Per combattere l’ansia, bisogna accettarla. Parola di un ex agente Fbi

L’ansia si presenta sotto varie forme. Una tipologia tra le più diffuse, è quella che colpisce prima di una presentazione in pubblico, di un esame, o di un colloquio di lavoro. Esistono molti modi per combatterla, ma uno in particolare è molto semplice: accettarla.

Dover parlare in pubblico innervosisce la maggior parte delle persone. A questo, si unisce l’ansia di dover mascherare il proprio nervosismo, per paura che dia un’impressione negativa. In un’intervista all’Independent, l’ex agente del Federal Bureau of Investigation (FBI) Joe Navarro ha spiegato che esistono 3 semplici esercizi per combattere queste sensazioni.

“La prima cosa che dico alle persone è: se sei nervoso, probabilmente c’è una buona ragione per esserlo. – dice al quotidiano britannico – Vai avanti e non cercare di nasconderlo”.

Navarro è autore del libro “What every BODY says”, un libro su come combattere l’ansia che già nel gioco di parole del titolo dà una risposta. “Quello che tutti (e tutti i corpi) dicono”. Il punto centrale di Navarro è infatti che tutti diventano ansiosi in qualche momento, e che quindi non c’è nessun motivo per vergognarsene o cercare di nasconderlo.

“Lo stress è un fenomeno naturale – continua sull’Independent – e cercare di controllarlo può far impazzire. È molto più semplice ammettere con se stessi: ‘Sono nervoso, e gli altri dovrebbero saperlo’ “.

La strategia per combattere l’ansia, quindi, si comporrebbe di 3 “piccoli” passi.


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Mps, via libera al piano industriale. Il titolo vola in Borsa a +28%. Ora si aprono due mesi decisivi per il futuro di Siena

Via libera del consiglio d’amministrazione di Mps al nuovo piano industriale con cui presentarsi al mercato per chiedere i 5 miliardi di euro necessari a ripulire il bilancio della banca da 27,7 miliardi di sofferenze e ad alzare le coperture sugli altri crediti deteriorati ancora sui libri della banca. Il via libera al piano è arrivato nel corso di un consiglio-fiume, iniziato alle 10 di mattina e protrattosi fino a sera nel corso del quale sono stati anche approvati i conti del terzo trimestre e convocata l’assemblea che, a fine novembre, dovrà approvare l’aumento fino a cinque miliardi di euro necessario a ricostituire i requisiti patrimoniali chiesti dalla Bce.

In attesa di conoscere i numeri del piano, che secondo indiscrezioni potrebbe prevedere un utile superiore al miliardo al 2019 per la banca ripulita, il titolo ha registrato l’ennesimo rally di Borsa, chiudendo con un poderoso rialzo del 28,28% a 0,34 euro, tra scambi pari al 14,7% del capitale. Da martedì scorso le azioni hanno raddoppiato il loro valore – la capitalizzazione è ora di 1 miliardo di euro – ed è passato di mano oltre il 50% del capitale sulle voci di contatti con grandi fondi sovrani (Qatar, Kuwait, Abu Dhabi), ricchi investitori (da Blackrock a George Soros) ed hedge fund. Nessuno ha per ora assunto impegni di sottoscrizione ma chi farà richiesta potrà accedere a una data room subordinatamente alla sottoscrizione di un accordo di riservatezza. Ad alimentare la corsa del titolo ha contribuito anche il ‘piano B’ messo a punto dal banchiere ed ex ministro, Corrado Passera, che punta a ridurre l’ammontare dell’aumento di capitale attorno agli 1-1,5 miliardi di euro grazie all’intervento di alcuni grandi fondi Usa (tra cui Atlas e Warburg Pincus).

Dopo l’approvazione del piano industriale si aprono due mesi decisivi per Mps, nel corso dei quali si capirà se la ‘soluzione di mercato’ auspicata dal governo e a cui lavorano gli advisor Jp Morgan e Mediobanca riuscirà a risolvere i problemi dell’istituto senese, allontanando una volta per tutte le spettro del ‘bail-in’.

Domani il piano messo a punto dall’amministratore delegato Marco Morelli verrà presentato al mercato e alla stampa dopodiché inizierà il road-show di un paio di settimane tra gli investitori per convincerli a puntare sulla ‘nuova’ Mps, ripulita da 27,7 miliardi di sofferenze. Tappe fondamentali saranno Londra, dove Morelli si fermerà da mercoledì a venerdì, e New York, dove il banchiere volerà la prossima settimana.

