Fidel Castro, ai funerali Raul giura di “difendere la patria e il socialismo. Si se puede”

“Giuriamo di difendere la patria e il socialismo. Fidel, hasta la victoria siempre. Raul Castro si rivolge ai cubani. E la risposta delle migliaia di persone, riunite in Plaza de la Revolucion a Santiago de Cuba per l’ultimo omaggio pubblico al Comandante en Jefe, è chiara: “lo giuriamo”. Stanco e con la voce roca, Raul parla al suo popolo e citando l'”esempio” di Fidel dice: “Ci ha mostrato quello che potevamo fare, quello che possiamo fare. E ora quello che potremmo fare. Sì se puede”.

La folla risponde: “Si se puede”. Una frase storica, rievocata da Barack Obama nella campagna elettorale del 2008 con ‘Yes we can’. Ripercorrendo le tappe della vita di Fidel, incluse le più difficili, Raul ricorda la crisi dei missili e “l’impero americano”. Ma Fidel “ci ha mostrato che abbiamo potuto creare una Cuba libera, trasformata in una potenza dal punto di vista della medicina e della biotecnologia”. “Ci ha mostrato” che se si è potuto combattere per la “Namibia libera, per l’Angola e per l’apartheid”, e che quindi Cuba ce la può fare, “sì se puede”.

“Si è potuto, si può e si potrà superare qualsiasi ostacolo per l’indipendenza, la sovranità della patria e il socialismo”. Dalla folla si alza un fragoroso applauso. Raul coglie l’occasione dell’ultimo saluto pubblico al Comandante en Jefe per ringraziare “ancora una volta” il popolo cubano per “il rispetto e l’amore” mostrato a Fidel in questi giorni.

“Milioni di persone hanno firmato i registri della rivoluzione”, quei registri delle condoglianze che hanno consentito ai cubani, firmandoli, di dare il loro personale saluto a Fidel. “Sono rimasto impressionato dalla reazione dei giovani” aggiunge. E la Plaza de la Revolucion è piena proprio di giovani.

La cerimonia di saluto è più breve di quella simile che si è svolta a L’Avana. Ed è dedicata solo al popolo cubano. Le personalità presenti, fra i quali Nicolas Maduro presidente del Venezuela, non intervengo. A parlare dal palco sono le associazioni dei lavoratori, degli agricoltori, dei combattenti della rivoluzione cubana. Fidel era un “soldato delle idee” dice il presidente del sindacato dei lavoratori. “Ci ha mostrato che i principi non si discutono, si difendono a ogni costo” gli fa eco il presidente dell’associazione degli agricoltori. “Porteremo avanti la rivoluzione con lealtà, continueremo l’opera” aggiunge il presidente dell’associazione dei combattenti della rivoluzione cubana. “Gli studenti non lo tradiranno, non falliranno nella loro opera di portare avanti la rivoluzione” dice il presidente dell’associazione studentesca.

La piazza ascolta, canta ‘Yo soy Fidel’. Fra la gente si percepisce un partecipazione sincera. “Dobbiamo moltiplicarlo, dobbiamo creare tanti Fidel” dice Rita Maria. Con l’intervento di Raul Castro si chiude l’ultimo saluto pubblico a Fidel Castro. La cerimonia di sepoltura avverrà alle 7.00 ora locali, le 13.00 italiane, chiudendo i nove giorni di lutto nazionale, consegnando “Fidel all’eternita”, come dicono i cubani.

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Referendum, Matteo Renzi e gli scenari post-voto: in ogni caso, urne anticipate

Vince il sì, vince il no e non ci sarà nessun forse. Domenica notte, mentre aspetterà i risultati con i suoi fedelissimi, Matteo Renzi comincerà a mettere a fuoco la sua risposta. Piano A: la vittoria. Il premier resta in carica e si prepara alla campagna elettorale per le politiche. Piano B: la sconfitta. Il premier resta in carica solo per l’approvazione della legge di stabilità, come gli chiederebbe Sergio Mattarella, congela le dimissioni e comunque affila le armi per le urne. Comunque vada, sarà voto anticipato. O almeno questa è la via d’uscita immaginata da Renzi. Anche se in caso di vittoria del sì, i renziani sono più restii ad ammetterlo.

