Milano, maxi rissa davanti alla sede della Regione: due ragazzi filippini accoltellati

Due ragazzi sono stati feriti a coltellate e trasportati in condizioni gravi in ospedale a Milano. Cinque persone sono state arrestate e altri cinque minorenni denunciati. Ad uno di loro è stato contestato il tentato omicidio. È il bilancio della rissa tra due gruppi di giovani filippini scoppiata ieri sera nel piazzale sotto al grattacielo dove ha sede la Regione Lombardia.
Un ragazzo di 18 anni è stato ferito alla gola, un 16enne è stato soccorso nella stazione Centrale con lo stesso tipo di ferita.

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Pamela Canzonieri trovata morta in Brasile, la famiglia lo apprende da Facebook

La donna trovata morta nella sua abitazione di Morro Bahia, in Brasile, è la ragusana Pamela Canzonieri, 39 anni. Lavorava in un albergo come cameriera e receptionist. Era in Brasile da un paio d’anni. Era andata prima per le vacanze e poi avendo trovato lavoro si era stabilizzata nello stato di San Paolo. I suoi genitori e la sorella minore vivono a Ragusa. A scoprire della morte della donna è stata la sorella più giovane, Valeria, che sulla bacheca di un’amica di Pamela, ha letto in portoghese l’addio alla sorella.

Dopo aver letto il messaggio di dolore dell’amica della sorella, Valeria Canzonieri ha cercato di mettersi in contatto telefonicamente con Pamela, senza però riuscirci. Così insieme al padre Giovanni si è recata dai carabinieri di Ragusa per trovare conferma alla notizia, conferma che è arrivata nel primo pomeriggio. Ora il padre e la figlia sono in questura per ottenere il passaporto e trovare un posto sul primo aereo per il Brasile.

La scorsa estate Pamela aveva lavorato a Marina di Ragusa come cameriera in una pizzeria.
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Enrico Mentana a Maurizio Costanzo: “Il mio addio a Mediaset? Preferirono il Grande Fratello a Eluana Englaro”

Scelte aziendali non condivise: è questo il motivo per cui Mentana ha lasciato il posto di direttore editoriale di Mediaset, nel 2009. Lo ha spiegato a Maurizio Costanzo durante la puntata di ieri sera di “L’intervista” in cui racconta l’episodio che ha provocato il suo addio a Mediaset.

“Ho acceso Canale 5, la rete di cui ero il direttore editoriale, e vedo una ragazza del ‘Grande Fratello’ che piange”, racconta Mentana “e ho pensato ‘almeno li hanno avvertiti’, invece ho scoperto che stava piangendo perché l’avevano eliminata, allora ho detto ‘Not in my name’ e mi sono dimesso”.

In quell’occasione, Mentana si era detto nettamente contrario a mandare in onda la puntata del reality dopo la morte di Eluana Englaro. Nel momento in cui l’azienda ha preferito continuare con il reality, Mentana si è rifiutato di proseguire.


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“Pronto? Basta un Sì”. Referendum, nel week end telefonate casa per casa per convincere a votare a favore della riforma

Non solo lettere nelle buche postali, arrivano anche le telefonate casa per casa. Come riporta un servizio dell’AdnKronos sabato e domenica i volontari dei comitati locali di Basta un Sì sono mobilitati per una campagna telefonica capillare in tutta Italia. Spiegare la riforma e convincere sulle ragioni del Sì. Scrive l’AdnKronos:

Centinaia di migliaia di telefoni pronti a squillare nel week end: solo a Bologna, come si leggeva nelle cronache locali nei giorni scorsi, i volontari sono pronti a 140mila chiamate. Nel capoluogo emiliano si attingerà ai numeri a disposizione grazie all’albo degli elettori delle primarie del centrosinistra: si tratta di circa 70mila numeri fissi e 70mila cellulari. Stessa cosa a Cesena dove i numeri in possesso dei dem sono 16mila. E comunque, database a parte, si può sempre attingere al vecchio elenco telefonico.

“Lei lo sa che il 4 dicembre si vota per il referendum costituzionale? Sa qual è il seggio dove deve andare a votare?”: saranno queste le domande che verranno poste ai cittadini. Poi seguiranno quelle specifiche sulla riforma con risposte pronte a sminare eventuali dubbi e perplessità dei cittadini.

