Graziano Delrio: “Su Minzolini non avrei lasciato ai senatori libertà di coscienza. Abbiamo dato un messaggio sbagliato”

“I nostri senatori votano come credono, ma non avrei lasciato la libertà di coscienza. Il caso Minzolini va oltre il merito: abbiamo dato un messaggio sbagliato”. Lo afferma in un’intervista a Repubblica il ministro dei Trasporti Graziano Delrio, sottolineando che “alcuni aspetti” della legge Severino “vanno rivisti”.

“Nessuna legge è perfetta”, spiega Delrio, “ma ha un principio giusto, che difendo: chi governa ha il dovere di essere più trasparente di chi è governato”. Il voto per la decadenza di Berlusconi, aggiunge, non era una punizione politica ad personam”.

Sui buoni lavoro, il ministro rimarca che il governo non ha fatto “nessun passo indietro” perché “li ha introdotti Berlusconi”. Dovevamo scegliere, incombeva il referendum: prevalevano le degenerazioni e li abbiamo aboliti. Ora partirà un tavolo per nuovi strumenti”. Poi difende il piano sicurezza: “Non penalizziamo i più sfortunati, né vogliamo sindaci-sceriffi. Ma se una piazza è ostaggio di cinquanta spacciatori con foglio di via, servono strumenti per intervenire. Troveremo un equilibrio”. Su Alitalia, invece, il ministro “si sente” di escludere “al 99%” un intervento pubblico.

Quanto alle possibili alleanze post voto, Delrio esclude l’interlocutore Berlusconi: “Il centrosinistra può vincere, se la smette di parlarsi addosso”. Mentre a destra un’intesa tra Lega e 5 Stelle “è certamente una possibilità. Per me il populismo resta di destra, è Trump. I grillini non ho ancora capito cosa siano”.
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G-20, il protezionismo non è più un tabù. Scontro fra Usa e Europa su economia e ambiente. Il ruolo della Cina

I primi segni dell’impronta che l’America di Donald Trump vorrebbe dare all’economia mondiale si sono manifestati nel compromesso al ribasso adottato dal G-20 di Baden Baden, in Germania. Nella dichiarazione finale poche e deboli parole (“Lavoriamo per rafforzare il contributo del commercio alle nostre economie”) e un grande assente: la lotta al protezionismo che negli ultimi dieci anni era stato il tratto distintivo dei big dell’economia e della finanza. La musica è cambiata e il marchio del direttore d’orchestra, cioè il presidente degli Stati Uniti, ha portato a una riscrittura dello spartito che l’economia globale si appresta a eseguire. Come e in che misura è ancora da verificare e dipenderà da come gli altri player proveranno a rilanciare la propria visione.

Tutto in uno scenario dove la dialettica-scontro tra il protezionismo e il libero scambio si intreccia a interessi nazionali, come quello del suprlus della Germania e di una Cina che ha la necessità di spingere sull’acceleratore del liberismo puro per reggere il passo di un’economia americana ritornata sugli scudi.

Se a ciò si aggiunge che il comunicato del G-20 non fa riferimento alla lotta ai cambiamenti climatici, suggellata con l’accordo di Parigi Cop21, si capisce bene come Trump non solo abbia rovesciato le politiche del suo predecessore, Barack Obama, ma abbia anche rotto gli equilibri che avevano avvicinato i tre player mondiali più influenti, cioè Usa, Cina ed Europa.

Il silenzio del G-20 sul contrasto al protezionismo segna il terzo step della strategia dispiegata da The Donald negli ultimi giorni, dopo i tagli del 30% all’Agenzia per la protezione ambientale previsti nel piano americano “American first” e la linea di chiusura sugli immigrati e i rifugiati, ribadita ieri nell’incontro alla Casa Bianca con la cancelliera tedesca Angela Merkel. Uno schema, quello del protezionismo, che Trump mira a inserire nel contesto dell’economia mondiale come fattore destabilizzante di un quadro caratterizzato da forte instabilità e da una crescita che vacilla, soprattutto in Europa. Trump ha affidato al segretario del Tesoro, Steven Mnuchin, la sua strategia al G-20. “Crediamo in un commercio libero, ma equilibrato, che riduca gli eccessi”, ha affermato Mnuchin e il tema che animerà da oggi in poi l’economia globale sta proprio nel punto di caduta di questo equilibrio.