A fine novembre si terrà l’assemblea per approvare l’aumento di capitale fino a cinque miliardi di euro, il cui esatto ammontare sarà definito, a ridosso dell’assise, sulla base della disponibilità degli obbligazionisti subordinati a convertire i propri bond in azioni e dell’impegno di eventuali anchor investor (sono circolati i nomi di Qatar, Kuwait, Cina, oltre che di grandi investitori come Blackrock, Soros e Paulson) a prenotare fette importanti della ricapitalizzazione.

Per ottenere il via libera dell’assemblea straordinaria (l’aumento è senza diritto di opzione, dunque penalizzante per gli attuali soci) servirà la partecipazione di almeno il 20% del capitale e il sostegno della maggioranza. Ma più dei quorum assembleari la vera incognita è rappresentata dall’esito del referendum del prossimo 4 dicembre. In caso di vittoria del ‘sì’, il consorzio di collocamento avrebbe ‘una storia’ da vendere insieme alla azioni Mps, quella di un Paese che fa le riforme e di un premier ben saldo alla sua guida. In tal caso l’aumento partirebbe tra il 6 e il 7 dicembre per concludersi prima di Natale. Ma se dovesse vincere il no, l’aumento verrebbe rinviato al 2017, con esiti molto incerti, per sottrarre Mps alla volatilità che si abbatterà sul mercato.

Poco prima dell’aumento, sulla base dell’interesse suscitato tra gli investitori, verrà anche definito il prezzo a cui verranno vendute le nuove azioni mentre contestualmente all’aumento verranno ceduti i 27,7 miliardi di sofferenze a un veicolo che dovrà successivamente cartolarizzarle, grazie all’intervento di Atlante e a un prestito-ponte di 5 miliardi di Jp Morgan.
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La differenza tra Barack Obama e Donald Trump in due foto: l’amore per le donne contro il sessismo

Ha ricevuto una pioggia di critiche per le intercettazioni rubate in cui raccontava di averci provato pesantemente con una donna sposata e con una prostituta, mostrando di non aver certo rispetto per il gentil sesso. Ha pronunciato più volte in passato frasi infamanti verso le donne di ogni età, peso e razza, senza curarsi di essere neanche lontanamente politically correct.

Ma proprio questo atteggiamento sprezzante e provocatorio gli è tornato indietro come un boomerang nelle ultime settimane, facendogli perdere molti punti percentuali nei sondaggi che lo vedono contrapposto a Hillary Clinton per la corsa alla Casa Bianca. E questa foto dimostra perfettamente perché Donald Trump non sia di certo un uomo di stile.

Un addetto alle pubbliche relazioni, James Melville, ha voluto sottolineare quanta differenza ci sia tra l’uomo che potrebbe diventare presidente degli Stati Uniti alle prossime elezioni politiche americane e l’attuale premier in carica, Barack Obama. Per farlo ha postato sul suo profilo Twitter due foto, che ritraggono Obama e Trump in una medesima situazione, ma mostrando due comportamenti completamente differenti.

In una giornata di diluvio come tante, infatti, il primo presidente americano di colore e il miliardario del Queens hanno dovuto attraversare un luogo non protetto dalla pioggia, esponendosi alle intemperie. Accompagnati entrambi da due donne (dalla moglie Michelle nel caso di Obama e dalla collega Pam Bondi nel caso di Trump), i due avevano a disposizioni un solo ombrello. Usato, tuttavia, in maniera molto diversa.

Nella foto scattata nell’aprile del 2013 all’Andrews’ Air Force, Barack Obama – che si è sempre dimostrato molto cavalleresco e cortese nei confronti della moglie – ha lasciato che a coprirsi dalla pioggia copiosa fosse Michelle (nella foto sullo sfondo, in abito blu), camminando totalmente scoperto sotto il diluvio.

Al contrario, in una simile circostanza – era il 24 agosto del 2016, in Florida – il tycoon ha tenuto per sé l’ombrello, lasciando la repubblicana Pam Bondi – vicinissima a lui – a prendere l’acqua che scendeva giù dal cielo. Eppure, solo 3 anni prima la Bondi lo aveva graziato, rinunciando a perseguire un caso di frode riconducibile al biondo candidato alla Casa Bianca.