Proprio per questo, sempre a Bologna ad esempio, per il ‘call center’ di Basta un Sì sono stati selezionati degli studenti di Giurisprudenza in modo che abbiano maggiore confidenza con la materia. L’operazione si ripeterà nel prossimo fine settimana, l’ultimo prima del voto del 4 dicembre, e non è escluso che nella campagna vengano coinvolti big del Pd.

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L’Ue congela il giudizio sulla legge di biliancio: ecco perché la scelta conviene sia a Bruxelles che a Renzi

Tutto rimandato a dopo il referendum costituzionale. Se Matteo Renzi sarà ancora premier con in tasca la vittoria del sì, Bruxelles sarà ancora lì ad aspettarlo al varco. La parola d’ordine per descrivere cosa è accaduto alla legge di bilancio italiana dopo l’esame della Commissione europea è: congelamento. Da una parte la Commissione promette di tenere in conto le spese italiane su sisma e migranti ma di volerle controllare a gennaio (Moscovici). Dall’altra inserisce l’Italia nell’elenco di quei paesi che al giudizio finale di gennaio potrebbero essere bocciati e annuncia anche un rapporto sul debito alto per Italia e Belgio (Dombrovskis). Una posizione che di fatto ora segna uno stand-by: e conviene a tutti i player in gioco.

Innanzitutto conviene a Renzi, che infatti oggi si mantiene alla larga dai commenti sul parere della commissione, sfruttando l’effetto ‘freezer – chiamiamolo così – per concentrarsi sulle ultime settimane di campagna elettorale a questo punto sempre più pronunciate nella critica a questa Ue, sempre più anti-establishment per debellare il fantasma Trump che si aggira anche intorno a Palazzo Chigi. Il premier però torna a usare la bandiera europea, eliminata dalle sue recenti conferenze stampa. Anzi, a Cinisi, tappa del tour elettorale in Sicilia, addirittura la accarezza: “Bisogna avere la forza di dire a questa bandiera europea, che noi amiamo, che l’Unione europea si deve ricordare di essere una comunità non solo quando deve prendere i nostri soldi ma anche quando c’è da dare”.

Nelle stesse ore a Bruxelles, i Dem bloccavano definitivamente per questo mese la discussione sul bilancio pluriennale europeo: se ne riparla a dicembre. E poco prima, ad Atene, Barack Obama dava il suo ultimo discorso presidenziale in Europa sulla democrazia e il no all’austerity come antidoto ai populismi: dietro di lui, la bandiera greca, quella europea e quella statunitense. Ma comunque, chiuso l’affare delle bandiere, che gli ha portato in casa solo tempesta e polemiche, Renzi è lanciato nella critica all’Ue. Un altro assaggio probabilmente lo darà a Berlino venerdì, dopo il vertice con Merkel, Obama, May, Hollande e Rajoy: un vertice che senza il sale della polemica renziana anti-europea rischia di essere la foto dei rottamati da Trump.

Ma il congelamento conviene anche alla stessa Commissione Ue. Fin dall’inizio di questa storia, a Palazzo Berlaymont ha prevalso lo sforzo di non mettere i bastoni tra le ruote a Renzi in vista di un referendum che, se dovesse vincere il no, suonerebbe come un’altra Brexit per tutta l’istituzione europea. Insomma, a Bruxelles hanno deciso di rimandare il giudizio definitivo: più per l’Ue che per Renzi. E infatti il congelamento serve anche ad un altro scopo: equivale a dei paletti piantati dalla squadra Juncker in caso di vittoria del sì. Come dire: un modo per condizionare Renzi. A Bruxelles infatti sono consapevoli che, qualora il premier italiano uscisse vittorioso dal voto del 4 dicembre, dedicherebbe tutto l’anno prossimo (che coinciderà con la campagna per le politiche del 2018 o magari anticipate ad hoc) a picconare quello che rimane dell’austerity Ue, dal Fiscal Compact a tutto il patto di stabilità.

