Rimborsi Ue, Lara Comi, Daniela Aiuto, Laura Agea e Riccardo Nencini: gli eurodeputati italiani che hanno abusato dei soldi dell’Ue

Tra gli europarlamentari dell’Unione europea che abusano dei soldi di Bruxelles ci sono anche alcuni italiani. In un articolo pubblicato sul quotidiano la Repubblica compaiono i nomi: si va da M5s a Forza Italia, passando per il Pd.

Tra i dossier italiani quello di Lara Comi, deputata di Forza Italia che ha assunto la madre come assistente parlamentare e ora dovrà restituire i 126 mila euro percepiti dalla signora, Luisa Costa, dal 2009 al 2010. Al centro di un’inchiesta ancora in corso e i cui esiti non sono ancora decisi due eurodeputate grilline: Daniela Aiuto e Laura Agea.

La prima è nel mirino per avere chiesto il rimborso, diverse migliaia di euro, per una mezza dozzina di ricerche che le sarebbero dovute servire per svolgere il mandato europeo ma che in realtà sono state copiate da siti come Wikipedia. La seconda ha assunto come assistente un imprenditore, sospettato di non avere il tempo di svolgere il lavoro relativo la mandato europeo dalla deputata ma al massimo, nella veste di attivista del Movimento, di seguirla nella politica locale.

Al centro di un’inchiesta anche un collaboratore del leghista Mario Borghezio, il viceministro Riccardo Nencini (ex europarlamentare al quale Strasburgo aveva chiesto indietro 455 mila euro ma ha scampato il rimborso grazie alla prescrizione) e il deputato eletto con il Pd, ora Mdp, Antonio Panzeri, che ha fatto ricorso alla Corte di giustizia europea di fronte alla richiesta di restituire 83 mila euro. Quelli italiani sono casi isolati e spalmati su tre legislature, con la stragrande maggioranza dei 73 parlamentari eletti ogni cinque anni che rispetta alla lettera le regole.

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Canone, Istat e tetto agli stipendi: il cda Rai chiede aiuto al Tesoro

Una richiesta di riunire urgentemente l’assemblea dei soci. Tradotto: il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, dia delle risposte. Il consiglio di amministrazione della Rai lancia l’allarme sulle troppe “incertezze” che si addensano sul futuro economico dell’azienda di viale Mazzini. Perché se è vero che quest’anno il canone in bolletta ha portato un gettito di circa 2 miliardi, molte altre sono le incognite.

In particolare, si temono le conseguenze dell’inserimento da parte dell’Istat di Rai nel perimetro della pubblica amministrazione. Su questo punto, era previsto che si intervenisse nella legge di Stabilità. Cosa che non è accaduta, anche a causa della crisi del governo Renzi e della rapida approvazione con fiducia della manovra. Inoltre, c’è la questione del tetto agli stipendi fissato per legge a 240mila euro. Non è ancora chiaro se si applichi anche agli artisti: il timore è che la Rai si trovi per questo “fuori dal mercato”. Anche su questo punto si attende una interpretazione del ministero dell’Economia.

Ulteriore incognita, sottolineata dal cda, è rappresentata dalla nuova concessione che affiderà all’azienda di viale Mazzini il servizio pubblico televisivo per i prossimi dieci anni. Nella bozza preparata dal governo Renzi si interveniva anche sugli affollamenti pubblicitari, costringendo ogni canale a rimanere singolarmente sotto il tetto del 4% settimanale mentre attualmente quell’asticella viene rispettata “spalmando” gli spot sui 3 canali, favorendo così la rete ammiraglia. Infine, c’è la questione della riduzione del canone che l’anno prossimo dovrebbe scendere a 90 euro.

“La verità – spiega il consigliere di opposizione, Arturo Diaconale – è che era stato tutto preso sottogamba perché erano convinti che al referendum avrebbe vinto il sì e tutte le sciocchezze fatte finora si sarebbero risolte. Invece ha vinto il no, il governo Renzi è caduto e ora ce n’è uno che anche se è la fotocopia, non è detto che risolverà le cose che venivano date per scontate”. Di fatto, il consiglio di amministrazione si aspetta che l’assemblea dei soci venga convocata al massimo entro dieci giorni, e che le risposte arrivino prima della fine dell’anno.

La mossa dei vertici Rai non è però piaciuta al dem Michele Anzaldi, che ne dà un’interpretazione politica. “E’ un atto irrituale e ostile al governo. Peraltro – spiega – è sorprendente che di fronte all’invito rivolto sempre da tutti a tenere la politica fuori dalla Rai, sia proprio chi guida l’azienda a volerla tirare dentro”.
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