Piano A Gli elettori consegnano a Renzi l’agognata vittoria. A risultato certo, Renzi si presenta davanti alle telecamere e tiene la conferenza stampa della rivincita. La rivincita rispetto ai sondaggi che in questa ossessiva campagna referendaria hanno sempre dato il no vincente. Da notare: solo alle europee, quando il Pd incassò il 40,8 per cento, Renzi tenne una conferenza stampa nella notte dello scrutinio. Era il 2014 e l’ex sindaco di Firenze era appena arrivato a Palazzo Chigi. Nelle altre tornate – amministrative, sempre molto meno generose con il Pd – ha rimandato le conferenze stampa al giorno dopo. In alcuni casi, le ha saltate a piè pari, come per le comunali 2015 quando partì per l’Afghanistan, visita a sorpresa dai “ragazzi” del contingente italiano.

Il discorso della vittoria tenterebbe di limitare i trionfalismi, della serie ‘ora serve unità’. Ma Renzi in cuor suo comincerebbe a sentirsi davvero legittimato da un voto popolare con il quale finora non si è mai confrontato. Non è un caso se il termine di paragone usato dal premier nel comizio di chiusura di campagna a Firenze sia stato il suo discorso per le primarie per la premiership del centrosinistra 4 anni fa, quelle perse contro Pier Luigi Bersani. “Quello fu il comizio della sconfitta, questo è invece è il comizio della vittoria”, ha detto in piazza della Signoria. Gli sarà difficile contenere orgoglio e trionfo.

È per questo che, con un occhio alla consulta che prima o poi dirà la sua sull’Italicum, i suoi abbozzano una possibile strategia. Che guarda al voto anticipato nel 2017. Per ora è idea che sta tra i desiderata. “Dovrà tener conto degli alleati – dice un renziano doc – di Alfano, di tutti quelli che chiedono la modifica della legge elettorale”. E anche della minoranza Dem che ha scelto di votare sì con la promessa di rivedere l’Italicum. Dunque, percorso complicato quello che porta al voto nel 2017 in caso di vittoria del sì. Il punto è che Renzi potrebbe averne bisogno per legittimarsi definitivamente anche a livello europeo. Visto che a partire dalla celebrazione dei 60anni del Trattato di Roma a marzo, subito dopo quello che spera sia un ok della commissione europea sulla legge di stabilità, Renzi vorrebbe assestare il colpo finale contro l’austerity. “Se vinciamo, gli diciamo che non vogliamo più essere il loro bancomat, il loro portafoglio!”, dice sempre a piazza della Signoria aizzando la folla contro l’Europa che sui profughi non si muove.

Piano B Gli elettori scelgono il no, si schierano con l’accozzaglia. Renzi non si capacita. Niente conferenza stampa nella notte più buia della sconfitta. Il giorno dopo sale al Colle per un confronto con Sergio Mattarella. Priorità: mettere il paese al sicuro dalle speculazioni dei mercati, che a quel punto si saranno già scatenati alla ricerca di un nuovo ordine. Dunque, niente dimissioni prima che il Senato – quel Senato che è ancora lì, uscito intatto dalla lavatrice del voto popolare – abbia approvato in via definitiva la legge di bilancio appena licenziata dalla Camera. Dimissioni congelate e via alla ricerca dello show down per azzerare tutto e arrivare al voto anticipato.

Ma qui iniziano gli interrogativi seri. Renzi resta segretario del Pd. Ma un minuto dopo la sconfitta è lì a studiare le mosse della sua maggioranza nel partito. Primo punto: “Se perdiamo anche solo con il 45 per cento, quella percentuale è tutta di Matteo”, dicono i suoi. “E’ come se portassimo a casa ancora una volta il risultato delle europee del 2014, con la differenza che stavolta il merito è tutto di Renzi che in questa campagna è stato più o meno solo contro tutti…”. Se così fosse, il premier-segretario lo farebbe pesare al momento delle scelte nel partito, nella direzione che convocherà dopo il voto, nel congresso che a questo punto parte subito. Ma questo non elude la domanda: cosa faranno i non-renziani e non-renzianissimi?

Vale a dire: Orfini, Orlando, Franceschini e poi Delrio, Richetti. Renzi resta il loro leader più spendibile a livello comunicativo, ma è azzoppato. Quanto Pd Renzi continuerà ad avere alle spalle, sopratutto nei gruppi parlamentari? Mattarella gli potrebbe chiedere di tornare davanti alle Camere per una nuova fiducia, magari scontata, stando agli innumerevoli inviti a restare che arrivano da tutti i ministri nonché dall’estero, da Obama al Financial Times e il New York Times. Ma Renzi si porrà la domanda: mi conviene?