Ecco perché la Commissione oggi ci ha tenuto a mettere l’Italia insieme a Belgio, Cipro, Lituania, Slovenia, Finlandia: una ‘buona’ compagnia di paesi guardati a vista come a rischio, potrebbero “non rispettare il Patto di stabilità”, stabilisce il commissario Valdis Dombrovskis. In altre parole: potrebbero essere “non conformi” per debito e deficit alti (‘risk of non compliance’). D’altronde, solo 5 paesi dell’eurozona rispettano i requisiti del Patto: Germania, Estonia, Lussemburgo, Slovacchia e Olanda. Le loro leggi di bilancio sono risultate conformi agli obblighi comunitari, mentre Irlanda, Lettonia, Malta e Austria hanno presentato testi giudicati ‘sostanzialmente’ conformi ma potrebbero in una certa misura deviare dal percorso di avvicinamento all’obiettivo di bilancio a medio termine.

Insomma, con l’Italia la partita è rimandata. Ma stavolta la Commissione Ue sceglie di avvertire anche la Germania con il suo surplus commerciale fuori dalle regole Ue. E lo fa nelle raccomandazioni sulla politica di bilancio per il 2017: chi ha i conti in regola deve spendere di più per aiutare la crescita, chi non ha i conti in regola deve metterli a posto. Non a caso a Roma si preferisce più commentare il documento di Palazzo Berlaymont che di fatto comincia ad appiccicare la parola ‘fine’ alle politiche di austerity, piuttosto che esultare per il congelamento del parere sulla manovra economica.

“Se la Ue sta togliendosi di mezzo l’austerità e ha introdotto la novità di chiedere ai paesi che hanno spazi di bilancio per spendere che lo facciano, si tratta di una grande vittoria dell’Europa e l’Italia rivendica di essere il primo Paese ad averlo messo sul tavolo”, dice il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan a Porta a Porta. “Accogliamo con soddisfazione il documento della Commissione europea sulla necessità di una politica economica espansiva a livello di eurozona. E’ una novità importante che dà ragione alle nostre battaglie”, dice Patrizia Toia, capodelegazione del Pd al Parlamento europeo.

Se ne riparla a dicembre. Ma di certo Renzi non smetterà di parlarne di qui al 4 dicembre.
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Dieta in gravidanza: quali precauzioni adottare e quali cibi evitare? La risposta del dottor Paolo Scollo

“Sono al terzo mese di gravidanza e vorrei sapere se ogni tanto sia possibile mangiare qualcosa di fritto.
Grazie”
Federica C. (Macerata)

Risponde Paolo Scollo, direttore della divisione di ostetricia e ginecologia dell’Azienda Ospedaliera “Cannizzaro” di Catania

Questo articolo è stato originariamente pubblicato sul sito della Fondazione Veronesi

Per approfondire vai su www.fondazioneveronesi.it


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Donald Trump lavora alla sua squadra ma già è stallo su Rudy Giuliani come segretario di Stato

Succede tutto dietro porte chiuse, molto ai piani alti della Trump Tower sulla Quinta Strada a Manhattan dove il presidente eletto Donald Trump e il suo vice Mike Pence si incontrano per fitte consultazioni volte a definire la squadra di governo. Perchè le diverse anime politiche che hanno portato all’elezione del tycoon adesso sono in aperta collisione, sulle nomine e sulle caselle da riempire, quindi sulla linea da dare alla nuova amministrazione americana nonostante la promessa di una “rivoluzione commerciale” che “romperà con le ali globaliste sia di repubblicani che di democratici” a dare l’impronta dei suoi primi 200 giorni di lavoro. Il fronte è spaccato a partire dalla paventata nomina di Rudy Giuliani come segretario di Stato.

La conferma tarda a arrivare perchè la scelta è controversa: in queste ore si ricorda infatti un potenziale conflitto di interessi date alcune attività di consulenza dell’ex sindaco che rimandano ad alcuni paesi chiave, dal Venezuela di Hugo Chavez all’Arabia Saudita. Se ne era già parlato quando nel 2007 Giuliani aveva tentato la sua di corsa per la Casa Bianca, oggi però le sottolineature di fonti di stampa hanno effetto amplificato dopo che per l’intera campagna elettorale Donald Trump e il suo fronte si sono scagliati contro la Clinton Foundation e i dubbi sulla sua lista di donatori, presentato come limite insormontabile per la credibilità della rivale democratica Hillary Clinton poi sconfitta. Ma anche la promessa di smantellare quelle zone grigie in cui a Washington si incontrano politica e grandi interessi rappresentati da un esercito di lobbisti.

