Rimini. Renzi riunisce gli amministratori Pd ma si ferma solo per lanciare il nuovo azzardo: 40 per cento per evitare il caos

“Non possiamo essere accusati per la riforma costituzionale e poi anche per le complicazioni assurde della sconfitta. Prima il rischio autoritario e ora le larghe intese… C’è un modo per evitare il caos: arrivare al 40 per cento!”. La sala del Palacongressi di Rimini viene giù in applausi. Matteo Renzi, figura tutta in nero casual sul palco, è a metà del suo intervento di un’ora davanti agli amministratori locali del Pd. Si è già goduto la standing ovation quando lo hanno chiamato sul palco. Roberto Speranza e Nico Stumpo, i due bersaniani venuti in terra ‘ostile’, si guardano intorno sperduti e poi sono costretti ad alzarsi anche loro. Renzi d’altronde non li attacca, non attacca nemmeno Massimo D’Alema che da Roma ha evocato la scissione del Pd. Il segretario pensa invece a fissare il prossimo azzardo: conquistare il 40 per cento alle prossime elezioni col premio di maggioranza per governare. Un voto che Renzi vuole vicino perché “l’Italia torni a contare in Europa e non giochi in serie B”.

E’ la sua nuova roulette russa (politica). Ma nella continua scommessa Renzi trova la sua ragion d’essere (politica). Lo ha fatto puntando al referendum, dopo la batosta delle amministrative. Lo fa di nuovo adesso, dopo la sconfitta referendaria. Il sistema proporzionale disegnato dalla sentenza della Consulta sull’Italicum gli sta bene. “Verificheremo in Parlamento se si potrà cambiare”, dice timidamente a Rimini. L’offerta alle altre forze politiche – leggi: a Forza Italia – è di cambiare subito, se si vuole. Una finestra di disponibilità che si chiude, se non si va al voto entro giugno, dicono i suoi. La scommessa è in questo pacchetto.

Al 40 per cento “noi ci siamo abituati”, dice pensando alle europee del 2014 e con una punta di polemica implicita contro la minoranza interna. Nei pensieri di tutti c’è il Massimo D’Alema che ha appena finito di evocare la scissione da Roma. Dalla prima fila, Speranza ascolta nervoso: c’era pure lui da D’Alema prima di venire qui. Ma Renzi non polemizza con gli anti-renziani del Pd: li ignora. E’ convinto che i bersaniani non seguiranno Massimo: bloccati da quell’8 per cento di soglia che complica l’accesso al Senato per le forze più piccole. Non a caso agita il drappo rosso dei posti in Parlamento come davanti a tori pronti per la corrida: “I capilista sono cento, poi ci sono le preferenze… E lo dico a qualcuno…”. Non sono tanti, ma ce n’è per più di qualcuno.

Semplifica. “La prossima competizione elettorale sarà una competizione a tre: il Pd, l’area di centrodestra che vedremo se sarà più vicina al Ppe o se Berlusconi e Salvini torneranno insieme, sembra Beautiful….”, risate in sala. E “…un’area indistinta… il M5s…”. Stop.

Renzi immagina dialoghi con Giuliano Pisapia per la costruzione di un centrosinistra. “Deve farlo però, iniziare subito”, avverte il ministro dell’Agricoltura Maurizio Martina che incrociamo al bar del Palacongressi. L’ex sindaco di Milano non vuole il listone unico, ma si vedrà. Il tutto passa attraverso accordi a livello territoriale, per le singole candidature in ogni singolo collegio. In modo da fare il pieno per scongiurare il rischio di dover governare con Berlusconi dopo il voto. Eventualità che Renzi ha ben presente e mette nel conto. Ma preferisce puntare alto: sfida aperta al M5s. Altro che D’Alema. “I giornalisti si aspettano che replicheremo ad altre assemblee: ma gli è andata male. Riprovare prego. L’avversario politico non è chi cerca di fare polemica nella nostra area, ma chi scommette sulla paura, l’individualismo, l’insicurezza…”.