Gli Usa vogliono un equilibrio che miri a proteggere maggiormente la loro economia rispetto ad oggi. Per l’America la minaccia è la grande esposizione che molti Paesi, Germania in primis, hanno verso il suo mercato. Basta pensare a Berlino: l’export tedesco negli Stati Uniti ha toccato quota 113,73 miliardi, mentre il flusso inverso, cioè le importazioni di prodotti e merci americane in Germania sono state appena pari a 59,30 miliardi. Una differenza che per Berlino vale un surplus di quasi 50 miliardi di euro. Troppo per non spingere Trump a correre ai ripari: prima la minaccia di introdurre una tassa sulle importazioni delle Bmw prodotte in Messico. In attesa di capire se il presidente americano passerà alle misure pesanti, come la border tax per frenare le importazioni, gli Usa danno un primo segnale, e forte, al G-20, ma non chiudono la porta in faccia agli altri Paesi. Per questo Mnuchin si dice “fiducioso” di riuscire a collaborare “costruttivamente” sui macro temi della crescita globale e della stabilità finanziaria. E il braccio di ferro potrebbe passare anche attraverso il cambio del dollaro. Con la Banca centrale europea che potrebbe finire sotto ulteriore pressione per una normalizzazione monetaria che pone un sacco di problemi, in Europa e in Italia.

Il dinamismo dell’America si contrappone alla posizione degli altri player. La Cina esce sconfitta da questo G-20: le raccomandazioni del ministro delle Finanze, Xiao Jie, sulla necessità di opporsi al protezionismo “in modo deciso” si sono rivelate insufficienti per far convergere il G-20 su una posizione diversa rispetto a quella assunta nel comunicato finale. A pagare lo scotto di un’America che vuole lasciare il segno è anche l’Europa. Il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schaeuble, ha affermato chiaramente che ci aspettava ben altro sul tema del commercio. Lecca le ferite anche la Francia, che aveva fatto da casa madre all’accordo sul clima di Parigi. Il ministro dell’Economia francese, Michel Sapin, esprime tutto il suo rammarico per il fatto che nella dichiarazione finale non si faccia riferimento al tema dell’ambiente. “È un vero peccato che nelle discussione odierna siamo stati incapaci di raggiungere qualsiasi accordo soddisfacente”. Parole di resa.

La partita per la direzione da imprimere all’economia globale è entrata nel vivo. Intanto, per non farsi troppo male, i Paesi del G-20 hanno deciso di non dare vita a una guerra tra le valute: si sono impegnati a consultarsi in modo assiduo sui tassi di cambio e a evitare svalutazioni competitive. Sarà una sfida alla pari. Almeno sulla carta.


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Il 71% dei serbi rimpiange il Maresciallo Tito

Il 71% dei serbi rimpiange la vecchia Jugoslavia socialista, e la Serbia – tra le ex repubbliche jugoslave – è quella con la maggiore percentuale di nostalgici. Dalla parte opposta figurano Kosovo e Croazia, dove a rimpiangere la Jugoslavia del Maresciallo Tito è solo rispettivamente il 5% e il 18% dei cittadini.

E’ quanto è emerso da una inchiesta diffusa dal portale ‘Tportal’ e ripresa dai media a Belgrado. Dopo la Serbia la maggiore percentuale di jugo-nostalgici si registra in Bosnia-Erzegovina (68%), seguita dal Montenegro (63%) e Macedonia (45%). Nell’inchiesta non è stata presa in considerazione la Slovenia.
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Nomine partecipate, slittano i tempi. Resta forte il marchio renziano: Matteo Del Fante a Poste (e non solo)

Come se Matteo Renzi fosse ancora a palazzo Chigi: un giro di nomine “fiorentino”, nella regia e anche nei principali attori, è quello che si definisce in serata per Poste, Eni, Enel, Finmeccanica, Terna e le principali aziende di stato. E che sarà ufficializzato a ore, di certo entro la riapertura delle borse di lunedì mattina. Proprio come tre anni fa quando i posti strategici da assegnare, cemento di ogni governo, furono a giudizio di molti il principale movente della defenestrazione del governo Letta.

