Le 5 volte in cui Lapo Elkann ha superato il limite (VIDEO)

Lapo Elkann tra bizzarrie ed eccessi. Il rampollo di Casa Agnelli è noto in tutto il mondo per il suo stile e per i suoi comportamenti eccentrici. Ecco alcuni episodi in cui Lapo si è fatto notare.

Nel 2005 Lapo passa una serata in compagnia di una transgender, nonostante fosse fidanzato con Martina Stella, rischiando di morire per overdose in un quartiere a luci rosse di Torino. Lo ha salvato la prostituta chiamando un’ambulanza. Dopo l’episodio Lapo è andato a disintossicarsi in Arizona.

Nel 2011 Lapo parcheggia la sua Jeep Grand Cherokee di colore mimetico sulle rotaie del tram a Milano, bloccando per mezz’ora il traffico di Corso San Gottardo. Tornato a riprendere l’auto Lapo ha ricevuto due multe e gli insulti dei passanti.

Nel 2014 un altro scandalo: il quotidiano “il Giorno” rivela che un cameriere è stato arrestato per estorsione ai danni di Lapo. Il giovane rampollo è stato ricattato per un filmato. Ma il legale ha dichiarato quelle attribuite al video «circostanze manifestamente false e non vere, quale il fantasioso accostamento a “stati di droga e autoerotismo”».

Lapo a Los Angeles: mentre assiste a una partita Nba di basket, seduto in prima fila, interferisce nel gioco toccando la palla e impedendo che la prenda Josè Calderon, un giocatore dei Raptors di Toronto, favorendo così i Lakers, la sua squadra del cuore.

Nel maggio 2016 Lapo sorprende Uma Thurman con un bacio appassionato in una serata a Cannes. L’attrice si era avvicinata a Lapo per congratularsi di 190mila dollari all’Amfar Gala, organizzato a Cannes al fine di raccogliere fondi per la lotta all’Aids. Uma ha fatto sapere attraverso il suo ufficio stampa di non aver gradito il bacio rubato.

Il 29 novembre 2016 Lapo Elkann è stato arrestato con l’accusa di falsa denuncia e poi rilasciato dalla polizia di New York per aver simulato un sequestro, allo scopo di ottenere dalla famiglia 10mila dollari dopo aver speso il denaro insieme a una escort con cui avrebbe passato due giorni di festa a Manhattan consumando alcol e droga: lo scrivono tre testate Usa, citando fonti di polizia.
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Renzi inciampa sui malati Ilva di Taranto e dà la colpa a Boccia per i fondi spariti. La replica: “Falso, ci sono resoconti e sms, ma non vorrei aprire il telefonino”

“A fare le cose senza tener conto delle regole succedono pasticci come è accaduto per la riforma della Pubblica Amministrazione che la Consulta ha poi in parte bocciato. E’ stato il Governo a negare il via libera sulle risorse per l’emergenza sanitaria tarantina. Ci sono i resoconti parlamentari e gli sms che lo dimostrano”, afferma Francesco Boccia al telefono con l’HuffPost senza nascondere il suo stupore. La polemica incrociata tra Palazzo Chigi, Camera e Regione Puglia sui 50 milioni spariti dalla legge di Bilancio per i malati dell’Ilva della città pugliese dura ormai da giorni. Il presidente del Consiglio ha però scaricato la colpa su Boccia, presidente della Commissione Bilancio di Montecitorio: “È lui che ha dichiarato inammissibile quell’emendamento, siamo alla mistificazione della realtà, noi siamo pronti a discutere al Senato”, ha detto il premier durante una conferenza stampa a Palazzo Chigi.

Ricostruzione totalmente falsa, dice Boccia all’HuffPost. “Per due volte, durante i lavori in Commissione, ho chiesto al governo il perché non ci fosse il via libera sull’emendamento Taranto. E mi sono sentito rispondere per due volte che non c’era l’ok dell’esecutivo. Punto. Tutto questo è corredato non solo dai riscontri parlamentari ma anche da decine di sms volati quella notte tra Camera, Mef e Palazzo Chigi. Non riduciamoci a questo, vorrei evitare di aprire il mio telefonino”.