La foto ha fatto il giro del social network di San Francisco e ha ottenuto più di 15mila apprezzamenti in pochissimo tempo, per il suo evidente valore simbolico: la capacità del presidente in carica di prendersi cura degli altri e di rispettare le donne, contrapposta all’egoismo più basso, che non risparmia neanche i propri colleghi di partito.

“Un’immagine può veramente far capire molte cose, e questa lo fa” commenta un utente sotto il tweet di Melville, mentre un altro è più ironico e annota: “Quel che è certo è che la Casa Bianca deve investire nel comprare più ombrelli”. Ironia a parte, pare che gli elettori americani abbiano preso questa foto molto sul serio.
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Matteo Renzi e Pier Carlo Padoan, parole grosse per smorzare Bruxelles

“Un’Italia capace di fare le riforme a casa propria è più autorevole in Europa”. Una frase che Matteo Renzi più volte, negli ultimi tempi, ha ripetuto. Tuttavia, mai come in questi giorni rende evidente quanto siano legati i due fronti – le due “battaglie storiche” per dirla con le sue parole – che il premier sta combattendo: quella a Bruxelles sulla legge di Bilancio e quella in Italia sul referendum.

Vincere l’una per vincere anche l’altra. E viceversa. Come mai in passato, il presidente del Consiglio sta facendo la voce grossa con l’Europa. E non soltanto lui. Perché le sue parole fanno il paio con quelle del ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, che, in un’intervista a ‘Repubblica’ – sentenzia che se l’Ue dovesse bocciare la manovra italiana “sarebbe l’inizio della fine”. Un intervento di cui, ovviamente, il premier era al corrente.

Tecnicamente, la disputa si gioca sullo 0,1% del Pil, ossia 1,6 miliardi di lire. Già domani potrebbe arrivare all’Italia (e ad altri cinque Paesi) la lettera con una richiesta di chiarimenti da parte di Bruxelles. I dubbi, sul fronte delle entrate, riguarderebbero le troppe una-tantum, mentre tra le uscite le perplessità ricadrebbero soprattutto sul piano nazionale di salvaguardia antisismica, considerato strutturale e non emergenziale.

Di fronte all’arrivo della missiva, sostanzialmente, Renzi scrolla le spalle e sminuisce. “Quante volte l’ha mandata? Sempre. A quanti Paesi? Almeno 5 o 6. E’ il fisiologico dialogo tra istituzioni”, afferma. Quanto a quel controverso 0,1% più, il presidente del Consiglio sostiene che non sta lì in punto della questione. “Io – spiega – voglio difendere l’Italia, nella battaglia storica perchè il bilancio europeo tenga insieme diritti e doveri”. Un tema che si ricollega, nelle parole del presidente del Consiglio, anche a quello dell’accoglienza. “Non stiamo litigando con l’Europa. Stiamo dicendo – insiste – che in passato l’Italia ha detto sempre di sì a tutto, ma noi siamo contributori dell’Europa: ogni anno diamo 20 miliardi e ne riprendiamo solo 12. Possiamo cominciare a far sì che quelli che prendono i soldi prendano anche i migranti? Ma i Paesi dell’Est salvati dalla Ue oggi chiudono le porte”.

Certo, spiegano fonti Pd, nello scegliere dei toni così duri, non è stata estranea a Renzi la consapevolezza di quanta presa la battaglia contro l’Europa-matrigna abbia su una parte dell’elettorato. Soprattutto, a destra. Dove, per ammissione dello stesso premier, è necessario andare a pescare se si vuole vincere il referendum costituzionale. Dalle opposizioni parlamentari, però, arriva anche un’altra accusa: quella di aver riempito il decreto fiscale di mance e marchette “per accalappiare consenso ai fini del referendum” (parole di Brunetta). Ed ecco che le due battaglie tornano ad incrociarsi.

A quelle stesse opposizioni, tuttavia, Renzi, lancia un appello affinché condividano la sfida europea. “Io spero – afferma – che la nostra proposta di rimettere in discussione il bilancio europeo e le regole economiche venga portata avanti anche a dispetto del referendum: nel 2017 discuteremo del Fiscal compact” che dovrà o meno essere inserito nei Trattati. “Spero – insiste – che tutto il Paese ci sia su questi temi”.
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“Le stanno mangiando vive!”. Quello che ho visto in un’azienda avicola che adotta l’allevamento a terra

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La prima cosa che ho sentito, nell’oscurità, è stato un urlo: “Ci sono bambini qui?” ho pensato. Sembrava proprio il pianto di un bambino.