La priorità non cambia, sia pur nel mutato contesto con Renzi nei panni di ex premier e di ex segretario. E sancisce il nuovo di boa del renzismo: il ritorno in campo e una lunga marcia che va ben oltre le prossime elezioni politiche, perché gli uomini chiave nei posti chiave, avendo mandato di tre anni, le supereranno.

Il caso più eclatante è Poste Italiane, dove arriva l’ennesimo fiorentino, antica conoscenza di Renzi: Matteo Del Fante, formazione Jp Morgan, già direttore generale di Cassa Depositi e Prestiti e da tre anni a.d. di Terna, la società che gestisce la rete elettrica. Prenderà il posto di Francesco Caio, nonostante i risultati del manager che in questi tre anni ha triplicato gli utili. E nonostante la difesa del ministro Padoan. La sua “colpa” principale è stata quella di aver rotto con la Cisl – non con gli altri sindacati, che si sono schierati con lui – che nell’azienda è la sigla più forte. E che, sussurrano i maligni, è forte anche in vista delle primarie del Pd.

Il passaggio di Del Fante alle Poste libera la casella Terna. Una fonte di governo a tarda sera dice: “Il quadro delle nomine è pressoché chiuso, il problema è Terna dove c’è un braccio di ferro tra Renzi e il Tesoro”. Il nome dell’ex premier (e di Maria Elena Boschi) è Alberto Irace, oggi a capo di Acea. Altro “fiorentino”, come appartenenza politica, anche se cagliaritano nei natali: ha guidato dal 2009 al 2014 la Publiacqua, società toscana che ha avuto nel cda Maria Elena Boschi, Erasmo D’Angelis e che oggi è presieduta da Filippo Vannoni, uno degli accusatori di Lotti nell’affaire Consip. In alternativa Luigi Ferraris, capo dello Finanze di Poste, molto stimato da Padoan o Francesco Sperandini, altro tecnico a capo del Gse (gestore del servizio elettrico), anch’egli stimato dalla Boschi.

Prima della partenza di Padoan per il G20 di Baden Baden, è stato invece già comunicato ai diretti interessati l’avvicendamento a Finmeccanica, dove l’ex banchiere Alessandro Profumo, prenderà il posto di Mauro Moretti, dimissionato non per i suoi risultati, considerati positivi dal mercato e dal governo, ma per la condanna a sette anni in primo grado nel processo sulla strage di Viareggio. Un profilo, quello di Profumo, molto “finanziario” per formazione, alla guida del cuore pulsante delle strategie industriali che in molti ci invidiano. I rumors, in ambienti finanziari, parlando di un grande attivismo di Marco Carrai proprio sul dossier Finmeccanica, sia sul fronte amministratore delegato sia su quello della presidenza, ruolo ricoperto da Gianni De Gennaro. Proprio l’ossessione renziana per gli uomini di mercato è stata determinate per l’opzione Profumo, preferito alla soluzione interna che portava a Fabrizio Giulianini, attualmente alla guida dell’area elettronica della difesa di Leonardo-Finmeccanica.

Confermati i due amministratori delegati che Renzi aveva scelto nel 2014 per Eni e Enel, Claudio Descalzi e Francesco Starace. E saranno confermati anche tutti i fiorentini: Alberto Bianchi, tesoriere della Fondazione Open, dovrebbe rimanere in Enel, Fabrizio Landi nel cda di Finmeccanica, Elisabetta Fabbri in quello di Poste. Come tre anni fa, anche se con Renzi che (formalmente) non è più a palazzo Chigi. Con l’eccezione di qualche critico, come Francesco Boccia. Che, fiutata l’aria, a metà pomeriggio chiede formalmente a Renzi e Padoan che “nessun candidato alle primarie possa incidere nel processo delle nomine”. E si richiama alla “grammatica” istituzionale del governo Prodi che in un contesto analogo – era in scadenza nel 2008 – lasciò l’onere e l’onore delle nomine al governo che a breve avrebbero scelto di elettori. Già, la grammatica istituzionale.
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Il golfista Cody Gribble caccia l’alligatore dal campo di Bay Hill con grande nonchalance (VIDEO)