Vuole restare al governo. Ma dopo la sconfitta ha un problema. Lui, il leader che si professa nuovo e non attaccato alla poltrona, dovrà trovare un’ottima giustificazione per un eventuale reincarico. Con Mattarella e i sostenitori in Parlamento dovrà raccontare una storia che non lo riduca al rango dei ‘rottamati’. Possibilmente una storia credibile. Potrà essere la storia della stabilità, della necessità di garantire un ordine. Ma a Renzi potrebbe non bastare. Avrà bisogno di un pulpito per recuperare la verginità politica perduta. Un pulpito esterno alle responsabilità di governo. Ma riuscirà a convincere il Pd a dare l’ok alla nascita di un governo di transizione (Grasso, Boldrini?) sul quale poi però scatenerà i suoi fulmini, in competizione già da campagna elettorale con Grillo?

Scenario complicato. Ed è ancora più complicato immaginare un governo Padoan, Calenda o Franceschini – i nomi più gettonati nelle chiacchiere di Transatlantico – a meno che in cuor suo Renzi non abbia deciso di cuocerli alla ‘Letta maniera’ una volta che arrivano a Palazzo Chigi.

Ecco perché, ogni scenario di sconfitta passa per un Renzi bis. A meno che Renzi non decida davvero di mollare la politica subito. Ma questa opzione non sembra essere all’orizzonte. O almeno non c’è alcun segno visibile che la annunci. A meno che il no non arrivi come un’inondazione. A quel punto gli scenari tratteggiati col bilancino sarebbero travolti.
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Morbillo, complicanze cerebrali più frequenti del previsto. In Italia la copertura vaccinale è ferma all’85 per cento

Le complicanze del morbillo – in primis le encefaliti, soprattutto nei bambini – sono meno rare di quanto si pensi. Motivo per cui il progressivo calo nelle coperture vaccinali, oltre a rappresentare un rischio per l’intera popolazione, espone la salute degli infetti a complicanze che non sono la regola, ma possono concretizzarsi con una probabilità maggiore rispetto a quella finora considerata. È questo il dato che emerge da una ricerca presentata nel corso dell’IDWeek 2016, l’appuntamento annuale che vede riunirsi gli esperti delle società americane di malattie infettive, pediatria ed epidemiologia.

PANENCEFALITE SUBACUTA SCLEROSANTE: DI COSA SI TRATTA? – I nuovi dati sono stati esposti dai ricercatori della dell’Università della California, in collaborazione con i colleghi dell’agenzia di sanità pubblica di Los Angeles. Gli scienziati hanno dimostrato che la panencefalite subacuta sclerosante – forma cronica di encefalite provocata dalla persistenza del virus del morbillo nel tessuto cerebrale – può emergere in un bambino su 1.387 contagiati entro i cinque anni. Ma il tasso è risultato più che raddoppiato (uno su 600) nei bambini colpiti dal virus nel primo anno di vita. Il dato è stato ricavato ricostruendo la storia clinica dei bambini colpiti dall’encefalite in California tra il 1998 e il 2016. Un’eventualità più frequente rispetto alle stime finora in vigore: un bimbo su 1.700, secondo un precedente studio tedesco. Da qui il suggerimento degli scienziati a «effettuare almeno due dosi di vaccino prima di portare un bambino in un Paese in cui il morbillo è endemico». La malattia è caratterizzata da febbre, tosse, occhi rossi, mal di gola e rash cutaneo.

I PIU’ A RISCHIO SONO I BAMBINI CON MENO DI UN ANNO –
In Italia tra il 2013 e il 2015 le coperture vaccinali sono scese dal 90,5 all’85,3 per cento. Una flessione che aveva determinato anche un richiamo ufficiale da parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Secondo alcune stime della Società Italiana di Pediatria, con il crollo delle vaccinazioni sarebbero oltre seicentomila i bambini italiani (2-9 anni) esposti al morbillo. Ma anche adolescenti e giovani adulti possono essere esposti. Il morbillo è infatti estremamente contagioso e può causare gravi conseguenze anche nelle persone immunocompromesse. La vaccinazione è considerata indispensabile su larga scala perché garantisce l’immunità «di gregge», ovvero la protezione anche di una parte significativa della popolazione che non ha potuto effettuare la vaccinazione. Particolarmente vulnerabili sono i bambini con meno di un anno, che a causa della loro età non possono ricevere la vaccinazione trivalente (morbillo, parotite e rosolia). Il virus del morbillo può diffondersi a tutto il corpo e raggiungere pure il cervello, dove anche dopo anni dall’infezione è in grado di provocare l’encefalite. La panencefalite subacuta sclerosante, per cui non esiste una cura, risulta fatale in quasi la totalità dei casi.

