Senatore Mucchetti, domani l’assemblea nazionale del Pd, in un clima burrascoso: non solo la sconfitta referendaria, il cambio a Palazzo Chigi con un esecutivo che sembra la fotocopia del precedente e ora anche la bufera giudiziaria a Milano, proprio sul simbolo del renzismo: Beppe Sala, ex commissario Expo scelto da Matteo Renzi per Palazzo Marino. In questo clima, Renzi cosa dovrebbe fare domani?
Avverto un clima da fine regime, se vogliamo essere solenni. O da fine di regimetto, se vogliamo essere più aderenti alle cronache. Le leadership politiche d’opposizione esaltate oltre i propri meriti, convinte di essere a un passo dal potere senza aver fatto i conti con la propria incultura di governo. La leadership di maggioranza schiava delle ambizioni private di un uomo che ha perso la testa. Come se non bastasse, ecco a turbare l’opinione pubblica le inchieste di Milano, ma anche quelle di Roma. Il nuovo che avanza sembra uguale al vecchio. I sindaci, sui quali resisteva la fiducia, che diventano discutibili come i consiglieri regionali… Dell’inadeguatezza della Raggi è già stato detto tutto, anche da parte dei suoi correligionari pentastellati. Della reazione di Sala colpisce l’irrazionalità. Che senso ha sospendersi? Milano resta senza sindaco? E per quanto tempo? Se si sente estraneo alle accuse, Sala deve restare a palazzo Marino a testa alta. Se teme qualcosa, si deve dimettere. Ma qui emerge l’equivoco moralista del renzismo: forcaiolo con l’allora ministra Cancellieri e garantista con la ministra Boschi. E così l’impolitico Sala non sa più che cosa fare né a chi rispondere….
Ma Renzi?
Non mi stupirei se domani Renzi si presentasse dimissionario. Matteo, direbbe l’Antonio shakespeariano, è uomo d’onore. E così pure Maria Elena. Tutte persone d’onore…Avevano promesso che si sarebbero ritirate dalla politica se avessero perso il referendum. Lei non l’ha fatto. Anzi. Ma a una signora una debolezza va concessa… Ma a lui? Al capo pullman? Nella sua domenica nera, Renzi ha aggiunto di non essere attaccato alla poltrona come gli altri, e dunque ha annunciato il ritiro da palazzo Chigi. In verità, gli “altri” si erano dimessi davvero e senza farla tanto lunga: D’Alema, Veltroni, Bersani. Se domani lasciasse la segreteria del Pd, Renzi darebbe esecuzione – ancorché tardiva – a un impegno.
Tardiva?
Beh, tutti hanno visto che prima ha cercato di andare subito alle urne a leggi elettorali vigenti con il suo governo in carica per gli affari correnti. Poi, di fronte al richiamo alla responsabilità del Quirinale, ha cercato il reincarico, poi ha condotto consultazioni irrituali, ma ben pubblicizzate, di capi e capetti in parallelo a quelle ufficiali del presidente della Repubblica, quindi ha tentato di porre un limite temporale e politico al governo Gentiloni e ne ha certamente condizionato la composizione affinché fosse chiaro che comandava ancora lui, l’ex non ex del Nazareno. La promozione della Boschi a guardiana del premier e la posizione surreale di Lotti, sport e Cipe, parlano da se’. Sono uno schiaffo agli elettori. Eppure, Gentiloni qualcosa fa sperare.
Fa sperare che cosa?
Avrà notato che il premier non ha preso l’impegno di dimettersi dopo l’approvazione della legge elettorale, che ha delegato questa legge cruciale, come giusto, al Parlamento smentendo così le procedure del predecessore che la fece proporre dal governo e pretese per tre volte la fiducia del Parlamento. I governi, ha spiegato Gentiloni, durano finché hanno la fiducia delle Camere. Forse è pura tautologia costituzionale, forse no.
Toccherà dunque al Pd staccare la spina?