Gli alligatori a Bay Hill, Orlando, Florida, sono di casa. Ma ci sono modi e modi per cacciarli via dal campo. E Cody Gribble, golfista americano di 26 anni, ha scelto quello più rischioso: toccargli la coda. Il rettile, spaventato, si è lanciato nel laghetto mentre Gribble ha continuato la sua tranquilla camminata sul fairway del campo dove dal 16 al 19 marzo si gioca l’Arnold Palmer Invitational, torneo del Pga Tour ideato dalla leggenda del golf scomparsa nel settembre del 2016.
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Nomine, Mauro Moretti vicino all’uscita da Leonardo, Alessandro Profumo in pole per sostituirlo. Caio resiste

I risultati brillanti in termini di utili e performance non bastano: Mauro Moretti è vicino alla porta d’uscita di Leonardo, mentre l’a.d. di Poste, Francesco Caio, prova a resistere. La lista per il rinnovo del cda delle partecipate sarà depositata domani sera dal Tesoro, ma il puzzle, secondo quanto spiegano fonti vicine al dossier all’Huffington Post, è praticamente pronto. Giornata intensa di lavoro sulla partita delle nomine, con un incontro tra il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, e il premier Paolo Gentiloni a palazzo Chigi che è servito ad arrivare a una quadra di massima: per l’ex Finmeccanica è in pole Alessandro Profumo, ma si pensa anche a privilegiare una via interna nella figura del capo della divisione Elettronica e Difesa, Fabrizio Giulianini, molto apprezzato da diverse istituzioni, pronto a rimpiazzare Moretti. A Poste partita difficile per Caio: il fiorentino Matteo Del Fante, ora amministratore delegato di Terna, è in ascesa per prendere il suo posto.

Il puzzle del rinnovo dei vertici delle società controllate dal Mef non dovrebbe riservare sorprese per quanto riguarda Eni e Enel, i cui vertici vanno verso la riconferma. Resteranno al loro posto, quindi, il presidente e l’a.d. della società elettrica, Maria Patrizia Grieco e Francesco Starace, così come i vertici del cane a sei zampe, Claudio Descalzi e Emma Marcegaglia, con quest’ultima confermata, viene spiegato, anche nell’ottica di non alterare l’equilibrio delle quote rosa nelle partecipate.

Sono Poste e Leonardo le due società su cui si concentrano gli ultimi movimenti del Tesoro e di palazzo Chigi. L’uscita di Moretti da Leonardo appare oramai scontata e a pesare è la sentenza di condanna in primo grado emessa dal tribunale di Lucca per la strage di Viareggio, che provocò la morte di 32 persone. Moretti è stato condannato in qualità di ex a.d. di Rfi e la sentenza nei suoi confronti pesa come un macigno nonostante il risanamento messo in campo in casa Leonardo, che dopo sei anni ritornerà a staccare la cedola ai suoi azionisti. Troppo forte il fardello del passato per restare al posto di comando di una società strategica per lo Stato come l’ex Finmeccanica, dove invece resterà il presidente Giovanni De Gennaro.

Chi prova a resistere è invece Caio. L’ex a.d. di Avio e sponsorizzato dall’ex premier Enrico Letta nel 2014 ha dalla sua un utile netto in crescita e un dividendo superiore alle previsioni. Nessun problema con la giustizia, ma a pesare sulla sua posizione ci sono operazioni che sono sfuggite di mano a Poste, come Pioneer, ceduta da UniCredit ai francesi di Amundi. Una macchia in un curriculum impeccabile che si inserisce in un quadro più generale, dove a pesare è la diffidenza dei renziani, contrari alla privatizzazione di Poste, di cui Caio è convinto sostenitore. Di più. Il pressing dei renziani ha un obiettivo: rimpiazzare Caio con Del Fante. Un pressing che, spiegano le stesse fonti, ha buone probabilità di andare in porto. Se si dovesse verificare questo scenario per Terna ci sarebbe una doppia possibilità: Luigi Ferraris, chief financial officer di Poste, oppure Alessandro Profumo, con quest’ultimo che sarebbe in pole. Ferraris, infatti, sarebbe in lizza anche per sostituire Moretti a Leonardo.