VACCINAZIONE: QUANDO EFFETTUARLA? – L’unica forma di prevenzione consiste nella vaccinazione, per cui la prima dose è prevista tra il dodicesimo e il quindicesimo mese di vita. Prima, infatti, si considera che i bambini conservino una dose di anticorpi materni: motivo per cui anticipare il vaccino potrebbe ridurne l’efficacia. Oltre alla panencefalite subacuta sclerosante, un’altra complicanza insidiosa del morbillo è data dalla polmonite.

Questo articolo è stato originariamente pubblicato sul sito della Fondazione Veronesi

Per approfondire vai su www.fondazioneveronesi.it


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Esclusiva L’Espresso. “Football leaks”, gli affari segreti del calcio. Mourinho e Ronaldo vanno offshore

In esclusiva il settimanale L’Espresso svela milioni di file che minacciano di sconvolgere il mondo del calcio, scoperchiando un mondo di affari off-shore e triangolazioni finanziarie. Nel sito si spiega che i dati saranno resi noti da domenica, ma si anticipa che tra i personaggi coinvolti nell’inchiesta giornalistica vi sono Cristiano Ronaldo, Mourinho oltre a sei club italiani: Juventus, Inter, Milan, Roma, Napoli e Torino.

Nella anticipazioni fornite sul sito del settimanale, si parla diffusamente del fuoriclasse portoghese del Real Madrid, che tra il 2009 e il 2014, avrebbe trasferito oltre 70 milioni di euro nei conti di una società registrata alla British Virgin Islands, paradiso fiscale nei Caraibi. Altri 74 milioni sono stati stati incassati negli ultimi giorni del 2014, quando Cr7 ha ceduto i diritti sulla propria immagine a un uomo d’affari di Singapore, Peter Lim. Su questi redditi Ronaldo ha pagato tasse per un totale di pochi milioni. E’ tutto sui file proposti al settimanale tedesco Der Spiegel da una fonte anonima, e condivisi con le altre testate riunite nel network EIC, European Investigative Collaborations.

Per sette mesi, i cronisti di 12 giornali europei, tra cui l’Espresso, hanno esplorato i documenti a caccia di notizie e a partire dal prossimo numero, in edicola da domenica 4 dicembre, il settimanale italiano rivelerà in una serie di articoli i risultati della lunga inchiesta. Il racconto va a incrociare i grandi club europei, compresi alcuni italiani, come Juventus, Inter, Milan, Roma, Napoli, Torino. Operazioni da decine di milioni che finiscono per rimbalzare nei paradisi fiscali, in una girandola di prestanome e fatture.
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Un preside inglese vieta di alzare la mano in classe: penalizza i più timidi o stimola la partecipazione?

Alzare la mano potrebbe non essere il metodo migliore per coinvolgere gli studenti: per questo, come scrive il Corriere della Sera, Barry Found, il preside della Samworth Church Academy School di Mansfield, ha vietato la prassi lunga decenni.

«Non ci sembra un modo soddisfacente per aiutare e incoraggiare tutti i ragazzi all’apprendimento», ha scritto in una lettera inviata ai genitore degli oltre mille studenti della scuola. Le mani si potranno alzare, ha spiegato, solo per imporre il silenzio. «Rispondere per alzata di mano – ha detto – è una pratica antiquata che non aiuta l’apprendimento degli studenti: le mani che si alzano sono sempre le stesse, studieremo altri metodi per dare l’opportunità a tutti gli studenti di contribuire alla lezione».

Ma cosa ne pensano gli studenti? In Italia, la notizia è stata accolta con reazioni ambivalenti. Eleonora Cavalieri, all’ultimo anno dei liceo Pasteur di Roma, sembra apprezzare:

«Beh, un po’ è vero, io sono una di quelle che ha sempre la mano alzata, fin dalla terza media, ma è un modo per essere più attivi in classe e magari per lanciare un dibattito coinvolgendo gli altri meno interessati». Però, sottolinea, «è vero anche che chi è più timido fa più fatica e allora, ad esempio, alla mia compagna di banco timidissima che risponde sempre sottovoce dico: dillo, parla, alza la mano!».

Raffaele Mantegazza, pedagogo che insegna all’università Bicocca di Milano, spiega che in realtà alzare la mano è educativo anche solo per l’atto in sé:

«Alzare la mano è un atto di responsabilizzazione, un modo per imparare a rispettare le regole, aspettare il proprio turno e poi parlare: già da piccoli ci si abitua ad esprimere un concetto davanti agli altri; poi nella vita ci saranno mille occasioni in cui si dovrà farlo».