Questa sembra la regola evocata dal capo del governo. Ma come farà il Pd a staccare la spina a un governo che funzionasse o ad andare alle elezioni avendo promosso un governo che si rivelasse incapace ma che tutti attribuirebbero al suo leader? L’astuto Renzi mi pare finito in un cul de sac.
Cul de sac? Allora, Mettiamo che Renzi si dimetta, faccia decidere all’assemblea un congresso lampo, una sorta di nuove primarie per riconquistare la guida del Pd e ricevere la candidatura alla guida di un governo di legislatura…
Non sono iscritto al Pd, ma l’ho votato e seguo la disciplina del gruppo del Senato. Comunque, credo di ricordare che i congressi richiedano qualche mese per essere celebrati partendo dal basso… Trasformare le prossime assise, previste per la fine del 2017, in rapide elezioni primarie mi pare surreale, senza sapere quale legge elettorale avremo e ancor più se, seguendo la probabile sentenza della Corte, avremo un regime sostanzialmente proporzionale. Nelle coalizioni, che si renderebbero necessarie dopo il voto, non si impone il premier. Lo si negozia.
Veramente non mi pare che Renzi sia già pronto a sacrificare l’opzione maggioritaria. Per questo, più che al congresso del Pd, pensa a primarie di coalizione prima delle elezioni anticipate, da celebrarsi al massimo a giugno. Che ne pensa?
Lo stile è l’uomo. Renzi non è Cameron. D’altra parte, se torna a Rignano, Renzi che fa? Non ha un mestiere. Il rottamatore vive di politica da sempre. Dunque sogna la rivincita per se stesso. Ma così rischia di portare il Pd e il centrosinistra alla rovina, e con loro, temo, il Paese. Quanto all’impopolarità del governo, basterebbe sostituire i ministri più ferocemente renziani per rendere il dovuto omaggio al corpo elettorale. E lavorare. L’Italia ha bisogno di essere governata. Non di avere altri 6-7 mesi di campagna elettorale con il blocco di tutto com’è avvenuto già nel 2016.
Renzi è l’unico leader del centro sinistra?
Non credo sia questione di leader ma di classe dirigente. Se invece così fosse e se Renzi fosse davvero l’unico leader, il centro sinistra avrebbe già perso.
Perché ha perso? Solo cattiva comunicazione, come disse l’ex premier quando il governo fu inondato di critiche per la Buona Scuola?
La cattiva comunicazione e’ la scusa degli sconfitti che non vogliono ammettere gli errori veri. Ma se ha invaso le TV, i giornali, le buche delle lettere e perfino il web con la propria presenza…. Che sia lui il messaggio “cattivo”? Il fatto è che Renzi ha fallito sia nel rapporto con la società civile sia nella politica politicante.
Allora cosa ha sbagliato Renzi?
Non puoi proporti come leader della sinistra e non avere mai un’idea diversa da quelle di Marchionne, della JP Morgan o di Google. Non che costoro abbiano sempre torto. Ma tu, chi sei se ti fai scavalcare perfino da una Theresa May nel rapporto con i lavoratori nelle aziende e nella politica fiscale verso i nuovi monopoli? Credi che le diseguaglianze generate dalla globalizzazione finanziaria si combattano con gli 80 euro? E quando affronti le grandi imprese o le banche, hai un’idea di Paese e sei capace di far di conto o ti fai portare a spasso dal Dimon di turno? Capisci che cosa bolle nel pentolone della Vigilanza unica o arrivi sempre tardi dicendo che corri? Diversamente da Ugo La Malfa, da Giovanni Malagodi, dai principali leader democristiani o dallo stesso Craxi, che erano parte dell’establishment e trattavano da pari a pari con i poteri economici, non sempre nemmeno loro ma spesso, Renzi è un parvenu che, invece di trarre vantaggio dall’assenza di legacy con il passato, ha manifestato un vero e proprio complesso di inferiorità verso i poteri forti quando questi poteri – beffa delle beffe – forti non erano già più. È stato sgarbato con il governatore della Banca d’Italia credendo di diventare autorevole, ma senza poi saper proporre un’idea sua. Dice di rinnovare e recupera la corte di Bisignani. E ora tace su Mediaset e Bollorè. Avendo già taciuto su Telecom Italia quando tentarono di prenderla gli spagnoli di Telefonica e poi quando l’ha presa davvero Vivendi. Però, addosso alla Camusso, avanti contro la Cgil, mi raccomando. Così siamo moderni e vinciamo il referendum con l’appoggio della Confindustria e del Sole 24 Ore, notorio esempio di gestione 2.0, ma che dico: 6.0, e certo con il valsente dei commensali che ti vengono a sentire chez Micheli pagando 30 mila euro a testa.