Il premier inciampa così su Taranto. Un passo falso che può costare caro in termini di consenso nella settimana decisiva prima del referendum costituzionale di domenica. Soprattutto perché è nel Sud Italia che si sta concentrando l’attenzione del Governo per cercare di tirare la volata al Sì. Il Meridione, come dimostrato anche da uno studio dell’Istituto Cattaneo, sarà il vero ago della bilancia che deciderà le sorti della partita più importante per Renzi. E il premier non ci sta a passare come il leader dell’esecutivo che ha tolto risorse economiche a una città in condizioni sanitarie difficilissime come Taranto. Ma deve fare i conti con le smentite di Francesco Boccia e del Governatore Michele Emiliano.

L’emendamento in questione prevedeva la deroga al decreto ministeriale 70 sull’organizzazione dei servizi sanitari regionali per la Puglia, sbloccando così 50 milioni di euro per i malati Ilva. Ricostruisce Boccia: “Nella legge di Bilancio arrivata dal Governo c’erano 104 articoli. E dentro c’era di tutto, da cose importanti come l’Ape, le pensioni e le misure fiscali ad altre meno prioritarie, come la Ryder Cup, la coppa del mondo di sci, il centro di meteorologia europeo. Taranto non c’era. Se c’era la volontà politica avrebbero stanziato i soldi già lì, nell’articolato originario”.

Cosa accade poi? Secondo le regole parlamentari tutti gli emendamenti che non sono scritti a norma vengono stralciati. “Questo non lo decido io o Matteo Renzi, ma le leggi che vengono fatte rispettare da eccellenti uffici tecnici della Camera”. Gli emendamenti saltati perché inammissibili possono poi essere recuperati dal Governo o dal relatore. E qui Boccia dice come è andata. Il passo successivo è “la lista delle priorità fatta da maggioranza e presidente di Commissione in accordo con il Governo”. In questa fase vengono quindi recuperate tutte le proposte di modifica saltate (duemila su cinquemila di natura parlamentare più quelle di fonte governativa eliminate dall’articolato presentato da Palazzo Chigi). Tra queste c’è di tutto: dalla famosa Ryder Cup alla Coppa del Mondo di scii fino al centro meteorologico europeo. “Punto A: il Governo ha presentato gli emendamenti e Taranto non c’era, né prima né dopo. Punto B: il relatore ha presentato l’emendamento Taranto ma il governo ha negato il via libera. Nella notte tra il 23 e il 24 novembre è arrivato lo stop di Palazzo Chigi. Non c’è nessun mistero”.

Secondo Boccia c’è “uno stato di schizofrenia evidente” ma “suppongo che Renzi abbia detto quello che ha detto perché è stato informato in maniera errata. Ha detto una cosa da tanto al chilo”, conclude Boccia.

Ma il presidente del Consiglio non ha riservato parole affettuose neanche per il presidente della Regione Puglia Michele Emiliano, definendo la polemica da lui innescata “strumentale” dato che il “Governo ha messo 1,6 miliardi su Taranto”.

Anche Emiliano però non ci sta a passare per colpevole. E allora rifà i conti al premier: “Verifico che quanto ho spiegato al presidente Renzi durante la cosiddetta ‘rifirma del Patto per Taranto’ gli è nuovamente sfuggito. Rifacciamo i conti: gli 850 milioni del Contratto istituzionale per Taranto riguardano essenzialmente interventi programmati a valere su fondi regionali FAS 2000/2006 e FSC 2007/2013 e quindi precedenti all’insediamento dell’attuale governo. Il presidente del Consiglio parla di circa 1,6 miliardi per Taranto. Pertanto suppongo che gli ulteriori 750 milioni di euro siano da ricondurre ad interventi per la cosiddetta riambientalizzazione di Taranto, e su questo la comunità pugliese si riserva di valutarne gli effetti non appena saranno chiari gli interventi realizzati o da realizzare”.

