Un’immunità retroattiva. Per l’Aula del Senato le dichiarazioni espresse nel 2012 da Gabriele Albertini contro il pm Alfredo Robledo sono “insindacabili”. L’Assemblea, con voto palese, ha così condiviso la decisione della Giunta per le Immunità che già lo scorso ottobre “salvò” dall’accusa di calunnia l’ex sindaco di Milano ora senatore alfaniano, con 185 Sì, 65 No e due astenuti.
Nulla di strano tranne che per un “piccolo” particolare: per i fatti contestati all’ex sindaco di Milano, legge Boato e Costituzione alla mano, l’articolo 68 che norma l’insindacabilità non sarebbe applicabile.
I membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni
E in effetti l’accusa di calunnia si riferisce ad alcune dichiarazioni e interpellanze fatte da Albertini quando era europarlamentare, non senatore. “L’esercizio delle funzioni” da membro di Palazzo Madama quindi non sussiste per l’applicazione dell’insindacabilità. È questo il motivo che ha spinto il membro Pd della Giunta per le Immunità del Senato Felice Casson a esprimersi in dissenso dal suo gruppo: siccome l’ex sindaco di Milano quando venne interessato dalla querela dal pm Alfredo Robledo era eurodeputato, “non può essere adesso il Senato a pronunciarsi sulla sindacabilità o meno delle sue dichiarazioni. Visto che il Parlamento Ue già si pronunciò sulla vicenda nel 2013 negando ad Albertini lo scudo dell’immunità”.
Era il 21 maggio quando il Parlamento Ue negò l’immunità ad Albertini, accusato da Robledo per, tra le altre cose, per le sue dichiarazioni sui derivati acquistati dal Comune di Milano. La plenaria approvò la relazione firmata dal socialdemocratico tedesco Bernhard Rapkay in cui si invitava a non concedere l’immunità in quanto Albertini ”concedendo entrambe le interviste non agiva nell’esercizio delle sue funzioni di deputato al Parlamento Ue”.
Il Tribunale di Brescia si deve pronunciare nei confronti di Albertini perché accusato di calunnia. L’ex primo cittadino di Milano, nel 2012 presentò un esposto al ministero della Giustizia, perché secondo lui Robledo non aveva gestito correttamente tre fascicoli: l’inchiesta sulla questione degli emendamenti in bianco quando lui era sindaco; quella sull’acquisto di quote della società Autostrada Serravalle da parte della Provincia di Milano allora guidata da Filippo Penati; l’inchiesta sui contratti derivati sottoscritti dal Comune ai tempi dell’ amministrazione Albertini.
Incassato il No all’immunità dall’Europarlamento, Albertini – che da diversi anni è in lotta con l’allora pm di Milano oggi trasferito a Torino dal Csm dopo lo scontro con Bruti Liberati – si è rivolto al Senato, dove è stato eletto nel 2013 in quota Scelta Civica per poi transitare nel partito di Angelino Alfano, oggi colonna portante della maggioranza a Palazzo Madama e dei governi Renzi e Gentiloni. Già a ottobre ottenne il salvataggio della Giunta, decisione che allora sarebbe stata “orientata”, riportano le cronache parlamentari, dal suo l’aut aut posto alla maggioranza: “O mi salvano o non voto più per loro…”.
La maggioranza si è divisa sul voto: dei 113 senatori Pd, risultano presenti in 93, in 18 non hanno partecipato al voto (il diciannovesimo che è il presidente Grasso per prassi non vota mai), in 17 (praticamente gran parte della minoranza Dem) hanno votato contro e uno si è astenuto. Anche Marcello Gualdani di Ap-Ncd ha detto no insieme a Karl Zeller presidente del gruppo delle Autonomie. Mentre altri tre di Ap-Ncd non hanno votato come Paolo Bonaiuti e Pier Ferdinando Casini. Hanno disertato la votazione 7 senatori delle Autonomie.
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