “pressioni e ricatti” che avrebbe subito l’ad di Consip Marroni dall’imprenditore Carlo Russo, amico di Tiziano Renzi, spiega questi anni di sodalizio inscalfibile tra Verdini, l’ex plenipotenziario di Berlusconi, e Lotti: l’asse inscalfibile, la stampella al governo, anche senza posti, perché, a leggere le carte, non era il governo il vero interesse del sodalizio. E spiega quelle frasi pronunciate da Bersani sulla mutazione genetica del Pd, “parla più con Verdini che con Speranza”, “questa non è più casa mia”.

Ci sono giorni, solitamente i più neri, in cui come si dice in gergo “arrivano tutte assieme”, ed arriva anche l’ennesima medaglia al valor giudiziario di Denis Verdini: la condanna a 9 anni (nell’ambito del processo per il crac del Credito cooperativo fiorentino.

Tutto questo quadro, fatto di accuse a uomini che, a partire da Lotti, solitamente non agivano a insaputa del premier, ha già cambiato tutto, al netto delle dichiarazioni ufficiali. Ha già spostato il terreno di confronto delle primarie, tanto che più di un big ha suggerito di spostarle, ricevendo come risposta: “Sarebbe come ammettere la colpa”. E a quel punto “non la riprendi più” come è emerso lunedì sera, alla riunione dei franceschiniani, piuttosto mossa. Un competitor di Renzi è un magistrato che, nel processo, sarà ascoltato come testimone per la vicenda degli sms. L’altro è il ministro della Giustizia, che abita un Palazzo dove l’aria che tira si può sentire meglio che altrove. E che, se mai qualche ultrà del renzismo dovesse chiedere di mandare ispettori in qualche esuberante procura, avrebbe il potere di dire di no. Pare un mosaico perfetto, il passato nelle carte, il futuro del giglio magico come una porta sull’ignoto.
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“La ministra dell’Istruzione Valeria Fedeli ha mentito, non è laureata”. Scoppia il caso, lo staff ammette: “Infortunio lessicale”

Il giallo sulla laurea del ministro dell’Istruzione Valeria Fedeli dura per tutta la giornata. È Mario Adinolfi, direttore de La Croce Quotidiano, a sollevare per primo il caso su Facebook: “Valeria Fedeli mente sul proprio titolo di studio, niente male per un neoministro all’Istruzione. Dichiara di essere “laureata in Scienze Sociali”, in realtà ha solo ottenuto il diploma alla Scuola per Assistenti sociali Unsas di Milano. Complimenti ministro, bel passo d’inizio. Complimenti Paolo Gentiloni: a dirigere scuola e università in Italia mettiamo non solo una che non è laureata, ma una che spaccia per “laurea in Scienze Sociali” un semplice diploma della scuola per assistenti sociali”, scrive Adinolfi.

Quanto scrive Adinolfi combacia con il curriculum della neoministra (almeno con uno dei due presenti sul sito web dell’ex vicepresidente del Senato). “Finite le scuole mi sono trasferita a Milano per iscrivermi dove ho conseguito il diploma di laurea in Scienze Sociali, presso UNSAS” (Unione Nazionale per le Scuole di Assistenti Sociali), si legge nella biografia. Le scuole per Assistenti sociali, tuttavia, hanno ottenuto il riconoscimento giuridico del titolo di assistente sociale solo nel 1987. Ma questo non vuol dire che siano state trasformate in corsi di laurea quell’anno. L’assorbimento nelle facoltà universitarie infatti avvenne solo nel 2000 (salvo i corsi sperimentali dell’Università di Trieste e dell’università Lumsa di Roma, lanciati nel 1998).

Il giallo sulla laurea si infittisce, e sono tanti gli utenti sui social network a chiedere alla neoministra di fare chiarezza sul suo curriculum vitae. Secondo quanto riportato da Il Mattino, però, lo staff della Fedeli avrebbe confermato che la ministra non è laureata:

Il suo staff conferma, ma spiega che è solo un infortunio lessicale su cui ora qualcuno sta speculando. Del resto, avvertono, il fatto che in quella stessa biografia sia anche specificato che il “diploma di laurea” in questione è stato conseguito all’Unsas, Scuola per assistenti sociali di Milano (e dunque non in una università), è la prova della sua buona fede.

