Ferplast Borsa per Cane with-Me in Eva, 14 x 35 x 22 cm, Dimensione S, Estate: Senza Rivestimento, Piccola, Blu (Azzurra)

Marca: Ferplast

Colore: Blu (Azzurra)

Caratteristiche:

  • Confortevole ed elegante borsa per il trasporto realizzata gomma speciale, EVA, etilene vinil acetato.
  • Cinghie regolabili per adattarsi a tutti, sei colori eleganti.
  • Cintura di sicurezza inclusa per la sicurezza del tuo animale domestico.
  • Igienica e pratica: lavabile e impermeabile.
  • Adatta per i cani di taglia molto piccola.

Dettagli: Goditi le tue passeggiate quotidiane con il tuo cane con questa elegante borsa da trasporto! With-Me è fatta di un materiale innovativo, che è robusto, resistente, di facile manutenzione e lavabile al tempo stesso: EVA, etilene vinil acetato. La borsa ha delle pratiche maniglie, è dotata di una cintura di sicurezza regolabile e chiusura a cerniera sulla parte superiore. Se necessario, può essere pulita semplicemente con l’acqua, sapone e una spazzola morbida. Il modello S è perfetto per i cani molto piccoli.

EAN: 8010690143033

Ferplast Borsa per Cane with-Me in Eva, 14 x 35 x 22 cm, Dimensione S, Estate: Senza Rivestimento, Piccola, Blu (Azzurra)

Banche italiane, scommessa a perdere: il disastro in borsa di Unicredit, Mps e le altre

Mediobanca fa, per Repubblica, i conti in tasca alle banche italiane sui redimenti in Borsa nell’ultimo decennio. E i dati, come vedremo, non sono affatto confortanti, anzi. Un esempio? Chi, scrive Sara Bennewitz, il 31 dicembre 2005 avesse investito 100 euro in Mps oggi si troverbbe in tasca 40 centesimi.

Il bilancio delle perfomance bancarie è pesantemente in perdita, sia in valore assoluto, sia rispetto all’indice azionario di Mediobanca. Ma se la tendenza generale è negativa per fortuna ci sono anche eccezioni: Intesa Sanpaolo in termini di performance è la migliore delle banche tricolore e l’unica ad aver battuto quanto a ritorno complessivo sull’indice Mediobanca realizzando una perfomance che è più del doppio rispetto all’indice bancario. Resta che la miglior delle banche italiane, in 10 anni ha reso meno dell’indice Mts italia calcolato sul pacchetto di Btp.

Questo è ciò che riguarda le grandi banche, le piccole invece sembrano passarsela un po’ meglio. Scrive sempre Repubblica

C’è poi una rosa di banche a forte presidio locale di dimensioni medio piccole che senza soldi al mercato, ha fatto meglio di altri istituti più grandi che operano sullo stesso territorio. Come Credem o la Banca Popolare di Sondrio

Notizie Italy sull’Huffingtonpost

Mps, via libera al piano industriale. Il titolo vola in Borsa a +28%. Ora si aprono due mesi decisivi per il futuro di Siena

Via libera del consiglio d’amministrazione di Mps al nuovo piano industriale con cui presentarsi al mercato per chiedere i 5 miliardi di euro necessari a ripulire il bilancio della banca da 27,7 miliardi di sofferenze e ad alzare le coperture sugli altri crediti deteriorati ancora sui libri della banca. Il via libera al piano è arrivato nel corso di un consiglio-fiume, iniziato alle 10 di mattina e protrattosi fino a sera nel corso del quale sono stati anche approvati i conti del terzo trimestre e convocata l’assemblea che, a fine novembre, dovrà approvare l’aumento fino a cinque miliardi di euro necessario a ricostituire i requisiti patrimoniali chiesti dalla Bce.

In attesa di conoscere i numeri del piano, che secondo indiscrezioni potrebbe prevedere un utile superiore al miliardo al 2019 per la banca ripulita, il titolo ha registrato l’ennesimo rally di Borsa, chiudendo con un poderoso rialzo del 28,28% a 0,34 euro, tra scambi pari al 14,7% del capitale. Da martedì scorso le azioni hanno raddoppiato il loro valore – la capitalizzazione è ora di 1 miliardo di euro – ed è passato di mano oltre il 50% del capitale sulle voci di contatti con grandi fondi sovrani (Qatar, Kuwait, Abu Dhabi), ricchi investitori (da Blackrock a George Soros) ed hedge fund. Nessuno ha per ora assunto impegni di sottoscrizione ma chi farà richiesta potrà accedere a una data room subordinatamente alla sottoscrizione di un accordo di riservatezza. Ad alimentare la corsa del titolo ha contribuito anche il ‘piano B’ messo a punto dal banchiere ed ex ministro, Corrado Passera, che punta a ridurre l’ammontare dell’aumento di capitale attorno agli 1-1,5 miliardi di euro grazie all’intervento di alcuni grandi fondi Usa (tra cui Atlas e Warburg Pincus).