Il governo nei giorni scorsi ha assicurato che riesaminerà la questione durante i lavori sulla legge di Bilancio al Senato. Proprio quel Senato che il governo si appresta a ridimensionare con la riforma costituzionale, laddove venisse approvata. Non è un bell’inizio di settimana per Renzi, a sei giorni dal fatidico 4 dicembre.
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Renzo Piano riprende la lezione di Veronesi per la ricostruzione in centro-Italia: “La prevenzione sismica è una questione di cultura”

Per Renzo Piano la situazione in Italia è chiara: la prevenzione dai terremoti deve partire anzitutto dalla mentalità delle persone. L’architetto e senatore a vita, tuttora impegnato nel piano Casa Italia, parla di una questione di cultura:

Molto più complicato metter mano a edifici in gran parte poveri e umili ma che messi insieme sono la grande bellezza d’Italia. E più ancora sconfiggere la «cultura della sfiga». Quella che spinge a dire: «che ci possiamo fare? La natura…». «Non ne possiamo più della cultura della “sfiga”. Basta. È indegna di noi. Della nostra intelligenza. Della nostra storia. La natura non è buona o cattiva: se ne infischia di noi. Inutile chiamarla in causa. Cosa saremmo se nei millenni non avessimo imparato a coprirci, scaldarci, arginare i fiumi? I terremoti ci sono sempre stati e sempre ci saranno. Ed è stupido fingere che non sia così. Bisogna imparare da Umberto Veronesi».

Piano riconosce all’oncologo recentemente scomparso il merito di esser riuscito a mettere le donne di fronte alla verità:

«Ebbe il coraggio di essere chiaro. Disse a tutte le donne: avete dei bellissimi seni ma quei seni sono anche una vostra fragilità.

Allo stesso modo occorre avere lo stesso coraggio con chi sa di vivere in territorio sismico ma ancora non prende provvedimenti, affidandosi piuttosto alla fortuna:

«I “terremotabili”: milioni di persone devono essere consapevoli di vivere in un Paese meraviglioso ma fragile. E non posso accettare che si tocchino…».

«C’è bisogno di verità e questa verità deve entrare nella testa della gente. Che deve accettare la realtà come in Giappone.

Ma il nemico da combattere è anzitutto nella mente delle persone:

«Ci sono persone che non fanno gli esami per paura di sapere che sono malate. Non vanno terrorizzate ma spinte a conoscere la propria casa, santo cielo, sì».

Come? Piano non esclude incentivi da parte dello Stato: degli aiuti pratici, per pungolare la consapevolezza degli abitanti delle zone a rischio.

«È necessaria una rivoluzione culturale. Questa operazione diagnostica deve essere accompagnata da un progetto con il quale il governo in qualche maniera ti aiuta, come ti aiuta per gli aspetti energetici».

E il termine “diagnosi” ricorre più volte nell’intervista, a confermare quanti punti in comune vi siano tra un organismo umano e una casa in ferro e cemento: per Renzo Piano anche un edificio è una creatura vivente, che può e deve godere delle stesse cure di cui la medicina è in grado per gli esseri umani:

«Quando metti una catena nei muri, oggi, non fai più come una volta che dovevi spaccare tutto. Ci sono strumenti laser che permettono soluzioni molto più efficaci lasciando gli abitanti dentro casa. La vicina che sta sotto non se ne accorge neanche. Come quando fai un’anestesia locale… Certo, non dappertutto saranno possibili interventi di difesa “leggeri”. Ma su dieci milioni di abitazioni a rischio almeno in nove…».

Allo stesso modo, come non esiste la sicurezza totale per un essere umano, non può esistere neanche per una casa: la natura “se ne infischia” in entrambi i casi. E allora:

«No: non esiste la sicurezza totale contro i terremoti come non esiste contro il cancro. Se affronti il problema, se ti curi, se fai quanto la scienza ti offre, però, sei meno esposto».

Ma intervenire sugli edifici offre spazi di manovra maggiori rispetto a un’operazione sul corpo umano: dà la possibilità di migliorare, e di gran lunga, il preesistente.

«Nel momento in cui ci metti mano, questi edifici devono pure diventare più belli. Più funzionali. Più ecologici. Più luminosi. Questo è il Paese che ha inventato la bellezza! Non possiamo pensare a interventi utilissimi ma che producano Frankenstein edilizi».

Infine, una cura speciale deve essere riservata alle scuole:

«La scuola non deve cadere. Deve dunque esser fatta in un certo modo. Di legno, ad esempio. Materiale fantastico. Ecologico. L’auditorium dell’Aquila è stato fatto con 2200 metri cubi di legno: in Val di Fiemme quei 2200 metri cubi si riformano in sei ore. Parlo di scuole piccole, ovvio. Su misura dei borghi appenninici che sono più esposti. Borghi che possono stare anche senza una farmacia, non senza una scuola».