Imporre una scelta del genere, però, può rivelarsi controproducente:

«Non si può ragionare in astratto, bisogna vedere che tipo di studenti si hanno davanti, devono essere gli insegnanti a capire come far intervenire tutti, questo abolizionismo mi lascia perplesso». Anche perché spesso chi non alza la mano magari non ha la risposta, non è interessato o semplicemente «non ha nulla da dire».

Discorso diverso si applica alle classi dei bambini più piccoli, invece, proprio per una questione educativa. Spiega Zina Cipriano, maestra alla scuola elementare Rosolino Pilo di Palermo che all’educazione dei più piccoli ha dedicato un intero blog, Youreducation.it. Alzare la mano, spiega la maestra:

«Serve per insegnare a non parlarsi uno sull’altro. Insegna il rispetto delle regole e i bambini ne hanno un gran bisogno abituati come sono a non averne». Però è vero che “ce ne sono alcuni davvero timidi che vanno spronati, altri più coraggiosi si buttano sempre: qui è importante il ruolo dell’insegnante, non si può vietare a priori. Lei nella sua classe utilizza anche il brain storming(…) «Rispetto a una volta, i bambini oggi parlano di più, hanno un gran bisogno di raccontarsi: credo che nelle loro case nessuno li ascolti».

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Referendum e voto estero: domenica battaglia a Castelnuovo di Porto, dove si scrutinano le schede decisive

Circa 48mila metri quadri, ben militarizzati. Lo chiamano il ‘Pentagono’ del voto all’estero. Addirittura. Perché il Centro Polivalente della Protezione Civile a Castelnuovo di Porto, paese di poco più di 8mila anime tra la Flaminia e la Tiberina in provincia di Roma, è un vero e proprio fortino con un carattere quasi sacro. Chi lo espugna vince.

Lì vengono portate le schede di chi ha votato dall’estero per il referendum costituzionale di domenica: sono il prodotto di circa 1400 seggi. E lì vengono scrutinate. Lì piomberanno almeno 200 volontari del comitato del No perché temono brogli. E arriveranno anche rappresentanti del Sì, per rispondere a eventuali accuse e controllare a loro volta. Stando a tutti i sondaggi e ai calcoli di entrambi i comitati, il voto all’estero è il vero ago della bilancia di questo combattutissimo referendum costituzionale.

Ecco perché il voto di domenica potrà facilmente passare alla storia come ‘la battaglia di Castelnuovo di Porto’. Benché il centro polivalente dello scrutinio sia situato a circa 15 chilometri dal centro abitato, in una zona isolata, scelta apposta per garantire un corretto svolgimento delle operazioni di voto già nel 2006, quando il voto all’estero consegnò a Romano Prodi la fragilissima maggioranza al Senato. Durò solo due anni. Tempi andati ma anche quest’anno il voto all’estero sarà decisivo.

Intorno alle 15 di domenica si potrà già sapere il dato dell’affluenza dall’estero. E sarà molto alto: previsione condivisa sia dal comitato del sì che da quello del no. Pur con polemica. Quelli del Sì stimano 1 milione e 200-300mila voti in arrivo dall’estero. Renzi li considera la sua cassaforte per la vittoria. Visto che tutti i sondaggi che ha in mano danno il sì in svantaggio sul no a livello nazionale. E visto che, secondo i calcoli che fanno al suo quartier generale, nemmeno il sì di Romano Prodi riesce a ‘salvare’ questo voto.

Quelli del No condividono la previsione sul numero dei votanti dall’estero. “E’ possibile – ci dice Alberto Campailla del Comitato del No – C’è uno zoccolo duro di 700-800mila votanti, come si è visto in altri appuntamenti elettorali. Ma in più stavolta c’è stata maggiore pubblicità sul voto. Molta di più rispetto al referendum di aprile sulle trivelle”.

Stavolta autorevoli esponenti del Sì hanno dedicato molte tappe elettorali all’estero. A cominciare dal ministro Maria Elena Boschi e il suo tour in America Latina. Per finire alla cena di Matteo Renzi da Obama, da leggersi anche in chiave di propaganda tra gli italiani che vivono in America oltre che attraverso la lente delle forti relazioni diplomatiche tra Roma e Washington nell’era Barack. E poi c’è un altro dato.

