Marca: Croci
Colore: Grey
Caratteristiche:
- Tiragraffi
- Palo rivestito in sisal
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EAN: 8023222115996
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La Commissione Europea chiede all’Italia una manovra aggiuntiva di 3,4 miliardi di euro. Il Fondo Monetario Internazionale taglia le stime di crescita del Belpaese. Il ministro dei trasporti tedesco Alexander Dobrindt chiede all’Ue di garantire che i modelli Fca Fiat500, Doblò e Jeep-Renegade siano ritirate dal mercato per violazioni delle norme sulle emissioni. E’ un attacco concentrico al cuore di ciò che Matteo Renzi ha lasciato nel momento in cui ha mollato Palazzo Chigi dopo la sconfitta al referendum del 4 dicembre.
L’eredità dell’ex premier è presa d’assalto. Prima di tutto dalla Commissione Europea, che prima del referendum aveva di fatto sospeso il giudizio su una legge di stabilità fatta anche quest’anno di sforamenti rispetto ai vincoli dell’austerity, per via delle spese per migranti e sicurezza. Eccolo qui, un primo giudizio è arrivato: l’Italia deve varare una manovra correttiva del valore di 3,4 miliardi di euro, fanno sapere da Palazzo Berlaymont.
E’ una doccia gelata per Roma, in un inverno già alquanto rigido. Già in mattinata, Padoan si riunisce per un’ora con il premier Paolo Gentiloni. Dal Tesoro insistono a dire che ancora dalla Commissione non è arrivata alcuna lettera ufficiale e che il confronto, mai interrotto con il commissario all’Economia Pierre Moscovici, continua. Al governo decidono di resistere all’attacco. Ma non è Gentiloni a parlare.
Per l’esecutivo parla il ministro Pier Carlo Padoan e per ora non cede. “Vedremo se sarà il caso di prendere misure ulteriori per rispettare gli obiettivi – dice – Ma la via maestra per abbattere il debito è la crescita: e questa resta la priorità del governo”.
Troppo presto per dire se siamo di fronte ad un nuovo braccio di ferro con l’Ue. Ma certo gli indizi ci sono tutti. Dal governo fanno sapere che non se ne parla di nuove tasse per riparare il debito. E comunque si parte da una trattativa con la Commissione per cercare di ridurre l’impatto dell’eventuale nuova manovra. E poi, questo è il secondo elemento di reazione del governo, a Roma non la chiamano ‘manovra correttiva’. Piuttosto, dice il viceministro all’Economia Enrico Morando si tratta di “misure di aggiustamento, ma senza penalizzare la crescita e senza ostacolare il contrasto alla povertà e all’eccesso di disuguaglianze”.
Insomma, anche con l’uso delle parole si cerca di attutire l’impatto dell’attacco all’eredità di Renzi. Padoan poi si dice “stupito” per la decisione dell’Fmi. “Le ragioni addotte per dire che la crescita sarà più bassa sono: che ci sarà più incertezza politica, che secondo me è difficile da argomentare perché il nuovo governo è in continuità con il precedente, e ci saranno problemi con le banche. Anche qui il governo ha preso importanti misure proprio per fronteggiare situazioni che non sono preoccupanti”.
Il punto è che, off the record, sono proprio il premier e i suoi a dirsi certi che “se avesse vinto il sì al referendum, questo attacco non ci sarebbe stato”. E’ questo il commento a caldo che trapela nei contatti tra Roma e Pontassieve, tra Palazzo Chigi e il quartier generale provvisorio del segretario Pd. “Monti ha votato no al referendum costituzionale: facciamoci una domanda, diamoci una risposta”, dice il renziano David Ermini. Insomma, dice un altro fedelissimo dell’ex premier, “non mi figuro uno scenario con Renzi ancora a Palazzo Chigi, vittorioso al referendum, e la Commissione che chiede una manovra correttiva…”.
Colpa di Gentiloni? “No, è che la voce grossa con l’Europa la si poteva fare dopo il 40 per cento preso alle europee. Adesso l’Italia potrà tornare ad avere voce nel capitolo europeo solo con nuove elezioni, legittimità popolare e un Pd che vinca…”, aggiunge un renziano della prima ora.
Commenti a denti stretti, con tanta amarezza e consapevolezza che di armi a disposizione non ce ne sono molte. Una cosa è certezza: di fronte all’attacco, Renzi e il suo successore a Palazzo Chigi cercano una stessa risposta. Tanto che nel pomeriggio a un certo punto si diffonde addirittura la voce di una nuova enews da parte dell’ex premier, la prima nel ruolo di segretario Pd. Poi ci ripensa.
Ma per lui lo scenario resta lo stesso: andare al voto al più presto. A maggior ragione di fronte al nuovo attacco straniero, che per ora conosce tre piste: Commissione, Fmi, la Germania che quest’anno ha la sua campagna elettorale per le politiche. “Fattore da non dimenticare – dicono i Dem a Bruxelles – useranno l’argomento Italia ai fini del voto…”.
Intanto a sera l’argomento lo usa Graziano Delrio, tornando ad attaccare Berlino sul Dieselgate. “Non accettiamo imposizioni per le campagne elettorali o le tensioni interne ad un paese – dice il ministro al Tg1 – La proposta tedesca è irricevibile: non si danno ordini a un paese sovrano come l’Italia, l’autorità di omologazione italiana è quella deputata a stabilire la correttezza dei dispositivi e noi l’abbiamo stabilito esattamente come loro hanno stabilito le irregolarità sulla Volkswagen. Queste sono le relazioni tra buoni vicini che si rispettano, noi non abbiamo niente da nascondere, per questo i dati sono a disposizione della commissione europea che ha messo in piedi una camera di mediazione”.