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Francia, primarie centro destra: vince Francois Fillon contro Alain Juppé. Marine Le Pen ha il suo nuovo rivale

Marine Le Pen sembra avere un nuovo rivale, con il quale dovrà confrontarsi sullo stesso terreno di gioco per convincere i francesi prima delle elezioni presidenziali del prossimo anno.

François Fillon si è aggiudicato il ballottaggio delle primarie dei Républicans con il 68,3% delle preferenze, distaccando di 37 punti Alain Juppé, rimasto fermo al 31,6%. Un risultato provvisorio che verrà confermato solamente in tarda serata. In quest’ultima settimana il sindaco di Bordeaux non è riuscito a colmare lo scarto accumulato domenica scorsa al primo turno, quando il suo rivale ha riportato un risultato del tutto inaspettato, ottenendo il 44% delle preferenze.
L’ex premier di Sarkozy è stato protagonista di un’improvvisa escalation che nell’ultimo mese lo ha proiettato in cima alle preferenze. Le proposte moderate di Juppé non hanno convinto gli elettori di destra, che si sono orientati verso idee più radicali e gaulliste.

L’affluenza di oggi ha testimoniato l’importanza data dai francesi a queste primarie, le prime organizzate nella storia della destra e considerate da molti come uno dei principali test in vista delle prossime presidenziali, previste tra maggio e aprile del prossimo anno. Alle 17h00 avevano già votato 2,9 milioni di persone, una mobilitazione leggermente maggiore rispetto a quella del primo turno, che alla stessa ora aveva registrato 2,8 milioni di elettori.

La candidatura di Fillon all’Eliseo costringerà i suoi avversari a ridisegnare le strategie preparate in questi ultimi mesi. L’uscita di scena di Sarkozy e Juppé ha stravolto tutti i piani, costringendo analisti e osservatori a disegnare nuovi scenari politici.

Nonostante un programma centrato su misure fortemente liberali nel campo del lavoro e dell’industria (taglio di 500mila posti di funzionari pubblici, abolizione delle 35 ore e riduzione di 110 miliardi sulla spesa pubblica) , Fillon si posiziona in diretta concorrenza con il Front National di Marine Le Pen grazie ad una serie di proposte sociali di stampo conservatore e nazionalista. La presunta amicizia con il presidente russo Vladimir Putin, l’endorsement della Manif pour Tous, (movimento cattolico contrario ai matrimoni omosessuali), e le sue posizioni antiabortiste e ultracattoliche potrebbero attirare le simpatie dell’elettorato dell’estrema destra francese, livellando così lo svantaggio che i Républicains avrebbero nei confronti del partito lepenista.

Uno scenario, questo, totalmente smentito dai vertici del Front National, che non hanno perso tempo nel prendere le distanze dal candidato repubblicano, attaccandolo sulle sue proposte economiche. Secondo il vice presidente, Florian Philippot, i progetti presentati da Fillon conterrebbero alcune idee di una “violenza inaudita”, dal carattere “ultra liberale” e “euro-liberale”. Il numero due del Front National ha poi definito la figura del candidato repubblicano come una “Tatcher con 30 anni di ritardo”.

Questa competizione tra destra ed estrema destra potrebbe andare a vantaggio del Partito Socialista, lacerato da una crisi interna che ne sta mettendo a repentaglio la stabilità.

In un’intervista rilasciata questa mattina a Le Journal de Dimanche, il Primo Ministro Manuel Valls non ha escluso una sua candidatura alle prossime primarie della sinistra, previste per il 22 e 29 gennaio. “Prenderò la mia decisione con coscienza” ha detto Valls, riconoscendo che “nelle ultime settimane il contesto è cambiato”. Parole, queste, pronunciate nell’attesa che anche François Hollande sciolga le riserve su una sua eventuale discesa in campo. Secondo indiscrezioni trapelate in questi giorni, la dirigenza del partito vedrebbe di buon occhio una candidatura del Primo Ministro, dato nei sondaggi al 65% contro Hollande, fermo al 23%.

Il tasso di impopolarità del Presidente è ai minimi storici, con solo il 4% dei francesi che giudicano positivamente il suo operato. Un record in negativo che prima di oggi nessun presidente della V° Repubblica aveva mai raggiunto. Ma senza il suo rivale storico, Nicolas Sarkozy, Hollande potrebbe tentare un ultimo, disperato, tentativo.