L’Italicum ha introdotto la possibilità di votare anche per gli italiani che risiedono all’estero temporaneamente da almeno tre mesi, per motivi di studio, lavoro o cure mediche ecc. Una disposizione che per la prima volta è stata applicata al referendum No triv di aprile. “Solo che allora il termine entro il quale ci si poteva iscrivere per votare non è stato prorogato – ci dice ancora Campailla – L’Italicum lo stabilisce in 10 giorni dal giorno di pubblicazione del decreto che indica la data del voto in gazzetta ufficiale. Per il referendum costituzionale questo termine è stato prorogato di almeno un mese: scadeva l’8 ottobre, hanno tenuto i termini aperti fino al 2 novembre”.

Ecco il perché di quel milione e passa di voti in arrivo dall’estero. Un fortino che per Renzi racchiude “sorprese positive”, così dicono i suoi. “Noi invece pensiamo di fare bene tra gli italiani di recente immigrazione, tra i giovani che se ne sono andati per effetto della recente crisi economica”, dice Campailla. Partita evidentemente persa tra quelli di immigrazione più antica. Anche qui le aspettative del sì e del no stranamente coincidono. Si vedrà domenica.

Soprattutto si vedrà come andrà sul campo di battaglia, nell’hangar di Castelnuovo di Porto. “La nostra attenzione sul voto all’estero nasce dalle numerose segnalazioni ricevute – prosegue Campailla – il nostro compito è di garantire a tutti i cittadini e in particolare a quelli che non vivono in Italia che la loro scelta venga rispettata”. Verifica delle persone decedute, non aventi diritto al voto perché minorenni, schede sospette perché apparentemente compilate dalla stessa mano: i campanelli di allarme sono molteplici.

“Questi sospetti di brogli… se qualcuno ha qualcosa da dire, faccia denuncia – replica il ministro dei Beni Culturali, Dario Franceschini – il voto degli italiani all’estero è stato una conquista condivisa da tutto il Parlamento. Hanno votato negli altri referendum, nelle altre elezioni Politiche e non capisco questo atteggiamento preventivo nei confronti del voto degli italiani all’estero”.

Istituito con la legge Tremaglia del 2001, governo Berlusconi, ora però il voto all’estero viene preso di mira anche da Forza Italia. “E’ l’intero processo che è assolutamente viziato”, diceva Renato Brunetta una settimana fa, dopo aver incontrato il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni insieme ad altri esponenti del comitato del No. Matteo Salvini chiede addirittura “un controllo dell’Onu”. Il parlamentari del M5s in commissione Affari Costituzionali di Camera e Senato scrivono a Gentiloni e Alfano: “Il Viminale e la Farnesina non hanno fatto nulla per garantire la regolarità del voto degli italiani all’estero che è seriamente a rischio brogli”.

Renzi, che continua a girare come una trottola tra ‘#Matteorisponde’ su Facebook, le interviste su ogni media possibile e le iniziative nelle città (domattina a Palermo, con contestazione studentesca annessa), glissa: “A me sembra strano che avvicinandosi ad una grande festa della democrazia noi anziché guardare a ciò parliamo delle bufale, di cosa Renzi farà da grande. Concentriamoci sul merito. Cari italiani, stanno cercando di fregarvi, parliamo della scheda”.

Appollaiato intorno alla sua Rocca, su una collina tufacea, Castelnuovo di Porto è lì che aspetta la prossima invasione elettorale.
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Il gatto eroe che ha salvato un escursionista smarrito e ferito sulle Alpi svizzere

Una storia un po’ atipica quella capitata a un escursionista ungherese che si è perso sulle Alpi svizzere. Infortunato e smarrito nel bel mezzo delle montagne, il ragazzo ha ritrovato la strada per tornare a casa, e relativi medicamenti, grazie a un quadrupede, ma non il solito giocondo e gioviale San Bernardo, bensì un semplice micio dal pelo bianco e nero. Un micio che oggi è considerato un eroe. Almeno dagli utenti Reddit.

Il ragazzo, che ha raccontato la strana avventura su Reddit, era in vacanza in Svizzera e stava percorrendo un percorso nei pressi di Gimmelwald, nell’Oberland Bernese. A un certo punto, probabilmente distratto, poggia male il piede e si sloga la caviglia. Il dolore lo affligge, non riesce a camminare bene. Si confonde e si perde. Tenta di ripercorrere la strada al contrario, ma invano. Si siede e comincia a pensare a una soluzione.