Dunque i cinquestelle, quelli che possono contendere il tanto agognato 40 per cento. Con le loro “post-verità”. E quelle “trasmissioni televisive con i giornalisti che le cavalcano… Ma dov’è l’ordine dei giornalisti in questi casi?!”, urla il segretario e qui l’assemblea si scatena con lui in altrettante urla e applausi. Speranza e Stumpo restano impassibili. Il segretario è in campagna elettorale, anche se non lo dice. “Prima o poi si voterà, entro un anno o quando sarà. Ma c’è un solo modo per non farlo: dichiarare guerra a qualcuno e mi sembra un po’ forte…”. Qui anche i due bersaniani accennano un sorriso, cedono alla battuta. Poco dopo Speranza si sganascia dalle risate quando Renzi racconta della sua vita attuale, più famiglia e meno politica. “Mi piace fare la spesa. L’altro giorno ho incontrato uno al supermercato che mi ha detto: ‘Ma tu che ci fai qui? Io comunque ho votato no’. Gli ho risposto: allora, hai capito che ci faccio qui…”.

La battuta non gli manca. Del resto, a Rimini ci è arrivato riposato nel primo pomeriggio, direttamente da casa a Pontassieve. Si è risparmiato la “carrellata” (parole sue) di amministratori che si alternano sul palco dal mattino. Ci sono i governatori Nicola Zingaretti e Stefano Bonaccini. I sindaci che lui coccola, come Mattia Palazzi di Mantova, il fedelissimo Antonio Decaro di Bari, Dario Nardella di Firenze. Solo per citare alcune delle presenza di un Palacongressi gremitissimo. A Rimini – kermesse dedicata a Jessica, una delle vittime dell’hotel Rigopiano, “militante del Pd” – però Renzi ci resta solo per il tempo del suo intervento, poi due chiacchiere con i fedelissimi nel backstage, anche lì parlano del M5s e Orfini ne approfitta per spedire un tweet al loro indirizzo. E poi via di nuovo a casa: a Rimini Renzi ha convocato gli amministratori locali del Pd per due giorni ma lui ci resta solo per un paio d’ore, nemmeno domani sarà qui.

La possibilità di andare al voto lo ha distratto di nuovo dalle ‘beghe’ della nuova segreteria. Scomparsa di nuovo all’orizzonte. Renzi è lì che combatte con la finestra elettorale per tornare in pista, possibilmente da premier. Per far tornare l’Italia in pista, dice lui, pensando a Bruxelles che minaccia la procedura di infrazione contro Roma per mancata riduzione del debito.

“Ci sono paesi che hanno sforato il 3 per cento e non hanno procedure di infrazione – attacca Renzi – Abbiamo un’Europa che anziché riflettere sul futuro, su Trump, i populismi, si mette a mandare letterine con il tal parametro, il comma, il protocollo…”. E’ la tavola imbandita della prossima campagna elettorale. La miccia si potrebbe accendere già la prossima settimana, sempre che il governo superi i timori di Padoan e risponda no alla Commissione sulla manovra correttiva. A quel punto, confermano fonti renzianissime di governo, si potrebbe determinare un’accelerazione che potrebbe finire con il voto anticipato, a giugno ma perché no finanche ad aprile.

Se D’Alema da Roma si prepara ad “ogni evenienza” imbastendo una scissione, Renzi si prepara ad ogni evenienza convocando la direzione del Pd per il 13 febbraio. Potrebbe essere quella che decide l’accelerazione verso le urne, chissà. Tra i suoi c’è qualche perplessità. Matteo Richetti avverte che non bisognerebbe correre a tutti i costi verso il voto, “ci sono cose da fare prima…”. Ma Renzi così si gioca la sua partita, con il 40 per cento da acchiappare. “Non pensiamo che il nostro compito sia rassegnarci ai tempi cupi, anche se abbiamo perso la battaglia. Il livido fa male ma quando si perde, ci sono vari modi per reagire…”. E sparisce in una nuvola di abbracci e selfie.
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Beppe Grillo rilancia i sindaci M5s. Ma a Palermo è caos

Caos a Palermo per le comunarie in vista delle elezioni per il sindaco del capoluogo siciliano. “Il risultato” di ciò che sta
succedendo a Palermo secondo “gli articoli di stampa, è evidente che sia una clamorosa presa in giro per i palermitani, sia quelli che hanno seguito la graticola dal vivo, sia quelli che l’hanno seguita online” e per “quelli che credono nel M5S”. Lo scrive la deputata siciliana del M5S Chiara Di Benedetto in un post su Facebook sul caos liste a Palermo, rilanciato da Riccardo Nuti. “Questi atteggiamenti e giochetti non appartengano al M5S per come l’ho conosciuto”, attacca.