La posizione di Caio è fortemente in bilico. Chi ha avuto modo di lavorare dentro Poste durante il suo mandato fa notare come la sua linea d’azione, confermata nel piano, è orientata a privilegiare “prodotti ad alto rischio” a discapito del radicamento sociale e degli obblighi del servizio universale che rappresentano settori con minore capacità di redditività. Un orientamento che non piace ai renziani che in più di un’occasione hanno criticato la strada delle “logiche di profitto a discapito dei servizi universali”. Ecco perché la poltrona di Caio balla ed è quella più calda.

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Cosa sono le Sim, società di intermediazione mobiliare

C’era una volta l’agente di cambio, un intermediario finanziario che, per conto di un cliente, cercava e acquistava il prodotto che offriva il miglior rapporto qualità-prezzo in un dato mercato. Oggi ci sono le Sim, le società di intermediazione mobiliare iscritte in un apposito albo tenuto dalla Consob. Vediamo di cosa si tratta


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Alitalia: ok al piano, ma non al finanziamento. Gubitosi entra nel cda

Alitalia si prepara per la ‘fase due’. È stato approvato l’atteso piano di rilancio della compagnia, che con un taglio dei costi per 1 miliardo in tre anni e un aumento dei ricavi del 30% punta all’utile entro la fine del 2019. Manca però ancora un tassello, non secondario: il finanziamento del piano da parte degli azionisti, che è subordinato all’accordo con i sindacati. Nel frattempo si prepara un rinnovo al vertice, con l’arrivo dell’ex direttore generale della Rai Luigi Gubitosi, che è stato cooptato in cda e che diventerà presidente esecutivo (al posto di Luca Cordero di Montezemolo che dovrebbe comunque restare in cda) dopo l’ok al finanziamento del piano.

L’approvazione del piano 2017-2021 è arrivata al termine di un cda fiume durato circa sei ore e mezza, che ha approfondito a fondo tutti aspetti e dettagli. “Con l’approvazione della seconda fase del piano industriale possiamo accelerare il rilancio di Alitalia”, ha commentato l’a.d. Cramer Ball, spiegando la necessità di “misure radicali” per “ridare un futuro alla compagnia” in una contesto in cui “l’industria del trasporto aereo è in continua evoluzione ed è caratterizzata da una concorrenza spietata”. Il cda ha anche cooptato Gubitosi come nuovo membro del consiglio in sostituzione di Roberto Colaninno, che ha lasciato il board a febbraio, e tutti gli azionisti hanno condiviso “unanimemente” l’intenzione di conferirgli l’incarico di presidente esecutivo una volta approvato il finanziamento del piano stesso.

Il via libera del cda sblocca anche l’incontro tra Alitalia e il Governo, rimasto in sospeso per l’intera giornata in attesa dell’esito del board. Un incontro “dovrebbe esserci” già domani, aveva detto in mattinata il ministro dello sviluppo Carlo Calenda, subordinando però la riunione all’arrivo del piano. L’ufficializzazione dell’incontro è arrivata in serata dal cda della compagnia: “Il management della compagnia – si legge nel comunicato – presenterà il piano domani al Governo”.
Successivamente sarà il turno dei sindacati. Ai quali toccherà la delicata trattativa sugli esuberi (che le indiscrezioni quantificano tra 1.600 e 2.000) e sui tagli al costo del lavoro.

Ma ai sindacati è affidata una responsabilità ancora maggiore, visto che il cda ha deciso che il finanziamento del piano da parte degli azionisti è subordinato all’accordo con le organizzazioni sul nuovo contratto e sulle misure relative al personale. Intanto, se il ministro Calenda aspetta prima di esprimere una qualche preoccupazione (“io vedo prima il piano è poi, in caso, mi preoccupo”, ha detto), i sindacati si preparano alla trattativa. “La vertenza Alitalia è tutta da vedere, nel senso che, per il momento, abbiamo capito che stanno ridefinendo i vertici”, ha detto la leader della Cgil Susanna Camusso, precisando che solo dopo l’approvazione del piano “dovremo valutare se risponde alle esigenze effettive di rilancio e non ad un altro piano che è puro ridimensionamento”.