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Prima il tir che corre a tutta velocità, poi le persone che fuggono e infine il camion ribaltato dopo l’attentato. Sono le ultime immagini dell’attacco dello scorso 19 dicembre nel mercatino di Natale di Breitscheidplatz, a Berlino, riprese da un tassista che stava aspettando i clienti vicino la chiesa Kaiser Wilhelm.
Violento, pronto a soffiare sul fuoco della protesta, secondo diverse ricostruzioni poco religioso, ma da un certo punto in poi incline a comportamenti sospetti, assimilabili a quelli di un soggetto che medita un percorso di radicalizzazione e manifesta forme di adesione ideale al terrorismo di matrice islamica. È il profilo di Anis Amri, il super ricercato per l’attentato di Berlino.
Dire quanto questo sia jihadismo, è difficile. I fatti dicono però che un compagno di carcere detenuto con lui ad Agrigento, con cui aveva frequenti contrasti, lo descrisse come “un terrorista islamista che mi terrorizza per convertirmi all’Islam” e dichiarò che Amri lo vessava e lo minacciò di volergli tagliare la testa “perché io sono cristiano”. Per questo nel novembre 2014 il Dipartimento amministrazione penitenziaria mise Amri sotto osservazione e lo segnalò al Comitato analisi strategica antiterrorismo. E per questo in una nota redatta nel giugno 2016, quindi dopo la sua scarcerazione, dalla Digos di Catania Amri viene tratteggiato come un “personaggio di indole violenta, carismatico, di stretta osservanza dei principi religiosi islamici”.
A parlare di una sua possibile radicalizzazione in carcere è stato oggi uno dei fratelli del presunto attentatore, Abdelkader Amri, parlando con la Bild. Gli episodi concreti sono però da ricondurre alle minacce rivolte al compagno di detenzione e ad un’altra circostanza: Amri in carcere frequentava solo tunisini come lui, legando solo con alcuni di loro, “mai segnalati” però “per atteggiamenti riconducibili al fenomeno del proselitismo di matrice confessionale”. La Procura di Palermo sta tentando di ricostruire il periodo trascorso in Sicilia: i pm hanno aperto un fascicolo di “atti relativi”, ancora dunque non un’indagine vera e propria. Delegati alla Digos i primi accertamenti.
Le carte sulla ‘storia’ carceraria dell’uomo, sbarcato nella primavera 2011 a Lampedusa, dicono che fu arrestato dai carabinieri il 23 ottobre 2011 nel centro di accoglienza di Belpasso, nel catanese: con altri 4 immigrati aveva appiccato il fuoco nel centro e aggredito un operatore. Una protesta – dissero loro stessi – contro il prolungarsi dell’iter per ottenere lo status di rifugiato. Amis fu condannato a 4 anni di reclusione per danneggiamento a seguito di incendio, lesioni, minaccia, appropriazione indebita. Da qui inizia una vicenda di detenzione segnata da numerosi episodi critici: “Era segnalato e tenuto sotto stretta osservazione come un detenuto violento e riottoso”, afferma il segretario del Sappe Donato Capece.
L’amministrazione penitenziaria ha censito 12 procedure disciplinari, dall’ammonizione del direttore all’esclusione dalla attività in comune con altri detenuti. Il primo episodio è del 28 maggio 2013 per abbandono ingiustificato di posto. Lo stesso anno Amri è segnalato per intimidazione e sopraffazione dei compagni e atteggiamenti offensivi. Nel 2014 altri 7 casi: tre per promozione di disordini e sommosse, due per intimidazioni e sopraffazione dei compagni, uno per inosservanza degli ordini e uno per “altri reati”. Nel 2015, infine, due casi per atteggiamento molesto verso i compagni. Questo comportamento ha fatto sì che Amri sia stato spostato da un carcere all’altro per motivi di sicurezza. Dal Lanza di Catania il 1 giugno 2012 passa al Bodenza di Enna dove resta sei mesi: qui partecipò anche a uno spettacolo teatrale organizzato in carcere. Poi l’11 dicembre fu spostato a Sciacca dove resta un mese e mezzo. Il 31 gennaio 2014 passa ad Agrigento che lascia 9 mesi dopo per il Pagliarelli di Palermo dove sconta 4 mesi prima di essere nuovamente trasferito il 10 gennaio 2015 all’Ucciardone, sua ultima destinazione carceraria. Lo spostamento fu disposto “per gravi e comprovati motivi di sicurezza” come prevede l’art. 42 dell’ordinamento penitenziario.
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AGI – Agenzia Giornalistica Italia (AGI) – Minsk, 14giu. – "Dopo Berlino ho trascorso tante notti senza dormire. Una finale puo' arrivare di nuovo, ma questa se n'e' andata. E' dura perdere una partita cosi' importante, ma puo' servirci da lezione, per imparare ed essere ancora piu' forti". Morata, dopo Berlino tante notti insonni Juventus, Morata: "Dopo Berlino notti insonni, ma qui sono felice" Calciomercato – Morata: "Dopo la finale di Berlino non ho dormito … |