Beh forse non solo il Sole…
I giornali hanno capito con grande ritardo quanto poco Renzi sia adatto a governare un Paese grande come l’Italia. Un ritardo che illumina la debolezza di editori, direttori e di parte delle redazioni. Ma adesso il coro di critiche al governo Gentiloni targato Boschi suona come una campana a morto. Caro Renzi, quando perfino Paolo Mieli, che gli ex comunisti li ha in uggia più di te, ti consiglia una pausa, e’ il momento di prendertela.
Lei ha votato la fiducia.
Con grande fatica. Sono stato tentato fino all’ultimo di non partecipare al voto. Ma il Quirinale chiedeva stabilità. E non si fa niente da soli. Si può tuttavia prendere posizione nel merito dell’azione di governo, avanzare nuove proposte per costruire soluzioni migliori. Credo vada sostenuta, per esempio, la riforma dei regolamenti parlamentari che, come ha ricordato il presidente del Senato, Piero Grasso, può raggiungere con legge ordinaria gli obiettivi di governabilità parlamentare e di coinvolgimento delle regioni, così male affrontati dalla riforma costituzionale. C’è un ddl Zanda-Finocchiaro da riprendere. E poi c’è un Jobs Act da rivedere. I voucher sono uno scandalo. Il decreto salva banche a tutela del risparmio. Le nomine al vertice delle aziende pubbliche che mi auguro obbediscano al merito e non all’appartenenza alle cordate di turno…. Se ne hanno voglia, Gentiloni e Padoan possono molto.
Ci crede?
Il cervello suggerisce pessimismo. Resta la volontà.
Perché è pessimista?
Perché il sistema dei partiti è spappolato, le culture politiche fin troppo indebolite. In particolare, la governance
del Pd, che resta l’architrave dell’attuale maggioranza parlamentare, si è rivelata assai carente. Nella Prima Repubblica, quando Andreotti si dimetteva, non andava a palazzo Chigi Cirino Pomicino. I partiti riunivano le direzioni (che erano una cosa seria..) e i gruppi parlamentari per decidere che cosa dire al presidente della Repubblica. Oggi decide tutto il capo con tre o quattro capi corrente, se va bene. I gruppi parlamentari e le direzioni sono chiamati a commentare i commenti dei giornali e le chiacchiere già fatte nei talk show. E’ triste. Fossimo guidati da un Messi della politica, pace. Ma il “caro leader” ha toppato con la riforma costituzionale, ha imposto tre volte la fiducia su una legge elettorale che poi dice di voler cambiare e che la Corte boccerà, ha varato una riforma della P.A. non proprio costituzionale, una riforma delle banche popolari fermata dal Consiglio di Stato, della Buona Scuola tacere è bello, e ora il duro trema davanti ai referendum sul Jobs Act come confessa il ministro Poletti. Più in generale, questo Pd usa argomenti populisti sulla politica e sulla P.A. per non lasciarli al M5S e non si accorge che così smonta la sinistra senza mai raggiungere l’originale grillino. L’impegno che ho preso accettando la candidatura al Senato propostami dall’allora legale rappresentante del Pd, Pierluigi Bersani, si avvicina alla scadenza. Meno male, dico per me. Ma mi domando se davvero il Pd crede di portare il centro sinistra a vincere le elezioni in queste condizioni?
Renzi conta sul 40%…
Dio acceca chi vuol perdere.
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