Ma le luci ci hanno mostrato la fonte di quel suono. Nel fienile, le galline “gridavano” mentre venivano attaccate. Molte (qualche dozzina secondo i registri della fattoria) non avrebbero superato la notte. Nelle condizioni mostruose di quella fattoria con allevamento a terra della Costco (la più grande catena americana di ipermercati all’ingrosso) sarebbero state mangiate vive, nel vero senso della parola.

Dal momento che centinaia di rivenditori importanti stanno passando all’allevamento a terra, nel settore sono in molti a sbandierare un futuro più umano per gli animali. Ma come principale ricercatore della Direct Action Everywhere http://www.directactioneverywhere.com/ (DxE) Open Rescue Newtork, ho una reazione diversa: provo orrore. Perché, tolta la patina del marketing, ci si rende conto che l’allevamento a terra non è come ce lo raccontano.

ATTENZIONE: il video mostra contenuti che includono animali feriti o deceduti. Potrebbe turbare alcuni spettatori.

Il cannibalismo è il primo oscuro segreto dell’allevamento a terra. Uno studio ha mostrato che i tassi di cannibalismo aumentano del 3000% nelle aziende che praticano questo tipo di allevamento. Ed è un modo orribile di morire. La cloaca della gallina (equivalente alla vagina umana) viene presa a bersaglio perché è tenera, carnosa e ricoperta di fluidi. Impazziti a causa dell’affollamento, gli uccelli attaccano questo punto debole, tirando fuori gli organi interni. Le vittime di questi attacchi muoiono, pezzo dopo pezzo. Nella fattoria della Costco ho visto un esemplare, insanguinato e incapace di avanzare, trascinarsi su un ammasso di letame nel disperato tentativo di fuggire. Nonostante gli sforzi, il nostro team non è riuscito a salvare la piccola gallina.

Ma il cannibalismo è solo la punta dell’iceberg. Dalla qualità dell’aria alle fratture, le galline spesso patiscono molto di peggio in un sistema di allevamento a terra. Le morti premature sono triplicate. Se un simile aumento della mortalità venisse registrato in una prigione “umana”, ci sarebbero accuse penali nei confronti del direttore.

Il problema fondamentale per le galline è questo: le aziende con allevamento a terra, come quelle che seguono l’allevamento in gabbia, schiacciano le galline in uno spazio che ha le dimensioni di un foglio da stampante. Immaginate di vivere tutta la vita chiusi in una piccola doccia. Ora, immaginate di vivere la vostra vita in quello stesso spazio, ma con migliaia di estranei impazziti che si accalcano intorno a voi. Ecco l’alternativa tra allevamento con gabbie o a terra. Nessuna delle due opzioni è umana, neanche lontanamente.

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L’allevamento a terra non è dannoso solo per gli animali; contribuisce anche a gonfiare i profitti del settore. Bloomberg riferisce che il consumatore medio è disposto a pagare più del doppio per una dozzina di uova da allevamento a terra, un extra di circa 2 dollari per ogni confezione da dodici. Ma i soli costi aumentano di circa il 15% per una dozzina di uova da allevamento a terra. Se, oggi, tutte le produzioni di uova adottassero l’allevamento a terra a questi prezzi, i guadagni del settore aumenterebbero di 7 miliardi di dollari.

La crescita del settore alimentata dall’allevamento a terra non è solo speculativa. Nell’anno successivo al massiccio passaggio all’allevamento a terra, l’America Egg Board prevede un aumento del 5% nel consumo di uova pro-capite. Le maggiorazioni dei prezzi porteranno a investimenti più significativi nella produzione di uova. Questo significa che milioni di animali potrebbero ancora soffrire le condizioni da incubo delle moderne aziende avicole. Infatti proprio la fattoria Costco, che abbiamo ispezionato di recente, si è assicurata un finanziamento di un milione per estendere le proprie attività produttive.

La soluzione al problema è il cambiamento. Però a cambiare non devono essere le pratiche aziendali, ma i sistemi incentivanti che sono alla base di queste pratiche. Le società operano in un mondo dove gli azionisti pretendono guadagni, dove gli animali sono “oggetti” legali che aiutano a creare determinati guadagni, e dove non esistono norme significative che regolino il passaggio da “animali” a “profitti”. Non sorprende dunque, (proprio come accade nel settore finanziario) il fatto che anche qui le riforme volontarie siano costantemente ostacolate. Le aziende che cercano di fare la cosa giusta vengono punite dal mercato per essersi accollate spese non necessarie.