Contro le sue posizioni conservatrici, giudicate spesso reazionarie, la sinistra dovrebbe tornare sui suoi passi, rivedendo alcune decisioni prese durante quest’ultimo mandato, prima fra tutte la tanto contestata riforma del lavoro.
Per riuscire nell’impresa, l’intero partito socialista dovrà far fronte all’avanzata delle destre francesi in modo compatto e unito, un atteggiamento che per il momento sembra essere lontano dalla realtà.
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Referendum, Gianluca Vacchi: “Bisogna votare sì, c’è in gioco la stabilità economica”

Dimenticatevi per un istante i suoi balletti estivi a bordo piscina da migliaia di like e visualizzazioni su Facebook. Gianluca Vacchi, imprenditore e ormai webstar a tutti gli effetti, dismette i panni dello showman e in vista del voto del 4 dicembre prende una posizione netta: “Bisogna rispondere sì al quesito referendario”. Vacchi argomenta la sua posizione con un lungo intervento su Libero, spiegando le ragioni per cui “la vittoria del No sarebbe un disastro”.

“La posta in gioco – spiega Vacchi – ha un solo nome: stabilità”. Secondo l’imprenditore infatti la vittoria del No rischierebbe di creare turbolenze dei mercati, a partire da un “inevitabile innalzamento dello spread”. Rischio che secondo Vacchi va considerato alla luce di un prossimo aumento dei tassi della Federal Reserve, spinta dalla nuova politica economica di Trump “volta alla spinta verso l’alto dei consumi interni, con conseguente aumento dell’inflazione”. Preoccupazioni che si aggiungo, secondo l’imprenditore, al “graduale rallentamento” della politica di stimolo monetario lanciata dalla Bce di Draghi.

Rischi internazionali che se combinati con una vittoria del No – sottolinea – avranno “una sola conseguenza : l’ingessamento, il rigor mortis, appunto, a fronte di un mondo che procede sempre più veloce”. “Non arrivate a capire tutto ciò solo quando vi verranno negati i mutui e quelli a tasso variabili si alzeranno”, conclude. Per questo “Il 4 dicembre si vota, insomma, per dare via al cambiamento e preservare quella stabilità necessaria a non avere li effetti economici devastanti di cui parlavo prima”.

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Un militante M5S attacca Di Battista e Fico: “In tre anni non avete fatto niente. Se vince il Sì ve ne dovete andare”

“Sei cambiato, Di Battista. A livello locale non c’è interlocuzione”. Un militante del Movimento 5 Stelle, durante la marcia a Roma, attacca Alessandro Di Battista e Roberto Fico. “Mi devi dire in tre anni una cosa che è cambiata. In tre anni in Parlamento non avete fatto niente”. Di Battista replica: “Guardaci, siamo qui”. Gli altri attivisti prendono le distanze da questa piccola protesta gridando: “Andate avanti, siete l’unica speranza”. Ma il militante insiste: “Se vince il sì che facciamo? Ve ne dovete andare. Voi vi fate chiamare onorevoli e avete la scorta”.
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Lotti e Nardella nel casertano dai signori delle preferenze, dove le clientele girano “come Cristo comanda”

Il Giglio Magico, nonostante l’alluvione nel Casertano, arriva nei feudi di Nicola Cosentino, detto Nick o’ mericano, dove il partito della Nazione è già nato. Luca Lotti, dopo la benedizione di De Luca jr a Salerno, è ad Aversa a sostenere le ragioni del Sì, il “cambiamento” atteso “vent’anni”. Entra nella sala gremita con Stefano Graziano, coinvolto in un’inchiesta sui favori ai clan Zagaria in cambio di appoggi elettorali. L’accusa di concorso esterno è caduta, resta l’ipotesi di voto di scambio: voti in cambio di favori. “Stefano è tornato a casa”, così la scorsa settimana a Caserta lo ha salutato il premier dal palco. In prima fila, a battere le mani, c’era Vincenzo D’Anna, cosentiniano di ferro e artefice di una lista che portò un bel po’ di voti a Vincenzo De Luca.