L”organigramma” con focus sulla politica Estera e di Sicurezza nazionale della nuova Casa Bianca emerge quindi al centro di una lotta intestina che rischia di rallentare oltre il dovuto il processo di transizione verso l’insediamento il prossimo 20 gennaio. Fonti parlando di stallo e confusione conclamata, il cui simbolo oggi è il ritiro dalla transition team (secondo alcuni è stato scaricato) di Mike Rogers, ex deputato che ha presieduto la commissione della Camera sull’intelligence.

Nei giorni scorsi Chris Christie era stato messo da parte e l’impresa era stata affidata al vicepresidente eletto Mike Pence con lo sguardo a Washington, ma non basta. Tra i fedelissimi risulta escluso anche Ben Carson, che dice di non volere un posto nell’amministrazione per mancanza di esperienza a livello governativo, sembra tuttavia che nessuna proposta in quel senso era comunque arrivata. Nel limbo al momento resta anche Kellyanne Conway, l’ultima dei diversi responsabili della campagna elettorale cambiati da Trump durante la corsa (tra questi Corey Lewandoski sul quale pare ci sia addirittura un esplicito veto).

Intanto su Capitol Hill il cielo si rasserena, almeno apparentemente, con le nuvole squarciate dalla conferma di Paul Ryan per la nomina ad un secondo mandato da Speaker della Camera. Lo hanno votato all’unanimità i deputati repubblicani e la conferma è attesa a gennaio con il voto dell’intera aula. Il dado però è tratto per Ryan, pronto ad essere lo Speaker dell’era Trump e l”unificatore”. Lo ha confermato lui stesso oggi nella sua prima uscita dopo l’elezione del tycoon, affermando: “Benvenuti all’alba di un nuovo governo repubblicano unito”.
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Istat, per il Pil rimbalzo nel terzo trimestre: +0,3%. Migliora la crescita acquisita del 2016: +0,8%

Migliora il Pil acquisito per quest’anno. La crescita che si registrerebbe se negli ultimi tre mesi del 2016 la variazione congiunturale del prodotto interno lordo fosse nulla è di +0,8%. Lo rende noto l’Istat alla luce dei dati positivi sul terzo trimestre. La stima precedente, quella basata solo sui dati dei primi due trimestri, era di +0,6%. Le stime del governo sul 2016 indicano una crescita (grezza) dello 0,8%.

Nel terzo trimestre del 2016 c”è stato un rimbalzo della crescita economica italiana. Il Pil, corretto per gli effetti di calendario e destagionalizzato, è aumentato dello 0,3% rispetto al trimestre precedente e dello 0,9% nei confronti del terzo trimestre del 2015. Lo rende noto l’Istat in base alle stime preliminari. Nel secondo trimestre dell’anno la crescita era stata pari a zero.

A commento dei dati arriva un tweet del presidente del Consiglio, Matteo Renzi, che scrive: “Con le riforme sale il Pil, senza
riforme sale lo spread. Avanti tutta, l’Italia ha diritto al futuro #passodopopasso”.

Intanto Bankitalia, nel Supplemento al Bollettino Statistico “Finanza pubblica, fabbisogno e debito”, rende noto che il debito pubblico italiano a settembre si è attestato a 2.212,6 miliardi, in diminuzione di 12,1 miliardi rispetto al mese precedente.

Il fabbisogno di settembre, pari a 15,2 miliardi, spiega la Banca d’Italia, è stato più che compensato dalla diminuzione (25,3 miliardi) delle disponibilità liquide del Tesoro (risultate pari a 39,3 miliardi alla fine di settembre) e dall’effetto complessivo degli scarti e dei premi all’emissione e al rimborso, della rivalutazione dei titoli indicizzati all’inflazione e della variazione del cambio dell’euro (1,9 miliardi).

Con riferimento ai sottosettori, il debito delle Amministrazioni centrali è diminuito di 12,4 miliardi, quello delle Amministrazioni locali è aumentato di 0,4 miliardi e il debito degli Enti di previdenza è diminuito di 0,1 miliardi.