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È quello che succede con l’allevamento a terra. Le aziende trovano modi originali per stipare sempre più uccelli in uno spazio già ridotto al minimo. Finché il sistema non cambierà (riconoscendo agli animali una parvenza di diritti civili) questi abusi aziendali sono destinati ad andare avanti.

Il vero progresso per gli animali non può dipendere da realtà come la Costco. Come dimostrato da altri grandi movimenti per i diritti, arriverà solo cambiando il nostro sistema politico. E anche se l’idea di una carta costituzionale dei diritti degli animali può sembrare fantasiosa, è stato così anche per il matrimonio gay una generazione fa, o per il suffragio femminile all’inizio del 20° secolo. Eppure, guardate dove siamo arrivati oggi.

Per farla breve, “liberiamo le galline”, come ha suggerito giustamente Bill Maher alla Costco, lo scorso anno. Ma la libertà per gli animali non arriverà con l’allevamento a terra. Arriverà quando inizieremo a custodire la loro libertà, la loro dignità, perfino il loro “stato di persona” come un diritto fondamentale.

Questo articolo è stato pubblicato per la prima volta su Huffpost Usa ed è stato poi tradotto dall’inglese da Milena Sanfilippo

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Equitalia, tutte le novità: cambia nome, lo statuto avrà l’ok della presidenza del Consiglio. Cosa prevede il decreto fiscale

Le multe si pagano, ma senza interessi. La voluntary disclosure non fa sconti al “nero” nascosto sotto il materasso e Equitalia cambia nome e forse sostanza, passando sotto la diretta supervisione del Presidente del Consiglio. Con il decreto fiscale arrivato oggi al Quirinale, in largo anticipo rispetto alla tabella di marcia che prevedeva l’approdo simultaneo alle Camere martedì prossimo insieme alla legge di bilancio, i provvedimenti solo enunciati dalle slide del governo nei giorni scorsi prendono finalmente forma.

Equitalia dunque sarà sciolta come previsto a partire dal primo luglio del 2017. L’Inps cederà il 49% delle quote all’Agenzia delle Entrate, che ne diventerà così l’unica proprietaria. Personale e strutture confluiranno in un ente pubblico economico denominato “Agenzia delle Entrate-Riscossione” ma non si tratterà semplicemente di un cambio di denominazione, come potrebbe sembrare. Il decreto prevede infatti che lo statuto del nuovo ente, che sarà presieduto dal direttore generale dell’Agenzia delle Entrate, venga approvato con un decreto del presidente del Consiglio, su proposta del ministero dell’Economia. La procedura di definizione dello statuto del futuro ente economico può essere considerata la prima applicazione della riforma Madia, che prevede in molti casi un trasferimento nella Pa di funzioni e poteri a Palazzo Chigi. La creazione del nuovo ente, che per la sua natura giuridica permetterà di accogliere gli ottomila dipendenti di Equitalia senza penalizzazioni di stipendio, costituisce probabilmente il primo nucleo della struttura dotata di maggiore autonomia funzionale dentro il quale dovrebbero confluire in futuro anche le altre agenzie fiscali.

Multe, come funzionerà Le sanzioni per violazione al codice della strada potranno essere rottamate, insieme alle altre cartelle esattoriali, ma limitatamente agli interessi e alle maggiorazioni previste per i ritardati pagamenti e non per le sanzioni. Le multe sono loro stesse delle sanzioni amministrative. Nella sanatoria fiscale rientrano anche le cartelle emesse per l’evasione dell’Iva.

Il ministro Padoan è riuscito evidentemente a convincere Bruxelles che il provvedimento non confligge con l’ordinamento tributario di cui l’imposta sul valore aggiunto fa parte. Il condono varato nel 2004 dal governo Berlusconi era stato sanzionato dalla Corte di giustizia Ue. L’altra misura legata alla nuova voluntary disclosure, soprannominata subito la “salva-Corona” per la concomitanza con il provvedimento giudiziario preso nei confronti dell’attore per il ritrovamento di un piccolo tesoro in contanti a casa sua, è stata ritirata sull’onda delle polemiche. Prevedeva di regolarizzare l’emersione del nero “domestico” detenuto in cassette di sicurezza, casseforti e anche sotto il materasso dietro il pagamento di un’aliquota fissa al 35%. Il decreto prevede la riapertura dei termini fino al 31 luglio 2017 della precedente adesione volontaria. Ma il cash e i beni ignoti al fisco che verranno dichiarati sconteranno la tassazione ordinaria progressiva e faranno reddito con tutto il resto, senza sconti.