“Buona fede” che però sarebbe messa a dura prova da un altro curriculum, sempre rintracciabile sul sito di Valeria Fedeli. Nella versione in Pdf del trascorso professionale e studentesco della ministra infatti non viene menzionata l’Unsas, ma vi è un’unica dicitura che riporta tout court: “Laureata in Servizi Sociali (attuale laurea in Scienze Sociali)”.

fedeli

La ministra, chiamata in causa da tantissimi utenti sui social, non ha risposto. Ma le opposizioni hanno subito innescato la polemica: “Ma quindi il nuovo ministro all’istruzione #Fedeli non ha neanche la laurea e ha detto di averla? Niente, questi ci lanciano verso il 51%”, scrive su twitter Ignazio Corrao, eurodeputato del Movimento 5 Stelle. E anche l’account twitter della Lega Nord chiede: “La ministra dell’Istruzione Fedeli ha mentito sulla laurea?”.


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Referendum, Matteo Renzi e gli scenari post-voto: in ogni caso, urne anticipate

Vince il sì, vince il no e non ci sarà nessun forse. Domenica notte, mentre aspetterà i risultati con i suoi fedelissimi, Matteo Renzi comincerà a mettere a fuoco la sua risposta. Piano A: la vittoria. Il premier resta in carica e si prepara alla campagna elettorale per le politiche. Piano B: la sconfitta. Il premier resta in carica solo per l’approvazione della legge di stabilità, come gli chiederebbe Sergio Mattarella, congela le dimissioni e comunque affila le armi per le urne. Comunque vada, sarà voto anticipato. O almeno questa è la via d’uscita immaginata da Renzi. Anche se in caso di vittoria del sì, i renziani sono più restii ad ammetterlo.

Piano A Gli elettori consegnano a Renzi l’agognata vittoria. A risultato certo, Renzi si presenta davanti alle telecamere e tiene la conferenza stampa della rivincita. La rivincita rispetto ai sondaggi che in questa ossessiva campagna referendaria hanno sempre dato il no vincente. Da notare: solo alle europee, quando il Pd incassò il 40,8 per cento, Renzi tenne una conferenza stampa nella notte dello scrutinio. Era il 2014 e l’ex sindaco di Firenze era appena arrivato a Palazzo Chigi. Nelle altre tornate – amministrative, sempre molto meno generose con il Pd – ha rimandato le conferenze stampa al giorno dopo. In alcuni casi, le ha saltate a piè pari, come per le comunali 2015 quando partì per l’Afghanistan, visita a sorpresa dai “ragazzi” del contingente italiano.

Il discorso della vittoria tenterebbe di limitare i trionfalismi, della serie ‘ora serve unità’. Ma Renzi in cuor suo comincerebbe a sentirsi davvero legittimato da un voto popolare con il quale finora non si è mai confrontato. Non è un caso se il termine di paragone usato dal premier nel comizio di chiusura di campagna a Firenze sia stato il suo discorso per le primarie per la premiership del centrosinistra 4 anni fa, quelle perse contro Pier Luigi Bersani. “Quello fu il comizio della sconfitta, questo è invece è il comizio della vittoria”, ha detto in piazza della Signoria. Gli sarà difficile contenere orgoglio e trionfo.

È per questo che, con un occhio alla consulta che prima o poi dirà la sua sull’Italicum, i suoi abbozzano una possibile strategia. Che guarda al voto anticipato nel 2017. Per ora è idea che sta tra i desiderata. “Dovrà tener conto degli alleati – dice un renziano doc – di Alfano, di tutti quelli che chiedono la modifica della legge elettorale”. E anche della minoranza Dem che ha scelto di votare sì con la promessa di rivedere l’Italicum. Dunque, percorso complicato quello che porta al voto nel 2017 in caso di vittoria del sì. Il punto è che Renzi potrebbe averne bisogno per legittimarsi definitivamente anche a livello europeo. Visto che a partire dalla celebrazione dei 60anni del Trattato di Roma a marzo, subito dopo quello che spera sia un ok della commissione europea sulla legge di stabilità, Renzi vorrebbe assestare il colpo finale contro l’austerity. “Se vinciamo, gli diciamo che non vogliamo più essere il loro bancomat, il loro portafoglio!”, dice sempre a piazza della Signoria aizzando la folla contro l’Europa che sui profughi non si muove.

