Condoglianze dell’assessore Grieco per la scomparsa di Lazzari, il preside di Lucca che aveva gestito il caso dei bulli

FIRENZE – “Sono addolorata e profondamente colpita dalla scomparsa del professor Lazzari, che lo scorso anno aveva brillantemente gestito il delicato caso di alcuni bulli che, a Lucca, avevano vessato un docente. E’ un lutto che ha gettato nello sconforto il mondo scolastico lucchese. Alla famiglia, alla scuola ed a tutti coloro che gli hanno voluto bene, e non ho dubbi che siano molti, va un abbraccio sincero e forte”.
Così si è espressa l’assessore ad Istruzione, formazione e lavoro della Regione Toscana, Cristina Grieco, nell’apprendere la notizia dell’improvvisa scomparsa, avvenuta ieri sera in Sicilia, del preside dell’istituto Carrara Nottolini Busdraghi di Lucca e delle scuole medie di Bagni di Lucca, Cesare Lazzari, a cui un malore è stato fatale mentre nel pomeriggio stava facendo il bagno nel mare di Sampieri, in provincia di Ragusa, terra di origine della moglie Loredana.

Nato a Lucca, Lazzari si era laureato in Fisica all’università di Pisa ed era stato docente prima al liceo Vallisneri di Lucca, lo stesso in cui si era diplomato, poi al scientifico Majorana di Capannori. Era quindi diventato dirigente scolastico ed aveva ricoperto quel ruolo alle scuole Mazzini di Livorno, prima di passare al Carrara di Lucca nel 2015 dove ancora era in servizio.

Nel 2018 si era trovato a gestire la vicenda dei bulli, assunta alle cronache nazionali dei giornali e delle tivù, che avevano vessato un insegnante. In quel frangente, dimostrando capacità direttive e di giudizio, aveva deciso delle misure disciplinari.

 

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Sandrine Bakayoko, dall’Africa morta nel bagno di un’ex base militare. Forse aveva abortito. Nel campo scontro con gli ivoriani che vogliono lo sciopero della fame

L’ex base militare Silvestri di Conetta di Cona prima di diventare il centro di accoglienza più affollato del Veneto era una struttura abbandonata da anni. Attorno ci sono solo campi, terra rivoltata dalle macchine agricole per l’inverno in attesa di venire seminata in primavera. Sembra fare quasi più freddo in questo posto raggiungibile solo seguendo una strada stretta, una lingua di asfalto dove a fatica riescono a transitare due auto contemporaneamente.

Da più di 24 ore varcare quel cancello dove ancora compare un cartello con la scritta “zona militare-limite di sicurezza”, è diventato pericoloso, difficile, complicato se non si indossa una divisa da poliziotto o da carabiniere e se non si è uno degli operatori della Coop Edeco che si occupa della gestione dell’accoglienza dei 1360, forse anche di più, profughi ospitati all’interno. Mali, Bangladesh, Costa D’Avorio, Marocco, Zambia, Tunisia, Senegal, i migranti che ci vivono, chi da 2 mesi chi da oltre un anno, provengono tutti dall’Africa e quasi tutti sono arrivati via mare con i barconi della speranza che dalla Libia puntano verso la Sicilia. Il loro sogno da “Eldorado” però, una volta arrivati a Conetta sembra essersi bruscamente interrotto.

A Conetta lunedì 2 gennaio è morta una donna, Sandrine Bakayoko: aveva 25 anni, era della Costa D’Avorio, della parte francofona dell’Africa. Le cause del suo decesso, come ha accertato l’autopsia disposta dalla Procura di Venezia, non sono da ricercare in un ritardo dei soccorsi o in motivi di negligenza nell’assistenza. Ha avuto un’embolia ed è morta durante il trasporto in ambulanza verso l’ospedale di Piove di Sacco, il paese più vicino con un ospedale e che si trova in provincia di Padova seppur a pochi chilometri da Cona che è ancora sotto la provincia di Venezia. Sandrine Bakayoko in Italia e poi a Conetta c’era arrivata con il marito il 30 agosto scorso. Era una delle 25 donne che sono ospitate nella ex base militare. Alcune di loro sono incinta, pare in otto. Sandrine pare fosse anche lei in dolce attesa ma avrebbe abortito almeno due mesi fa. Prima di martedì non aveva richiesto delle cure particolari o non aveva avuto modo di lamentarsi per il suo stato di salute.

Simone Borile è il direttore della Cooperativa Edeco che opera all’interno della ex base. “È stato il marito a trovarla: lei era andata in bagno e non tornava. Era quasi ora di pranzo e lui è andato a cercarla. Le donne, nel campo di accoglienza, hanno alloggi e servizi separati dai maschi. I bagni, in particolare, hanno una chiusura a chiave. Quindi il marito, quando ha trovato la porta chiusa ha capito che sua moglie era dentro e ha chiesto l’intervento del nostro personale per aprire facendo la macabra scoperta. È intervenuto subito il medico del campo, continua Borile – che ha cominciato a praticare manovre di rianimazione cardiopolmonare. Contemporaneamente abbiamo chiamato il 118 e l’ambulanza è giunta dopo un quarto d’ora”.