Con il decreto vengono poi notevolmente potenziate le risorse per la creazione e la gestione dei centri di accoglienza per gli immigrati irregolari. Saranno assegnati 600 milioni in più che si aggiungeranno ad altri 100 milioni messi a disposizione dei comuni che accolgono i residenti asilo. Lo Stato riconoscerà loro fino a un massimo di 500 euro a richiedente.

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Massimo D’Alema: “Referendum come Brexit: i Sì arrivano dagli anziani”

Nuove bordate di Massimo D’Alema al referendum, che l’ex premier paragona, commentando il sondaggio pubblicato dal Corriere della Sera a quello sulla Brexit appoggiato in Gran Bretagna soprattutto dagli elettori più avanti con l’età. ‘Renzi parla a nome di una gioventù che non lo segue – afferma D’Alema – I giovani votano No, votano Sì solo le persone molto anziane forse anche perché hanno maggiore difficoltà a comprendere questa riforma sbagliata. E’ come per la Brexit: gli anziani non si rendono conto che approvando la riforma renziana si rovina la vita dei nipoti. Spero che i nipoti facciano in tempo a farglielo capire”.

L’ex presidente del consiglio ha poi negato di avere mai parlato al telefono con Stefano Parisi, ex candidato sindaco di milano per il centrodestra, come scritto sul corriere della sera di oggi.

“Sinceramente con curiosità stamattina, persino da parte di un collega che ho sempre ammirato per la sua vena letteraria, ho letto i verbali di una conversazione tra me e il dottor stefano Parisi che non è mai avvenuta. Evidentemente si tratta di una notizia che viene diffusa allo scopo di avvalorare queste tesi” ha detto a margine di un convegno organizzo della fondazione iniziativa subalpina.

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Legge di Bilancio, nel decreto fiscale salta la “norma Corona”: niente forfait al 35% per la voluntary disclosure sul contante

All’ultima curva, la cosiddetta “norma Corona” si schianta contro il muro del Ministero dell’Economia. Nel testo finale del decreto fiscale che accompagna la legge di Bilancio e su cui è al lavoro per le ultime limature il Mef, sparisce l’aliquota forfettaria del 35% per regolarizzare le somme in contanti illecitamente nascoste al fisco. Una misura che negli ultimi giorni ha provocato più di qualche malumore anche all’interno dello stesso Pd. “È difficile non vedere in questa misura un condono“, aveva spiegato ieri il presidente della Commissione Bilancio alla Camera e deputato dem Francesco Boccia, ospite di Huffpost Live

È solo l’ultima correzione in corsa di un cantiere ancora aperto. Sono passati sei giorni dal varo in Consiglio dei ministri della Legge di Bilancio e un testo definitivo ancora non c’è. “Non è sicuro che si chiuda nemmeno stasera”, trapela da Palazzo Chigi mentre in Parlamento la Manovra era attesa già entro la mezzanotte di ieri, termine ultimo previsto dalla riforma del Bilancio dello Stato. Sono gli uffici di via XX settembre, in queste ore, a lavorare sui dossier più spinosi. E il più delicato è proprio il decreto fiscale annunciato da Matteo Renzi in conferenza stampa, tecnicamente sganciato dalla Legge di Bilancio, ma che include alcune misure fondamentali per assicurare gli obiettivi di aumento di gettito fiscale che rappresentano una delle voci di copertura della manovra.

Tra queste la voluntary disclosure, la procedura per il rientro e l’emersione dei capitali non dichiarati, che nella sua versione originaria – secondo le indiscrezioni degli ultimi giorni – prevedeva appunto l’applicazione di un’aliquota forfettaria al 35% in sostituzione di sanzioni, interessi e more. Tornato sui suoi passi il governo dovrebbe optare per una modalità più onerosa per i dichiaranti, quella di far concorrere le somme dichiarate all’imponibile complessivo, applicando l’aliquota di riferimento con l’obbligo inoltre di dimostrare la provenienza delle somme sanate.