A risponderle per le rime è la deputata regionale Claudia La Rocca, che si è autosospesa dal M5S dopo l’indagine sulle presunte firme false nella lista dei Cinquestelle alle comunali del 2012. “È incredibile – scrive su facebook -. A noi non mancano di certo le attiviste donne, ma forse se loro avessero rispettato la volontà del meetup di fare la lista interna, invece di imporci le comunarie, non avremmo avuto tutti i problemi che si sono creati a seguire. Purtroppo diverse persone giovani e preparate non si sono potute candidare per mancanza della certificazione sul portale (magari c’è chi si attiva nei tavoli di lavoro senza correre ad iscriversi sul blog)”.

“Infatti – continua -, se ci sarà la possibilità di integrare, cosa in cui non ci trovo nulla di male, non definirei quelle persone dei ‘riempilista’ (ammesso che il termine sia negativo). Sembrano – aggiunge – dei bambini che sbattono i piedi a terra perché le cose non stanno andando per come loro le avevano pensate. Hanno voluto loro le comunarie, sapevano quali sono le poche e semplici regole per le candidature, mettere in cattiva luce chi proviene dalla società civile non ha senso”.

A pensarla come Di Benedetto, anche l’ex capogruppo del M5s alla Camera ed ex candidato a Palermo Riccardo Nuti, indagato nell’inchiesta sulle presunte firme false alle comunali del 2012 a Palermo. “#M5S La graticola? Una presa in
giro, stavano fingendo. Le donne? Deroghe e riempilista”.

Il riferimento sembrerebbe una risposta alle parole dell’ex capogruppo all’Ars Giancarlo Cancelleri, che in un’intervista all’edizione locale di Repubblica a proposito delle ultime defezioni in casa M5s ha dichiarato: “Le comunarie si faranno la prossima settimana, c’è un iter che è giunto a metà. Abbiamo fatto il primo turno, le graticole adesso aspettiamo la parte finale”.

Una dopo l’altra, nei giorni scorsi, si sono sfilate alcune donne in lizza: da Tiziana Di Pasquale, che era nella top five degli aspiranti candidati a sindaco del M5s a Palermo e si è ritirata a poche ore dalla graticola, a Ivana Cimo e Giovanna D’Agostino, candidabili al consiglio comunale. Tra le donne Giulia Argiroffi che resta in corsa per il consiglio comunale dopo esser ritirata dalle sindacarie. Per effetto della legge elettorale che impone la doppia preferenza di il numero di candidabili è sceso da 30 a 27. Ma Cancelleri minizza: “E’ già successo – spiega – nelle elezioni di altri comuni. Si farà scorrere la graduatoria dei più votati per quanto riguarda gli uomini, mentre si riaprirà la competizione per quanto riguarda la richiesta di altre candidature femminili”.

Sull’ipotesi che si tratti di una ‘strategia’ per far saltare la lista, figlia di dissapori all’interno del M5s locale taglia corto: “Non voglio parlare di questo. In ogni caso qualsiasi ipotetico tentativo di far saltare la lista in questo modo mi sembra vano”.

Una replica a Nuti arriva poi da Danilo Maniscalco, esponente della lista M5S per le Comunali di Palermo “Non intendo prendere lezioni di etica da chi, davanti un magistrato della Repubblica italiana, si è avvalso della facoltà di non rispondere Ogni comportamento contrario o di disturbo palese alle scelte democratiche della rete prese dallo scorso 28 dicembre ad oggi, a mio parere risulta semplicemente lesivo dell’immagine del Movimento stesso”.