Accanto a Lotti anche l’europarlamentare Nicola Caputo, indagato dalla Dda di Napoli per voto di scambio. Negli atti dell’inchiesta si leggono sfarzose feste elettorali con 1800 invitati, la faccia del candidato stampata sui tovagliolini, fiumi di vino (“quello venduto anche ai cinesi”) e ragazze in minigonna “tipo quelle che stanno in America”. La Florida italiana, coi suoi sei milioni di votanti, profuma di antico. “Organizzate le clientele come Cristo comanda”, il verbo deluchiano mai smentito, criticato dai fedelissimi del premier. Arriva a Caserta in serata anche Dario Nardella, che sabato sarà a Napoli con il fior fiore dei sindaci renziani, da Gori a Ricci a Decaro, diventato presidente dell’Anci con la mission di macinare voti al Sud, mobilitando gli amministratori del Sud.

Caserta, Aversa, ma anche Casapesenna, Marcianise, erano l’America di Nick o mericano, condannato per camorra, un sistema scientifico, fatto di consenso organizzato, referenti precisi, capibastone efficienti. Ora, da quelle parti, va forte il Pd, diventato feudo di Graziano. A Marcianise l’ex sindaco del Pd è indagato per concorso esterno in associazione camorristica, perché secondo la Dda fu sostenuto dal clan Belforte alle elezioni del 2006 e del 2001. Guardate la sua bacheca su Facebook: “Basta un Sì'”, contro l’accozzaglia. In parecchi nel Pd sussurrano che, ai tempi in cui era segretario, Veltroni nei suoi comizi da queste parti si rivolgeva così ai poteri opachi: “I vostri voti non gli vogliamo perché noi vogliamo distruggervi”.

Parole che nessuno del Giglio Magico pronuncia. Luca Lotti, braccio destro e sinistro di Matteo Renzi, nei suoi interventi parla poco. Più abituato alla manovra nell’ombra che alle orazioni appassionata, sa che conta la foto, da quelle parti. Il governo, sinonimo di potere, benedice i potenti locali. Il che rende il sistema di potere locale più forte nel chiedere voti, perché se è arrivato Lotti significa che “questi contano” e “possono fare qualcosa”, come si dice da queste parti.

Qualche tempo fa Rosaria Capacchione, giornalista antimafia e ora senatrice del Pd, criticò proprio questa assenza di filtri, figlia di manovre spericolate, a proposito degli scambi del suo partito sul consiglio di amministrazione di un consorzio industriale: “Se ci si occupa di consigli di amministrazione, si finisce nelle cronache giudiziarie”. Il riferimento era il consiglio di amministrazione del consorzio Asi, struttura strategica per la programmazione dei fondi europei. In quell’occasione il Pd, impegnato a portare mondi di destra a De Luca, fece l’accordo col parlamentare europeo Fulvio Martusciello.

I voti si contano, in questa campagna elettorale che si gioca al Sud, senza tanti filtri e parole, con un sistema che non cambia verso: “Quanti voti porta quello?”, “Da li ne devono arrivare X”, “da lì Y”. A Casapesenna, paese del boss Michele Zagaria, è molto attivo sul Sì Marcello De Rosa, il sindaco che vive sotto scorta per le minacce della camorra ma è indagato per concorso esterno in associazione camorristica. Secondo la Dda di Napoli De Rosa fu eletto nella primavera del 2014 anche grazie all’appoggio dell’ex sindaco Fortunato Zagaria (omonimo del boss del clan dei casalesi), indagato anche lui per concorso esterno.

A Caserta in serata arriva anche il sindaco di Firenze Dario Nardella per un incontro dal titolo “la cultura per il Sì, come valorizzare quello che ci rende unici in Europa”. Ci sono anche Graziano e Caputo. Causa alluvione e strade allagate, l’iniziativa viene rimandata. La macchina del consenso però continua a girare, “come Cristo comanda”.
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Mister Corona lascia l’eredità agli abitanti del suo villaggio natale. E diventano tutti milionari: 2 milioni di euro a testa

Antonio Fernández, il padre del brand Corona, ha lasciato 169 milioni di sterline, quasi 200 milioni di euro, al villaggio in cui è nato e cresciuto, Cerezales del Condado.

Il villaggio, che oggi conta 80 residenti, sarà dunque composto da milionari: ognuno riceverà 2 milioni di sterline, 2 milioni e 350mila euro circa, a testa. La notizia, come riporta il Telegraph, ha lasciato i cittadini meravigliati: “Non so come avremmo fatto senza Antonio. Non avevamo una peseta”, racconta Maximo Sanchez, proprietario dell’unico bar del paese.