Piano B Gli elettori scelgono il no, si schierano con l’accozzaglia. Renzi non si capacita. Niente conferenza stampa nella notte più buia della sconfitta. Il giorno dopo sale al Colle per un confronto con Sergio Mattarella. Priorità: mettere il paese al sicuro dalle speculazioni dei mercati, che a quel punto si saranno già scatenati alla ricerca di un nuovo ordine. Dunque, niente dimissioni prima che il Senato – quel Senato che è ancora lì, uscito intatto dalla lavatrice del voto popolare – abbia approvato in via definitiva la legge di bilancio appena licenziata dalla Camera. Dimissioni congelate e via alla ricerca dello show down per azzerare tutto e arrivare al voto anticipato.

Ma qui iniziano gli interrogativi seri. Renzi resta segretario del Pd. Ma un minuto dopo la sconfitta è lì a studiare le mosse della sua maggioranza nel partito. Primo punto: “Se perdiamo anche solo con il 45 per cento, quella percentuale è tutta di Matteo”, dicono i suoi. “E’ come se portassimo a casa ancora una volta il risultato delle europee del 2014, con la differenza che stavolta il merito è tutto di Renzi che in questa campagna è stato più o meno solo contro tutti…”. Se così fosse, il premier-segretario lo farebbe pesare al momento delle scelte nel partito, nella direzione che convocherà dopo il voto, nel congresso che a questo punto parte subito. Ma questo non elude la domanda: cosa faranno i non-renziani e non-renzianissimi?

Vale a dire: Orfini, Orlando, Franceschini e poi Delrio, Richetti. Renzi resta il loro leader più spendibile a livello comunicativo, ma è azzoppato. Quanto Pd Renzi continuerà ad avere alle spalle, sopratutto nei gruppi parlamentari? Mattarella gli potrebbe chiedere di tornare davanti alle Camere per una nuova fiducia, magari scontata, stando agli innumerevoli inviti a restare che arrivano da tutti i ministri nonché dall’estero, da Obama al Financial Times e il New York Times. Ma Renzi si porrà la domanda: mi conviene?

Vuole restare al governo. Ma dopo la sconfitta ha un problema. Lui, il leader che si professa nuovo e non attaccato alla poltrona, dovrà trovare un’ottima giustificazione per un eventuale reincarico. Con Mattarella e i sostenitori in Parlamento dovrà raccontare una storia che non lo riduca al rango dei ‘rottamati’. Possibilmente una storia credibile. Potrà essere la storia della stabilità, della necessità di garantire un ordine. Ma a Renzi potrebbe non bastare. Avrà bisogno di un pulpito per recuperare la verginità politica perduta. Un pulpito esterno alle responsabilità di governo. Ma riuscirà a convincere il Pd a dare l’ok alla nascita di un governo di transizione (Grasso, Boldrini?) sul quale poi però scatenerà i suoi fulmini, in competizione già da campagna elettorale con Grillo?

Scenario complicato. Ed è ancora più complicato immaginare un governo Padoan, Calenda o Franceschini – i nomi più gettonati nelle chiacchiere di Transatlantico – a meno che in cuor suo Renzi non abbia deciso di cuocerli alla ‘Letta maniera’ una volta che arrivano a Palazzo Chigi.

Ecco perché, ogni scenario di sconfitta passa per un Renzi bis. A meno che Renzi non decida davvero di mollare la politica subito. Ma questa opzione non sembra essere all’orizzonte. O almeno non c’è alcun segno visibile che la annunci. A meno che il no non arrivi come un’inondazione. A quel punto gli scenari tratteggiati col bilancino sarebbero travolti.
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Real Madrid escluso dalla Coppa del Re, Benitez dribbla il caso Cheryshev: «Pensiamo al campionato» – Il Messaggero


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Real Madrid escluso dalla Coppa del Re, Benitez dribbla il caso Cheryshev: «Pensiamo al campionato»
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