Intanto prosegue la polemica sulla decisione della compagnia di interrompere dal 27 marzo i voli da e per Reggio Calabria, con un botta e risposta tra Alitalia e la Regione. Per difendere la decisione dell’aviolinea, l’a.d. Ball ha scritto una lettera al presidente della regione Marco Oliverio, in cui puntualizza che nonostante in questi 15 mesi ci siano stati ripetuti incontri, “purtroppo non si è registrato alcun sostanziale progresso”. Ball, ricordando che l’aviolinea vanta nei confronti della Regione crediti per 1,8 milioni ancora non pagati, ribadisce comunque la disponibilità a “valutare eventuali nuovi scenari, misure e forme di incentivazione di immediata attuazione” per ripristinare “in maniera sostenibile” i voli con Reggio Calabria.

Un’apertura accolta con favore da Oliverio, che – in una lettera di risposta – si augura che la disponibilità “sia reale e possa condurre ad un rapido ripensamento di Alitalia”. Il Governatore, tuttavia, aggiunge una frecciatina polemica, accusando Ball di “un’azione di sistematica disinformazione al fine di giustificare scelte che non possono essere attribuite a responsabilità della Regione Calabria”.

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Il cliente sceglie l’Ncc, il tassista non ci sta e si aggrappa al cofano dell’auto: il conducente lo trascina fino a San Pietro

Una lite per una cliente tra un tassista e un conducente Ncc è degenerata la scorsa notte a Roma. Poco prima delle 3 una donna è salita a bordo di un’auto Ncc in Largo Argentina, nel cuore di Roma, dove c’erano alcuni taxi in sosta. Così è nata una discussione. Secondo quanto si è appreso, quando l’Ncc ha messo in moto un tassista si è aggrappato al cofano per non farlo partire, ma il conducente ha ingranato la marcia ed è andato via trascinandolo fino a via della Traspontina, a San Pietro.

Durante la corsa ha dato l’allarme al 112. Sul posto la polizia, che indaga sulla vicenda, polizia municipale e 118. Il tassista è stato soccorso e portato in ospedale, ma non sarebbe in gravi condizioni. Entrambi sono stati identificati. La loro posizione è ora al vaglio. Rischiano la denuncia.
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Paolo Gentiloni all’assemblea dei parlamentari Pd: “Non mi rassegno all’idea di tirare a campare”

“Non mi rassegno all’idea di un governo e una maggioranza in cui si tira a campare. Non può essere così, sarebbe non solo un errore ma anche un torto alla nostra coscienza, al nostro dovere e al senso delle istituzioni. Così il premier Paolo Gentiloni si è rivolto all’assemblea dei deputati Pd. “E poi di fatto non è così, se penso a questi tre mesi del nuovo governo”, ha aggiunto il presidente del Consiglio.

Referendum, il premier: “Correggeremo le norme”
“Abbiamo la sfida di correggere nei prossimi giorni le norme che saranno oggetto del referendum che abbiamo convocato. Il capogruppo Rosato organizzerà anche i modi nei quali nel gruppo discuteremo di come affrontare la tematica”, ha detto il premier.

Gentiloni ha confessato di non aver mai pensato di “fare un’assemblea del gruppo Pd da presidente del Consiglio” ma – ha aggiunto “la vita è strana”. Il premier ha annunciato che i decreti attuativi del provvedimento per il contrasto alla povertà sono “quasi pronti” e ha rilanciato l’azione dell’esecutivo. “In un tempo definito dalla vita della legislatura, come governo dobbiamo fare cose fondamentali che consentano al Pd di arrivare alle elezioni politiche nella migliore forma possibile. Questa è non solo un’affermazione di principio ma anche un’esigenza che deriva dalle difficoltà degli ultimi mesi”, ha sottolineato.
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