Fernández ha combattuto con la povertà fin da bambino. A 14 anni abbandonò gli studi per lavorare nei campi. Negli anni, dopo essersi trasferito in Messico, è riuscito a creare l’impero della Corona, una delle birre più vendute nel mondo.
Si è spento nell’agosto scorso, a 98 anni, dopo aver passato il testimone al nipote, nel 2005.

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Referendum e maltempo. Renzi mette i piedi nel fango a Torino: annullata la tappa da segretario Pd, ci si presenta da premier

Non vengo per via del maltempo. Anzi no: vengo per via del maltempo. Piemonte e Liguria sono flagellati dai temporali e le esondazioni dei fiumi. Matteo Renzi rimodula la campagna elettorale per il referendum. Via i panni del segretario del Pd, quelli che ormai è solito indossare in quest’ultimo scorcio di volata elettorale verso il 4 dicembre. Renzi si ricala nella parte di premier: annulla l’iniziativa elettorale di stasera a Torino, la sposta a domenica ma a Torino ci andrà comunque. Domattina alle 8 sarà con il governatore Sergio Chiamparino alla sede della Protezione civile per verificare di persona la situazione di emergenza causata dalle pesanti piogge di queste ore.

Lontani i tempi in cui il premier non si presentava nei luoghi dei disastri, naturali o meno. “I politici non fanno passerelle”, disse a proposito dell’alluvione a Genova due anni fa. Non si presentò se non mesi dopo. Ha smesso a luglio scorso con il tragico incidente ferroviario in Puglia: si presentò subito sui luoghi del disastro. Per non parlare del terremoto di agosto e di quello autunnale nelle regioni del centro Italia: tempo di organizzare la trasferta e Renzi è lì dagli sfollati ancora sotto shock per le scosse.

Il terremoto non è molto presente nel dibattito pubblico di questi ultimi giorni. Non in quello del premier. Né in quello dei media, concentrati su altre emergenze. Oggi c’è quella del maltempo al nord. E dove c’è emergenza, ormai Renzi risponde. Da premier. E allora: rinviata a domenica l’iniziativa elettorale di stasera al Lingotto. E’ lui stesso ad annunciarlo su twitter:

Ma il premier domani sarà comunque a Torino. “Giornata di apprensione per le notizie che arrivano dal Piemonte. Domani sarò personalmente a Torino nella sede della Protezione Civile Regionale col presidente Chiamparino”, annuncia in un post su Facebook che gli serve per parlare della visita di oggi allo stabilimento Fiat di Cassino, a caccia del voto operaio con di fianco Sergio Marchionne.

Ma la visita a Torino non si conclude con la tappa alla Protezione civile. Anzi, questo è il fuori-programma dettato dal maltempo. A metà mattinata Renzi parteciperà all’inaugurazione dell’Anno accademico degli Istituti di formazione dell’Esercito (evento già previsto quando in agenda c’era solo il Lingotto di stasera). Proprio come ha fatto giorni fa a Roma, garantendo una irrituale presenza di premier all’inaugurazione dell’anno accademico della scuola della Guardia di finanza: di solito ci va solo il ministro dell’Economia.

Domani poi il giro al nord si conclude con Milano: ore 14, firma del Patto per la Lombardia con il governatore leghista Roberto Maroni. Tappa che per Renzi è un mega-spot in casa del No.

Il premier-segretario si è ormai buttato a capofitto in una campagna referendaria maniacale nella cura dei dettagli. Via le iniziative che possono risultare inopportune, anche se elettorali. Anzi proprio perché elettorali, come quella prevista stasera a Torino. Confermate invece quelle che servono a valorizzare la funzione di ‘premier che fa’ a dispetto di chi pensa solo a “lamentarsi, dire che va tutto male, criticare soltanto”, come scrive Renzi su Facebook.

I panni di segretario del Pd e quelli di presidente del Consiglio, indossati o dismessi a seconda dell’occasione, garantiscono un giochetto che continua a guardare fisso al 4 dicembre. Puntato nella stessa direzione di tutti gli altri riflettori mediatici anche internazionali. Anche quello dell’Economist, per dire, che oggi si schiera con il no e benedice un governo tecnico in caso di sconfitta di Renzi. Il premier lo valuta come un aiuto: si dimostra che le elite finanziarie non stanno con il sì, spiegano i suoi. Manca poco più di una settimana al giorno della verità.
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