Una soluzione sicuramente che getta acqua sul fuoco delle polemiche ma prevedibilmente è destinata a far incassare allo Stato cifre sensibilmente più basse di quelle assicurate da un’aliquota flat. Basti pensare che in conferenza stampa il presidente del Consiglio Renzi ha parlato di un incasso previsto di circa 2 miliardi, cifra poi ridimensionata nelle tabelle inviate nei giorni scorsi a Bruxelles. Anche per questo a via XX settembre era stata discussa anche un’altra opzione, per certi versi opposta a quella adottata alla fine. Secondo fonti vicine al dossier, il governo avrebbe valutato fino all’ultimo anche la possibilità di mantenere l’imposta flat, ma tagliandola ulteriormente rendendola quindi più appetibile. Una misura destinata probabilmente a far esplodere nuove e più vigorose polemiche.

Intanto questa mattina è arrivata a Bruxelles una versione corretta del Draft Budgetary Plan, già recapitato alla Ue martedì mattina. Nel documento sono state apportate alcune modifiche alle voci di diverse tabelle. Invariato per il momento il numero al centro dei malumori con l’Europa, il deficit strutturale che nel 2017 risulterebbe in aumento di 4 decimi di punto rispetto al 2016 mentre le Commissione auspicherebbe un dato in diminuzione. Piccola variazione invece per il 2018, con il dato in calo a -0,7% invece del -0,8% indicato nella prima versione del documento.

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La telecamera di sorveglianza riprende i ladri di Kim Kardashian in bicicletta con la refurtiva: le immagini della tv M6

In bici, tra le strade di Parigi, con il bottino sottratto a Kim Kardashian. La tv francese M6 pubblica il video delle telecamere di sicurezza di quelli che sono i presunti autori del colpo ai danni della star. Nel filmato si vendono alcune persone fuggire in bicicletta, con la refurtiva in un sacco.

Le immagini recuperate in esclusiva dalla tv francese riprendono uno scorcio della via vicino all’hotel Pourtalés, nell’VIII distretto della capitale francese. L’orologio segna le 2 e 19 del mattino quando la telecamera riprende tre uomini sfrecciare in bicicletta: sono i presunti rapinatori della star. Poi passano due pedoni nella stessa direzione. Tutto sembra tranquillo, ma quaranta minuti più tardi gli stessi uomini in bicicletta percorrono la via in direzione contraria: due a velocità sostenuta, uno più lentamente. E proprio quest’ultimo, paradossalmente, sarebbe quello con in mano il bottino. Come si vede nelle immagini, l’uomo ha con sé un sacchetto. Sarà una busta da 9 milioni di euro?

Come riporta il quotidiano francese Le Figaro, oggi Kim compie 36 anni e M6, con queste immagini, ha deciso di farle un “regalo” di compleanno. Chissà se questo video sarà d’aiuto all’indagine sul furto.

L’anello da 20 carati indossato da Kim Kardashian

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Matteo Renzi al Consiglio Ue con la spinta di Obama: e spunta un primo ok sulle spese per i migranti in legge di stabilità

“L’Italia sta facendo la propria parte, ma in termini di solidarietà da parte di troppi paesi non ho visto altrettanto impegno”. Palazzo Justus Lipsius, Bruxelles: prima sessione del Consiglio europeo di ottobre. Sui migranti. Matteo Renzi prende la parola di fronte agli altri 27 leader e il presidente della Commissione europea Jean Claude Juncker. Oggi si sente forte, gonfio del sostegno di Barack Obama su tutta la linea, dal no all’austerity alla solidarietà per i profughi. Tanto che qui a Bruxelles riferisce agli eurodeputati delle preoccupazioni del presidente Usa sull’Europa: “L’Europa preoccupa il mondo”. Si diffonde voce che abbia aggiunto: “Più della Siria”. Smentita di Palazzo Chigi. Ad ogni modo, in questo Consiglio l’Italia ottiene qualcosa, anche se poco.

In sostanza Renzi ottiene che la bozza finale del vertice riconosca gli sforzi fatti dall’Italia per l’accoglienza dei migranti. Anche quelli finanziari. E’ musica per le orecchie di Renzi, anche se non risolve tutti i problemi. Significa che, mentre va avanti il braccio di ferro con la Commissione Europea, un pezzo di manovra economica è di fatto licenziato: quello sulle spese ai migranti.

Ecco il passaggio del documento finale che fa felice il premier: “Occorrono maggiori sforzi per ridurre il numero di migranti irregolari, in particolare dall’Africa, e migliorare i tassi di rimpatrio. Riconoscendo il considerevole contributo, anche di natura finanziaria, apportato negli ultimi anni dagli Stati nembri in prima linea, il Consiglio europeo…”.