Intanto in giornata Beppe Grillo ha elogiato il lavoro dei sindaci a 5 stelle in un tweet: “Quello che succede a Livorno con
Aamps è quello che succederà a Roma. Presto avremo grandi soddisfazioni anche lì #VoliamoAlto”. Il comico ha così rilanciato il salvataggio dell’azienda rifiuti livornese che ha visto protagonista il sindaco Filippo Nogarin.


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Dodici addii di peso in sei mesi: il Campidoglio ai tempi di Virginia Raggi. Tanto caos sulle nomine e pochi provvedimenti

Sei mesi, poco meno di duecento giorni, vissuti ad altissima tensione. Sembra di trovarsi sulle montagne russe e invece si è in Campidoglio ai tempi di Virginia Raggi, dove per esempio in un solo giorno si sono registrate anche cinque dimissioni di peso. Tanto caos che ha gettato la Giunta capitolina in un pantano da cui il sindaco prova a uscire ma con grande difficoltà. In rari casi il sindaco è entrato in contatto con la città, a parte alcuni blitz con l’allora assessore Paola Muraro per verificare, di persona, pulizia e decoro, e in particolare il corretto smaltimento dei rifiuti. Al di là di queste apparizioni popolari, il primo semestre del Movimento 5 Stelle alla guida di Roma sarà ricordato più per le nomine firmate con relative marce indietro, che per i provvedimenti messi a punto dalla Giunta capitolina, che segnano in pratica un nulla di fatto e una svolta ancora molto lontana rispetto agli annunci sbandierati in campagna elettorale.

Come primo atto Virginia Raggi sceglie di avere Daniele Frongia capo di Gabinetto, tuttavia vengono subito sollevati dubbi di compatibilità con la legge Severino essendo stato consigliere comunale nella precedente amministrazione. Dubbi che vengono successivamente fugati ma Raggi intanto ha deciso di averlo al suo fianco come vicesindaco e gli viene revocato l’incarico. Al suo posto arriva Carla Raineri, giudice della Corte di Appello di Milano. Si dimetterà a seguito di un parere dell’anticorruzione che contesta un errore nel tipo di contratto scelto dal Campidoglio per inquadrare il suo ruolo. In pratica la retribuzione concordata era troppo alta. “Lo stipendio non c’entra – spiega il magistrato – pensavo di dover garantire la legalità, ma la verità è un’altra”. A seguire, nello stesso giorno, arrivano le dimissioni del super-assessore al Bilancio, Marcello Minenna, dirigente della Consob. Per lui erano venute meno le condizioni politiche per continuare in assenza del magistrato a capo di Gabinetto, con cui lavorava in tandem. Poche ore dopo si registrano le dimissioni del direttore generale e dell’amministratore unico di Atac Marco Rettighieri e Armando Brandolese, e dell’amministratore unico di Ama, l’azienda rifiuti, Alessandro Solidoro.

All’inizio dell’amministrazione targata 5Stelle, Raffaele Marra viene nominato vice capo di Gabinetto vicario. Si scatena una polemica interna al Movimento: il dirigente comunale in passato ha avuto ruoli apicali sia con la giunta comunale di Gianni Alemanno che con quella regionale di Renata Polverini. Viene considerato uno del “Raggio Magico”, cioè un uomo che influenza le scelte del sindaco, così viene descritto dalla stessa Raineri. Adesso Marra si trova in carcere per corruzione, avrebbe ricevuto una tangente nel 2013 dall’immobiliarista Sergio Scarpellini quando era a capo del dipartimento per le Politiche abitative. Prima però che scoppiasse lo scandalo giudiziario, Marra era stato trasferito, in seguito sempre alle polemiche all’interno del Movimento, a capo del personale ed è finito sotto accusa per la promozione del fratello Renato a capo del dipartimento Turismo.

Tornando all’assessorato al Bilancio, la sostituzione è complicata. La sindaca nomina Raffaele De Dominicis, ex procuratore generale della Corte dei Conti del Lazio. Dura in carica due giorni: si scopre che è indagato per abuso d’ufficio e quindi Raggi ne revoca l’incarico. Al suo posto arriverà Andrea Mazzillo, ex Pd e anche lui finito nel mirino degli ortodossi. Mentre Massimo Colomban, uomo di Davide Casaleggio imposto dai vertici per sanare una situazione allo sbando, va alle Partecipate.