I profughi sono seguiti da quaranta operatori di giorno, venti di notte, 5 medici a turno, infermieri, operatori sociosanitari. Ogni giorni vengono cotti 465 chili di riso. Ma martedì, per tutti, niente cibo. La morte di Sandrine ha innescato una rivolta soprattutto da parte di quella parte di migranti francofona, non solo gli ivoriani, connazionali della 25enne deceduta. Le prime “vittime” sono stati gli stessi operatori della cooperativa costretti a restare chiusi per motivi di sicurezza fino alle 3 del mattino nel loro container adibito ad ufficio. Circa duecento dei 1360 migranti ospiti hanno approfittato della morte di Sandrine per innescare una rivolta e protestare contro tutto e contro tutti: dalla presunta mancanza di medicine, alla scarsa pulizia dei bagni, fino al freddo nei tendoni dove dormono e a presunte mancate consegne dei pocket money fino alla lunghezza dell’arrivo dei permessi di soggiorno per lasciare il campo.

Una situazione esplosiva che la polizia, con il questore di Venezia Angelo Sanna in prima linea assieme al dirigente della Digos Daniele Calenda cercano di disinnescare spiegando che impedire l’ingresso al campo e obbligando degli operatori a uscire è un reato penalmente perseguibile e che costerebbe il rilascio del permesso di soggiorno. I “rivoltosi” così, consentono l’apertura dei cancelli ma non concedono ai furgoni arrivati per portare il pranzo di consegnare il cibo in mensa. “Scioperiamo, non mangiamo, vogliamo le medicine, vogliamo i nostri documenti, vogliamo che questo campo venga pulito e che ci lascino andare a lavorare”. Passano le ore. Sono le due del pomeriggio quando scoppia un rissa tra migranti: a darsele di santa ragione, pugni, calci, schiaffi sono due fazioni: da una parte quelli che vogliono mangiare e dall’altra gli ivoriani che non intendono interrompere la loro protesta. Non si lotta più, però, per Sandrine ma per altro.

Arrivano le prime luce della sera. Dalla base escono in sella alle loro bici a decine. Molti indossano lo stesso giaccone nero con un cappuccio e la scritta di un’azienda: forse è un regalo, uno stock di fine serie finito in beneficenza. Molti in mano hanno un cellulare, altri alle orecchie hanno delle cuffie dalle quali ascoltano musica a tutto volume. Non sembrano provati e denutriti. Alcuni indossano delle ciabatte infradito. Malgrado si sfiorino i zero gradi qualcuno gira in maniche corte e sorride, incurante del freddo.

“Sono qui da sei mesi, sono arrivato a luglio – racconta un malese in un inglese stentato – So fare il cameriere, sono venuto in Italia per fare questo. Ma voglio andarmene presto da qui, a Roma o a Milano dove ci sono tanti ristoranti e tante possibilità. Mi piace l’Italia, amo l’Italia ma fatemi andar via da qui”. Vicino a lui un altro migrante dello Zambia. “Ho una spalla lussata e non mi danno le medicine giuste e non mi fanno fare le radiografie – racconta – Me la sono rotta in Africa ma il gesso si è rotto e non si è saldata bene. Mi servono cure specifiche”. Come stai? chiediamo ad un altro di loro con il cappuccio del giaccone che lo copre fino agli occhi. “Sono qui da febbraio e non ho ancora visto i miei documenti per andarmene – dice – basta, non ne posso più di restare qui a fare niente. Fatemi lavorare, sono venuto in Italia per lavorare”. Poi arriva Yacouby, Gabriele il suo nome in italiano, ci mostra alcune foto dell’interno del campo. “Guardate come viviamo, come dormiamo, ammassati, con i bagni sporchi, con i rifiuti. Non ci assistono non ci puliscono. Vogliamo andarcene via. Siamo troppi qui”.

Ormai fa buio. Sono le sei del pomeriggio. Arrivano i furgoni per le pulizie e per portare il cibo. Il vice Prefetto di Venezia Vito Cusumano esce dal campo dopo un sopralluogo assieme al direttore della Edeco Simone Borile. Pare ci sia l’accordo per la consegna del cibo. Ma è un accordo di sabbia che vola via quando i furgoni entrano e vengono accerchiati dal gruppo di “ribelli” che hanno deciso che l’unica strada è lo sciopero della fame. Un paio di furgoni se ne vanno. Uno viene inseguito e fermato da alcuni migranti. Hanno fame. Chiedono e ottengono almeno tre sacchi di panini. E si sfamano con quelli. La notte, però, è ancora lunga. E anche se il Prefetto ha annunciato che da domani se ne andranno in 100, la situazione sembra ancora lontana dall’essere risolta.
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Pogba nei guai: gestaccio. La tv lo aveva “censurato” – La Gazzetta dello Sport


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Pogba nei guai: gestaccio. La tv lo aveva "censurato"
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