Quella del 2016 è la Leopolda perfetta ma non si dice. A un mese dal referendum del 4 dicembre, un fronte del comitato del no si scontra con la polizia a 2 km dalla vecchia stazione di Firenze. Nelle stesse ore Gianni Cuperlo firma la bozza di riforma dell’Italicum con i renziani: schiaffo per i bersaniani del no. Tutto porta acqua al mulino del premier, questo dicono le facce, anzi i sorrisini, che incroci qui alla Leopolda. Ma Matteo Renzi resta nel backstage, anche dopo gli scontri. Soprattutto su questo punto non vuole affondare. I suoi si guardano intorno soddisfatti: a dispetto delle aspettative la Leopolda è piena. “Dovessimo perdere 51 a 49 questo è un tesoro vero cui attingere”, dice un fedelissimo lasciando chiaramente intendere che Renzi ha un futuro politico anche se perde il referendum.
E’ Dario Nardella che informa Renzi di cosa è successo fuori da qui. Il sindaco arriva trafelato da Palazzo Vecchio dove è rimasto quasi tutto il pomeriggio per seguire gli sviluppi delle contestazioni in piazza, in filo diretto con la Questura. “Ci sono andato giù pesante contro questi…”, dice arrabbiato al portavoce del premier Filippo Sensi, che incrocia prima di arrivare all’area palco. Piccolo briefing con Renzi: la decisione di mandare lui, Nardella, sul palco a denunciare “la violenza” e “le minacce”. “Manifestare il dissenso è un diritto ma usare la violenza per avere visibilità è ignobile, inaccettabile”, urla il sindaco tra gli applausi. “Da questo luogo del no alla violenza, diciamo che va bene il confronto ma non va mai bene attaccare una città, minacciare le persone: non è accettabile in una città e in un paese democratico!”.
Ecco fatto. Nardella come Giuliano Pisapia il primo maggio 2015 a Milano, quando la città meneghina fu sconvolta dagli scontri di piazza il giorno dell’inaugurazione dell’Expo. Certo, a Firenze la dinamica è stata molto più leggera. Ma per voce del sindaco e amico del premier, la Leopolda urla il suo no alla violenza e mezza campagna elettorale è fatta. Anche se Renzi non perde la prudenza con cui sta affrontando questa attesa referendaria. Resta ‘democristiano’, attento a non pestare i piedi di nessuno per allargare il più possibile il fronte del sì. Non confonde i manifestanti di oggi con tutto il comitato del no. “Una cosa sono i violenti, qualche centinaio. Altra è chi vota no, un fronte largo, variegato”, dice ai suoi. “Il fronte del no non è tutto dei violenti”.
Insomma, Renzi non cade nella trappola. Evita gli scivoloni e cerca di tenere saldo un timone che fibrilla a un mese dal voto. Mentre la polizia carica il corteo non autorizzato che vorrebbe arrivare alla Leopolda, sul palco della vecchia stazione il ministro Boschi e il cerimoniere di questa Leopolda Matteo Richetti, con i costituzionalisti Ceccanti, Vassallo, Pinelli, Clementi, si impegnano a smontare pezzo per pezzo le “Bufale del no”. Sul maxischermo passano in successione Travaglio, D’Alema, Casarini, Di Battista, ognuno con un appunto sulla riforma. Viene preso e sbranato, soprattutto da una Boschi in versione più ‘aggressive’.
Ma non ci sono domande libere dal pubblico. Tranne qualche tweet che viene richiamato e liquidato in poche parole. La regìa non lascia nulla al caso. La lezione sulla riforma, il ‘fact-checking’, come lo chiama Renzi si svolge senza scossoni, tra qualche fischio a D’Alema e pochi applausi. La sala si scatena con Nardella. E, dopo, con Pietro Bartolo, il medico che ogni giorno salva vite a Lampedusa: per lui anche Renzi torna sul palco e lo abbraccia davanti a fotografi e telecamere.
Oltre a Nardella, degli “sciamannati in piazza” parla Teresa Bellanova, viceministro allo Sviluppo economico, ex sindacalista, ex diessina, scatenata contro i bersaniani, D’Alema e i Dem del no. Parla a ruota libera tanto che le viene fuori vivido l’accento pugliese: “Hanno avuto responsabilità di governo superiori alle mie: perché non hanno fatto le riforme? Hanno avuto 30 anni di tempo, perché non lo hanno fatto?”. La platea si scalda anche per lei. Come ha fatto all’inizio del pomeriggio con Brunello Cucinelli, l’imprenditore del cachemire che vuole aiutare la ricostruzione di Norcia post-terremoto.
Gli scontri in piazza potrebbero tornare il 27 novembre, in una giornata di mobilitazione stavolta nazionale del fronte del no a Roma. A una sola settimana dal voto. Renzi e i suoi parlano di preoccupazione e amarezza. Ma contano sul fatto che tutto questo non nuoce alla campagna del sì.
“Vinceremo, ma se dovessimo perdere 51 a 49, questo è un tesoro vero cui attingere”, dice un renzianissimo guardando la Leopolda piena di gente. “Ieri non pensavamo di vedere così tanta gente ed eravamo preoccupati. Ora si può dire che questo è uno zoccolo duro su cui si può fare affidamento”. E’ lo zoccolo duro del renzismo, qui non ci sono altri modi di essere Pd. “Al contrario, se gli altri vincono, che se ne fanno di quel 51 o 52 per cento?”. Nella Leopolda, Renzi intravede un’altra vita politica anche se dovesse perdere. Domattina gli toccherà chiudere questa edizione: l’ultima prima del diluvio del 4 dicembre.
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