Dopo l’approvazione del piano industriale si aprono due mesi decisivi per Mps, nel corso dei quali si capirà se la ‘soluzione di mercato’ auspicata dal governo e a cui lavorano gli advisor Jp Morgan e Mediobanca riuscirà a risolvere i problemi dell’istituto senese, allontanando una volta per tutte le spettro del ‘bail-in’.

Domani il piano messo a punto dall’amministratore delegato Marco Morelli verrà presentato al mercato e alla stampa dopodiché inizierà il road-show di un paio di settimane tra gli investitori per convincerli a puntare sulla ‘nuova’ Mps, ripulita da 27,7 miliardi di sofferenze. Tappe fondamentali saranno Londra, dove Morelli si fermerà da mercoledì a venerdì, e New York, dove il banchiere volerà la prossima settimana.

A fine novembre si terrà l’assemblea per approvare l’aumento di capitale fino a cinque miliardi di euro, il cui esatto ammontare sarà definito, a ridosso dell’assise, sulla base della disponibilità degli obbligazionisti subordinati a convertire i propri bond in azioni e dell’impegno di eventuali anchor investor (sono circolati i nomi di Qatar, Kuwait, Cina, oltre che di grandi investitori come Blackrock, Soros e Paulson) a prenotare fette importanti della ricapitalizzazione.

Per ottenere il via libera dell’assemblea straordinaria (l’aumento è senza diritto di opzione, dunque penalizzante per gli attuali soci) servirà la partecipazione di almeno il 20% del capitale e il sostegno della maggioranza. Ma più dei quorum assembleari la vera incognita è rappresentata dall’esito del referendum del prossimo 4 dicembre. In caso di vittoria del ‘sì’, il consorzio di collocamento avrebbe ‘una storia’ da vendere insieme alla azioni Mps, quella di un Paese che fa le riforme e di un premier ben saldo alla sua guida. In tal caso l’aumento partirebbe tra il 6 e il 7 dicembre per concludersi prima di Natale. Ma se dovesse vincere il no, l’aumento verrebbe rinviato al 2017, con esiti molto incerti, per sottrarre Mps alla volatilità che si abbatterà sul mercato.

Poco prima dell’aumento, sulla base dell’interesse suscitato tra gli investitori, verrà anche definito il prezzo a cui verranno vendute le nuove azioni mentre contestualmente all’aumento verranno ceduti i 27,7 miliardi di sofferenze a un veicolo che dovrà successivamente cartolarizzarle, grazie all’intervento di Atlante e a un prestito-ponte di 5 miliardi di Jp Morgan.
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Mediaset presenta un ricorso contro Vivendi: “Sequestrare il 3,5% delle azioni dei francesi”. Il titolo ko in Borsa

Mediaset stringe nella battaglia giudiziaria contro Vivendi per portare il gruppo francese a onorare il contratto per l’acquisto di Premium. Secondo quanto appreso dall’ANSA, il Biscione ha depositato una richiesta di sequestro di azioni proprie di Vivendi pari al 3,5% del capitale (dal valore di circa 820 milioni), cioè la quota che le parti si sarebbero dovute scambiare: il Tribunale di Milano ha fissato la prima udienza sull’istanza cautelare per il prossimo 8 novembre, mentre al momento le cause per danni intentate da Mediaset e Fininvest rimangono in calendario il 21 marzo 2017.

Di fronte al giudice civile Vincenzo Perrozziello, che ha accolto la fondatezza del ricorso d’urgenza di Mediaset, le parti dovranno presentarsi e presumibilmente portare proprie memorie sulla vicenda: di fatto il Biscione prova a ‘stanare’ i francesi, che per ora tentano di cuocere lentamente una controparte che si deve occupare interamente di una società che pensava di aver già ceduto, non potendo tra l’altro compiere su di essa alcuna scelta. Formalmente la pay tv sarebbe infatti in una gestione condivisa, ma se il management Mediaset prende delle decisioni queste potrebbero venir impugnate come mancanze nel contratto di vendita.

Oggetto del contendere è ovviamente il contratto di acquisto di Premium da parte di Vivendi firmato nell’aprile scorso con uno scambio paritario del 3,5% tra le capogruppo Mediaset e Vivendi. La valorizzazione della pay tv, dalla quale sarebbe dovuto uscire il socio di minoranza Telefonica, fu superiore ai 700 milioni, ma in maggio i conti del primo trimestre di Premium evidenziarono una perdita mai emersa prima: oltre 56 milioni, che in proiezione indicava un rosso di oltre 200 milioni l’anno, pur superando la quota di due milioni di abbonati.

Ed è su questa debolezza strutturale della pay tv che in Borsa il titolo Mediaset fatica: nell’ultima seduta il Biscione ha ceduto il 4% tornando ai minimi degli ultimi due anni toccati in agosto. Dall’emersione dei contrasti con Vivendi Mediaset ha perso il 20%, dalla Brexit un terzo del suo valore. La novità delle ultime ore è che Premium, che già ha dato via libera a un aumento di capitale per ripianare le perdite, potrebbe fortemente rivedere il suo perimetro. In che modo non è ben chiaro, ma gli analisti pensano ovviamente a un forte taglio dei costi.

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