Qualche minuto dopo, proprio quando temeva il peggio, sente un miagolio. Si volta ed ecco spuntare da sopra una roccia un micio, una femmina, dal pelo bianco e nero e due profondissimi occhi gialli. “Mi fissava e ha cominciato a camminare. Si fermava e miagolava. Vedendo che non mi muovevo tornava indietro”, scrive l’escursionista. Un altro miagolio, più insistente questa volta, e allora capisce che il gatto lo sta esortando a muoversi e a seguirlo. “Ha preso un percorso che non avevo notato e ogni tanto si voltava per vedere se la stessi seguendo”. Dopo un bel po’ di cammino in mezzo agli alberi, la strada si apre, rivelando un lungo percorso che porta a un villaggio. “Era la fine della stagione sciistica, gli impianti erano chiusi e molti percorsi non erano percorribili, ma grazie al gatto sono riuscito ad arrivare al villaggio di Lauterbrunnen, dove ho ricevuto il primo soccorso per poi potermene tornare al mio alloggio”.

La storia del gatto eroe – e il relativo video – ha fatto il giro del web, e molti escursionisti locali affermano di averlo incontrato più volte, mentre passeggiava o seduto su una roccia. Probabilmente in attesa di qualche sventurato a cui prestare soccorso.
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Referendum, l’amarezza della Ditta per un Sì “poco entusiasta”. I dubbi della Ghisleri

Un SI che non ti aspetti, bugiardo. Chiara Geloni, pasionaria della Ditta, prima di parlare, fa un lungo sospiro: “Prodi dice che vota SI in continuità con la sua storia. Peccato che con questa dichiarazione ha raggiunto gran parte dei 101. Auguri, gli vogliamo bene lo stesso”.

Giorni bugiardi è il titolo del pamphlet, scritto dai due portavoce storici di Bersani, Di Traglia e Geloni ai tempi del 2013. Quando al Capranica il nome di Prodi accolto da una standing ovation, per poi essere impallinato nel segreto dell’urna. Al netto delle parole – poche, fredde e sbrigative – di Pier Luigi Bersani (“quello di Prodi non mi pare un sì entusiasta”), la botta si sente, come in volume 2 dello stesso libro: “I giorni bugiardi – prosegue la Geloni – continuano e forse qualcuno non si ricorda chi sono bugiardi”. Pausa. “E i 101”.

E la botta si sente perché l’endorsement del Professore, simbolo dell’Ulivo che Bersani rivendica come una radice feconda, da non strappare e non rottamare, ebbene l’endorsement arriva inaspettato. Le persone più vicine a Prodi raccontano che “ha deciso solo oggi, per necessità di chiarezza nei confronti del paese, dopo una fase di dubbio, ma fino a ieri sera era rimasto davvero con l’idea di non parlare”. Idea di cui Bersani era al corrente, perché tra i due ci sono confronti periodici. Una neutralità (e un silenzio) che lo rassicurava: “Da quel che ci risultava – spiega un bersaniano di rango – c’era una grande pressione di palazzo Chigi per un suo SI, proprio per giocarlo contro di noi e sottrarci la bandiera ulivista”. Perché comunque è un SI, anche se scocciato, poco “entusiasta”, con critiche severe annesse, su stile di leadership e legge elettorale. E se conta il minuto prima (cioè adesso), ma anche dopo. Ormai nei conciliaboli della sinistra i parlamentari sono consapevoli che “se vince il SI, quello ci stira come dei gatti”.

Delusione, rabbia emotiva. Bersani commenta con due frasi, gli altri parlamentari preferiscono sottrarsi, mentre le agenzie vengono inondate da un fiume di dichiarazioni di renziani di ogni grado e di ogni credo, dagli ortodossi ai dialoganti. Ma, mentre il premier vive le parole del Professore come le campane a morto della sinistra, in parecchi si domandano: quanto sposta Prodi in termini di voti? Ai tempi del Quirinale, quando Renzi puntò su Mattarella, furono commissionati dei sondaggi per tastare il gradimento del futuro inquilino del Colle. In quelle rilevazioni – era il 2015 – Romano Prodi stava basso e non svettava neanche Veltroni. E oggi? L’infallibile Alessandra Ghisleri spiega all’HuffPost: “Bella domanda. Bisogna vedere se Prodi sposta a favore del SI o a favore del NO. Nel senso che fuori dal Pd non è amato nel centrodestra, perché è stato l’avversario per vent’anni. Per l’elettorato grillino è un pezzo di establishment. Poi, sai, non è che a ogni dichiarazione uno fa un sondaggio…”.