Non è un’autentica novità. Le spese per i migranti non sono mai state messe in discussione dalla Commissione che sta esaminando la manovra italiana. Figurano infatti come ‘clausole eccezionali’ da scorporare dal patto di stabilità e crescita. Però Renzi non sottovaluta il risultato raggiunto: lo considera un primo buon auspicio su una manovra che continua a destare perplessità a Bruxelles per il deficit troppo alto.

Oggi tra l’altro non ne ha neanche parlato con Juncker. Con il presidente della Commissione solo un saluto ma nessun incontro a margine del Consiglio Ue, nessun contatto per sapere della manovra. Quasi a voler sottolineare una cautela reciproca. Da un lato infatti Renzi non ripete quanto affermato ieri: “Aspettiamo la procedura di infrazione contro i paesi che non accolgono i migranti…”, non contro l’Italia per la legge di stabilità 2016. Sa che il messaggio cadrebbe nel vuoto: sono tre giorni che Juncker ripete che “la solidarietà non si può imporre”. E in più la Commissione fa sapere che c’è ancora un altro anno di tempo per aprire le procedure di infrazione contro i paesi dell’est. In sostanza è tutto rimandato. Ma dall’altro lato, nessuno attacca l’Italia per la manovra in deficit, nemmeno i falchi dell’austerity che di solito non si lasciano sfuggire l’occasione.

E’ così che Renzi tenta di guadagnarsi l’ok della Commissione sulla legge di stabilità. Puntando anche sulla debolezza dell’Unione, incapace di imporre sanzioni, aprire procedure di infrazione, farsi rispettare. Un vuoto che Renzi spera di sfruttare in attesa di imprimere una svolta ai trattati europei: il primo appuntamento in questo senso è previsto a marzo in Italia in occasione delle celebrazioni del 60esimo anniversario del Trattato di Roma. Lo ha spiegato oggi agli eurodeputati Dem, che il premier ha voluto incontrare apposta prima del Consiglio europeo. Obiettivo: spingerli a mobilitarsi per il referendum costituzionale, soprattutto al sud dove non a caso Renzi sarà domani sera direttamente da Bruxelles. Destinazione Palermo, Trapani e Messina. E sabato, inoltre, Renzi svelerà anche il logo del vertice G7 previsto a Taormina a maggio. Senza la vittoria del sì, non può programmare niente, a partire dalla data italiana di marzo.

La prima giornata a Bruxelles dopo la full immersion americana finisce così. L’alto rappresentante per la politica estera, Federica Mogherini, illustra al Consiglio europeo i primi risultati della sperimentazione del ‘migration compact’ con 5 paesi africani: Mali, Senegal, Niger, Etiopia e Nigeria. E in più il documento finale parla finalmente di Africa e immigrazione nel Mediterraneo centrale. Sostanzialmente ciò che Renzi non aveva ottenuto al vertice informale di Bratislava a settembre, scatenando l’inferno (verbale) contro Angela Merkel e Francois Hollande. Anche con loro due oggi nessun bilaterale. La Cancelliera in giacca rossa che si abbina solo alle scarpe scarlatte di Theresa May se ne sta lontana anche nella foto di gruppo. L’epoca del direttorio a tre – Roma, Parigi, Berlino – è decisamente tramontata, per il momento.

E c’è da dire che le nuove concessioni all’Italia sono controbilanciate da una nuova presa di posizione dei paesi dell’est che chiedono di tener conto dei loro no espressi in passato. In più Germania, Svezia, Slovenia e Austria riescono a infilare nel documento finale la possibilità di mantenere i controlli alle frontiere, vale a dire la sospensione di Schengen.

Al succo, l’Europa resta fredda. Il premier pensa al calore di Obama. Ne parla diffusamente anche con gli europarlamentari tanto da rasentare l’incidente diplomatico. Dopo l’incontro infatti si diffonde la voce secondo cui Renzi avrebbe riferito agli europarlamentari di un Obama preoccupato più per la crisi dell’Europa che della Siria. Assurdo. Allarme. Scatta la smentita di Palazzo Chigi: ci sono entrambe le preoccupazioni ma l’una non va collegata all’altra. Ma il tema è troppo ghiotto per non essere funzionale alla narrazione di un premier che ora esige riconoscimenti anche europei da mettere insieme a quelli a stelle e strisce.
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