Nei primi nove mesi del 2016, il debito delle Amministrazioni pubbliche è invece aumentato di 39,9 miliardi. L’incremento, precisa ancora Bankitalia, riflette il fabbisogno (42,3 miliardi) e l’aumento delle disponibilità liquide del Tesoro (3,6 miliardi). In senso opposto ha operato, per 6,0 miliardi, l’effetto complessivo degli scarti e dei premi all’emissione e al rimborso, della rivalutazione dei titoli indicizzati all’inflazione e della variazione del tasso di cambio.

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Franco Moscetti nuovo a.d. del Sole 24 Ore. Battaglia in Confindustria. Giornalisti in sciopero

L’assemblea degli azionisti era ancora in corso quando i giornalisti del quotidiano ‘Il Sole 24 Ore’ hanno proclamato lo sciopero. A stretto giro anche l’agenzia di stampa Radiocor e Radio24 hanno annunciato che martedì incroceranno le braccia. L’assise del Gruppo 24Ore, a tratti molto tesa con diverbi animati, così viene descritta da chi era presente, si è conclusa con l’elezione del nuovo consiglio di amministrazione e di Giorgio Fossa presidente del Cda. Non ha partecipato Vincenzo Boccia, presidente di Confindustria (principale azionista del quotidiano), che domenica sera intervistato durante il programma “Faccia a faccia” ha parlato di un piano aziendale “lacrime e sangue”. Dietro queste parole i giornalisti vedono l’intenzione di impartire un taglio drastico di quasi la metà dei 1.250 dipendenti, così hanno indetto uno sciopero anche contro “la superficialità con la quale si annunciano tagli da lacrime e sangue, dopo una gestione deficitaria del Gruppo”.

Scioperi e licenziamenti in vista sono da inserire in un quadro giudiziario che vede due inchieste aperte con al centro il dissesto dei conti. Una è sul tavolo della Procura di Milano e l’altra della Consob. Queste due indagini, che ipotizzano il reato di falso in bilancio, scaturiscono dagli esposti di un gruppo di giornalisti del Sole 24 Ore e dell’associazione dei consumatori Adusbef. A creare il caos non solo l’inchiesta giudiziaria ma anche una battaglia all’interno di Confindustria, dove Boccia, con il consenso delle banche creditrici, ha scelto come amministratore delegato dell’azienda Francesco Moscetti, che portò Amplifon, di cui era a.d., fuori dall’Assolombarda. Anche per questo motivo Moscetti non piace ai milanesi guidati da Gianfelice Rocca, attorno al quale orbitano anche altri territori del Nord.

Confindustria quindi è spaccata e in questo clima si trova a gestire quello che potrebbe diventare un grandissimo scandalo economico-finanziario. I numeri parlano chiaro. In otto anni di quotazioni in Borsa il Gruppo ha bruciato 350 milioni di liquidità. Basti pensare che nel giorno del debutto a Piazza Affari, il 6 dicembre del 2007, un’azione valeva 5,75 euro, oggi vale invece 35 centesimi. Solo nei primi nove mesi del 2016 si è registrata una perdita di 61,6 milioni.

Adesso, nella relazione agli azionisti, si legge che il nuovo piano industriale del gruppo, quello 2016-2020 approvato il 3 novembre scorso in sostituzione del piano “disatteso” 2015-2019, prevede il raggiungimento di un utile nel 2019. L’altro aspetto contenuto nella relazione, che conferma la volontà di un forte taglio dei costi e l’intenzione di procedere con un aumento di capitale, consiste nella previsione di un margine operativo lordo sul fatturato, nel 2020, al 10%.

Per i giornalisti in sciopero l’azionista “deve assicurare le risorse per il risanamento e nello stesso tempo recuperare credibilità. Serve un rilancio vero e servono atti di fiducia”. Quindi viene avanzata una richiesta: “Come azionisti, come dipendenti ma soprattutto come giornalisti chiediamo un posto in consiglio di amministrazione o, almeno, un posto come invitati permanenti alle riunioni del Consiglio. Almeno fino al momento del ritorno all’utile”. Al momento non è arrivata alcuna risposta così come durante l’assemblea del Gruppo non sono state fornite risposte sulle questioni giudiziarie non essendo all’ordine del giorno. Antonio Matonti, dirigente dell’Area Affari Legislativi di Confindustria, si è limitato a dire che “sono in corso accertamenti sia amministrativi sia penali e saranno valutate azioni di responsabilità”.

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