Tra veti e scontri all’interno del Movimento dove l’ala ortodossa, compreso Beppe Grillo, ha chiesto al sindaco di azzerare il ‘Raggio Magico’, formato in particolare da Raffaele Marra e Salvatore Romeo, arriva su quest’ultimo il parere dell’anticorruzione: lo stipendio è troppo alto. Con una delibera ad hoc viene ridimensionato da 120mila a 93mila euro. E poi ancora nella notte tra lunedì 12 e martedì 13 dicembre l’assessore all’Ambiente Paola Muraro, difesa anche lei dalla sindaca contro tutto e tutti, rassegna le dimissioni dopo aver ricevuto un avviso di garanzia nell’ambito dell’inchiesta sui rifiuti. Sotto la lente di ingrandimento della Procura ci sono i rapporti tra l’allora consulente di Ama e il duo Fiscon-Panzironi travolti nell’inchiesta di Mafia Capitale.

In tutto questo marasma inizia a scricchiolare la poltrona di Paolo Berdini, assessore all’Urbanistica entrato in rotta di collisione con la maggioranza. Come se non bastasse il 15 dicembre la Guardia di Finanza entra in Campidoglio e acquisisce una serie di atti e documenti relativi alle nomine di dirigenti dell’amministrazione Raggi. Il blitz degli investigatori è legato all’inchiesta della Procura di Roma che procede contro ignoti per verificare la regolarità delle nomine dei dirigenti Raffaele Marra, Carla Raineri, Salvatore Romeo decise dal sindaco Raggi. Il giorno dopo Marra viene arrestato con l’accusa di aver intascato una tangente nel 2013 quando in Campidoglio era a capo del dipartimento per le politiche abitative. Da questo momento in poi Grillo “minaccia” Raggi di toglierle il simbolo del Movimento 5 Stelle. Il sindaco si arrende e rinuncia, dopo tante pressioni, al suo ‘Raggio magico’. Daniele Frongia si dimette da vice sindaco e al suo posto arriva l’assessore Luca Bergamo. Anche Salvatore Romeo è costretto a lasciare la segretaria.

Andando invece agli atti rivendicati in questi mesi dal comune Roma vi è in particolare lo sblocco del salario accessorio, garantendo circa 300 euro in più in busta paga ai dipendenti comunali. Poi ancora la lotta all’abusivismo. La sindaca ha chiesto infatti al Comandante della Polizia Locale di intensificare il contrasto ai parcheggiatori abusivi. L’amministrazione ha chiesto anche un aumento della videosorveglianza e della presenza dei vigili sul territorio nell’ambito del ‘piano sicurezza’ della Capitale. Ancora da Palazzo Senatorio sottolineano che entro settembre 2017 sarà aperta la stazione della metro San Giovanni come proseguimento della linea C1, tuttavia si tratta di un progetto già approvato dalla vecchia amministrazione. Invece l’attuale Giunta capitolina ha bloccato la prosecuzione. Infine il trasporto pubblico: sono stati presentati i primi 25 bus consegnati ad Atac, su un totale di 150 che andranno a rinnovare la flotta dell’azienda dei trasporti romana. Da menzionare infine il tormentato No alle Olimpiadi annunciato dal sindaco.

Fino a questo momento, ogni giorno la Giunta guidata da Virginia Raggi, eletta con il 67% dei voti dei romani, ha dovuto affrontare un guaio. Ora però si teme quello più pericoloso. Cioè che il sindaco possa essere raggiunta da un avviso di garanzia dopo che l’Autorità anticorruzione ha dichiarato illegittima la nomina di Renato Marra, fratello di Raffaele, a capo del dipartimento del Turismo a causa di un presunto conflitto di interessi di cui Raggi era a conoscenza. I vertici pentastellati ragionano già su come affrontare la nuova grana.

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Inter, spogliatoio bollente . Dura lite Mancini-Jovetic. Poi Melo-Icardi: che caos – La Gazzetta dello Sport


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Inter, spogliatoio bollente . Dura lite Mancini-Jovetic. Poi Melo-Icardi: che caos
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