Però il valore politico c’è, anche se è difficile quantificare quanto vale elettoralmente, se cioè rappresenta una calamita a sinistra, magari nelle zone rosse o se viene vissuto come un altro pezzo di establishment che mette la faccia sul SI, lontano dai cittadini, come Junker, Schauble. Anzi, che ce la mette in Italia proprio dopo gli endorsemet tedeschi o comunque dell’Europa a trazione germanica all’insegna della stabilità e della continuità. La faccia e, dicono le vecchie volpi di Palazzo, anche un chip sulla vittoria di Renzi. Paradossalmente, nel poker del referendum, il SI è una puntata sul tavolo verde che accomuna i due grandi feriti da Renzi, Enrico Letta e Romano Prodi, cresciuti nella scuola democristiana per cui, per stare nel gioco, devi comunque stare nell’area di governo perché nel potere si naviga, non ci si oppone. Con ammiccamenti, distinguo, mezze frasi per marcare una posizione autonoma.

Ecco che, a leggere la dichiarazione di Prodi, se una frase suona come una critica a Renzi (“C’è chi ha voluto ignorare e persino negare quella storia, come se le cose cominciassero sempre da capo, con una leadership esclusiva, solitaria ed escludente”), l’altra porta ai baffi di Massimo D’Alema: “E c’è chi ha poi strumentalizzato il disegno che aveva contrastato”. Nel libro della Geloni e di Di Traglia, la carica dei 101 era composta dalle truppe di Renzi e di D’Alema, che poi sarebbero i “turchi” che successivamente lo hanno abbandonato: “Finché non ci diremo la verità fino in fondo – dice la Geloni – ci resteranno equivoci. Questa vicenda dei 101 continua a essere un macigno”. A ogni elezione che conta.
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Francesco Guccini: “Non dirò mai cosa voto al referendum. Io il preferito di Matteo Renzi? Ripeto: sono innocente”

Guccini non si pronuncia: né sul referendum costituzionale, né nel merito della riforma. Dalla sua casa di Pavana, il cantautore emiliano concede però al Corriere della Sera un’opinione a caldo sulla morte di Fidel Castro e, da lì, qualche ipotesi sul futuro della sinistra italiana.

La morte di Castro non ha chiaramente lasciato indifferente Guccini, che ritorna nei suoi testi insieme a una sinistra ormai in evoluzione.

«Sono rimasto un po’ così, anche se aveva 90 anni… Il lider maximo è stato un grande personaggio. Adesso dobbiamo capire come evolverà la situazione a Cuba. Castro ha fatto qualche errore e qualche cosa positiva, soprattutto la medicina».

Riguardo la situazione in Italia, invece, non c’è speranza di sapere le intenzioni di voto del cantautore per domenica prossima:

«Io ho la mia idea e non la dico. La tengo per me» (…) «si è arrivati a dei punti di polemica troppo violenti. Ma è ovvio che questo voto è troppo importante per l’Italia».

Non sembra volersi esporre più di tanto neanche nel merito della riforma, sebbene non lasci trasparire un’opposizione totale:

«Ci sono anche dei punti positivi. Vedremo come andrà a finire domenica notte».

“Lei è da sempre il cantante preferito di Renzi”, incalza il giornalista. “Nei giorni scorsi è uscito da un comizio canticchiando «non dire no» da «Il tempo di morire» di Battisti. Hanno chiesto di fare altrettanto con Guccini, ma il premier ha risposto che lei gli ha fatto sapere che preferisce non essere citato da lui…”

«Boh, non lo so (ride, ndr). Non lo conosco personalmente. Oltre a Renzi sono il preferito anche di Alfano? Ripeto: sono innocente. Preferisco Dino Zoff. grandissimo portiere che ama tanto i miei brani» .


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Matteo Renzi su Facebook live: “Basta bufale sul referendum. Beppe Grillo teme il Sì dei 5 Stelle”

Secondo appuntamento in due giorni per Matteo Renzi e il suo #matteorisponde. Il premier di nuovo su Facebook live per rispondere alle domande dei cittadini. “Questa è una serata che dedichiamo a chi non odia, ci sono alcune persone che utilizzano in modo virale la propaganda, le bufale e la Rete. Si può non essere d’accordo su tutto, ma dimostriamo che noi non viviamo di propaganda”, ha detto Renzi. Il presidente del Consiglio ha annunciato che ad Amatrice arriveranno le prime 20 casette entro Natale. Il premier ha attaccato nuovamente Mario Monti: “Oggi un grande esperto di tasse, Mario Monti, sostiene che da quando ci siamo noi ci sono più tasse. Non ricordo un governo che ha aumentato le tasse più di quello di monti, mai fidarsi dei governi tecnici”.

Renzi mostra il fac-simile della scheda elettorale per il nuovo Senato


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