Unicredit, successo per l’aumento di capitale. Adesioni oltre il 99,8%

Si chiude con un’adesione altissima, pari al 99,8%, la fase di offerta ai soci dell’aumento di capitale di Unicredit. E una spinta decisiva per il successo della ricapitalizzazione da 13 miliardi di euro, la più grande mai realizzata in Italia, è arrivata dai fondi e dei grandi investitori istituzionali che ormai presidiano gran parte dell’azionariato della banca. I pochi diritti di opzione non esercitati – equivalenti a una trentina di milioni di euro in nuove azioni – verranno ora offerti in Borsa e andranno esercitati entro il 6 marzo.

Festeggia anche il nutrito consorzio di banche – che nelle prime linee vede schierate Morgan Stanley, Ubs, Bofa Merrill Lynch, Jp Morgan e Mediobanca – che si spartirà oltre 400 milioni di euro e non corre il rischio di doversi fare carico dell’inoptato.

L’esito dell’aumento dimostra l’apertura di credito del mercato verso il piano ‘Transform 2019’ messo a punto dall’amministratore delegato Jean Pierre Mustier, che attraverso la cessione di asset (Pioneer, Banca Pekao e quote di Fineco) e la ricapitalizzazione ‘monstre’, ha curato il tallone d’Achille di UniCredit – quello della fragilità patrimoniale – e riallineato i suoi ratio di capitale a quelli delle altre banche di rilevanza sistemica.

L’aumento ha inoltre permesso di fare pulizia nel portafoglio crediti deteriorati, recependo 12,2 miliardi di euro di rettifiche nel quarto trimestre dell’anno e avviando il deconsolidamento di 17,7 miliardi di sofferenze in un veicolo partecipato da Pimco e Fortress. Mustier ha promesso agli investitori 4,7 miliardi di utili al 2019 con un Cet1 – indicatore del livello di capitale di migliore qualità – sopra il 12,5%. E il mercato dimostra di credergli. L’aumento è anche destinato a rivoluzionare la compagine sociale di Unicredit, riducendo ulteriormente il peso delle Fondazioni e rafforzando quello dei grandi fondi d’investimento.

Gli americani di Capital Research (6,7%) e gli arabi di Aabar (5,04%) avrebbero sottoscritto per intero le loro quote, secondo Bloomberg, che da sole valgono ormai quasi tre volte il peso delle Fondazioni, sceso tra il 4,5 e il 5%. Solo Crt e Cariverona, diluitesi entrambe all’1,8%, conservano un minimo di peso ma l’ente veronese ha già detto che intende mantenere il profilo dell’investitore istituzionale senza partecipare alla governance. Il rimescolamento di carte imporrà anche una riflessione sulla rappresentatività dell’attuale Cda, in cui le Fondazioni conservano un peso che non è riflesso dagli assetti di capitale.

A chiedere espressamente nell’assemblea dello scorso 12 gennaio una discontinuità in consiglio era stata ancora una volta Cariverona, che imputa agli attuali consiglieri di aver prima sostenuto che la banca non aveva bisogno di capitale e poi, con l’avvicendamento tra Federico Ghizzoni e Mustier, aver riconosciuto la necessità di una manovra senza eguali nella storia finanziaria italiana.
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