Mps, appello dei sindacati al Governo per “agire immediatamente” per salvare la banca. Oggi Cda, atteso verdetto Consob

Un appello congiunto dei tre leader sindacali per salvare Mps subito. Con soldi pubblici, per evitare le pesanti conseguenze della crisi della banca senese.

“La soluzione della crisi politica mette il nuovo governo in carica nella condizione, senza ulteriori temporeggiamenti, di agire immediatamente con tutti gli strumenti idonei compreso l’intervento pubblico per mettere il sicurezza Mps e salvaguardare il settore creditizio interessato da alcune situazioni di pesanti difficoltà e crisi aziendali” dichiarano in una nota unitaria i segretari generali Susanna Camusso (Cgil), Annamaria Furlan (Cisl) e Carmelo Barbagallo (Uil). “Non è più tempo di incertezze e di inammissibili ritardi – aggiungono – che non farebbero altro che aumentare le criticità a carico di un settore decisivo per la vita economica del paese. Il governo deve avere chiara la necessità di difendere l’occupazione e di tutelare i risparmiatori retail evitando gli errori già compiuti in passato”.

Ieri è stato ufficializzato il No della Bce alla proroga per l’aumento di capitale del Monte dei Paschi. Tra le motivazioni addotte, si legge nella nota di Mps, la Bce ha messo in evidenza che “il ritardo nel completamento della ricapitalizzazione potrebbe comportare un ulteriore deterioramento della posizione di liquidità e un peggioramento dei coefficienti patrimoniali, ponendo a rischio la sopravvivenza della banca. La banca centrale europea ritiene inoltre che lo slittamento dell’operazione al mese di gennaio 2017 non garantirebbe un contesto di mercato più favorevole che consenta la stipula di un accordo di garanzia con le banche del consorzio”.

Il Wsj oggi evidenzia come il nodo del salvataggio del Monte dei Paschi di Siena sia centrale per il nuovo Governo: “Con Gentiloni al suo posto e il ministro delle Finanze di Renzi, Pier Carlo Padoan, ancora nel suo lavoro, Roma può salvare Mps, forse nazionalizzandola”. Stando a quanto riporta ‘la Repubblica’, oggi i vertici di Mps attendono il responso della Consob sulla conversione volontaria dei bond subordinati in mano al retail. Se arriverà il disco verde, si riapriranno i termini per rafforzare patrimonialmente la banca anche ricorrendo agli obbligazionisti. È fissato un Cda nel primo pomeriggio. L’alternativa è la soluzione con la garanzia pubblica. Se invece arriverà il Sì, domani partirà la conversione dei bond e l’aumento di capitale.

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“La ministra dell’Istruzione Valeria Fedeli ha mentito, non è laureata”. Scoppia il caso, lo staff ammette: “Infortunio lessicale”

Il giallo sulla laurea del ministro dell’Istruzione Valeria Fedeli dura per tutta la giornata. È Mario Adinolfi, direttore de La Croce Quotidiano, a sollevare per primo il caso su Facebook: “Valeria Fedeli mente sul proprio titolo di studio, niente male per un neoministro all’Istruzione. Dichiara di essere “laureata in Scienze Sociali”, in realtà ha solo ottenuto il diploma alla Scuola per Assistenti sociali Unsas di Milano. Complimenti ministro, bel passo d’inizio. Complimenti Paolo Gentiloni: a dirigere scuola e università in Italia mettiamo non solo una che non è laureata, ma una che spaccia per “laurea in Scienze Sociali” un semplice diploma della scuola per assistenti sociali”, scrive Adinolfi.

Quanto scrive Adinolfi combacia con il curriculum della neoministra (almeno con uno dei due presenti sul sito web dell’ex vicepresidente del Senato). “Finite le scuole mi sono trasferita a Milano per iscrivermi dove ho conseguito il diploma di laurea in Scienze Sociali, presso UNSAS” (Unione Nazionale per le Scuole di Assistenti Sociali), si legge nella biografia. Le scuole per Assistenti sociali, tuttavia, hanno ottenuto il riconoscimento giuridico del titolo di assistente sociale solo nel 1987. Ma questo non vuol dire che siano state trasformate in corsi di laurea quell’anno. L’assorbimento nelle facoltà universitarie infatti avvenne solo nel 2000 (salvo i corsi sperimentali dell’Università di Trieste e dell’università Lumsa di Roma, lanciati nel 1998).

Il giallo sulla laurea si infittisce, e sono tanti gli utenti sui social network a chiedere alla neoministra di fare chiarezza sul suo curriculum vitae. Secondo quanto riportato da Il Mattino, però, lo staff della Fedeli avrebbe confermato che la ministra non è laureata:

Il suo staff conferma, ma spiega che è solo un infortunio lessicale su cui ora qualcuno sta speculando. Del resto, avvertono, il fatto che in quella stessa biografia sia anche specificato che il “diploma di laurea” in questione è stato conseguito all’Unsas, Scuola per assistenti sociali di Milano (e dunque non in una università), è la prova della sua buona fede.

“Buona fede” che però sarebbe messa a dura prova da un altro curriculum, sempre rintracciabile sul sito di Valeria Fedeli. Nella versione in Pdf del trascorso professionale e studentesco della ministra infatti non viene menzionata l’Unsas, ma vi è un’unica dicitura che riporta tout court: “Laureata in Servizi Sociali (attuale laurea in Scienze Sociali)”.

fedeli

La ministra, chiamata in causa da tantissimi utenti sui social, non ha risposto. Ma le opposizioni hanno subito innescato la polemica: “Ma quindi il nuovo ministro all’istruzione #Fedeli non ha neanche la laurea e ha detto di averla? Niente, questi ci lanciano verso il 51%”, scrive su twitter Ignazio Corrao, eurodeputato del Movimento 5 Stelle. E anche l’account twitter della Lega Nord chiede: “La ministra dell’Istruzione Fedeli ha mentito sulla laurea?”.


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Governo Gentiloni, disco verde da Confindustria. Boccia: “Positiva la riconferma di molti ministri”

Il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia giudica positivamente la riconferma di molti dei ministri nel nuovo governo di Paolo Gentiloni, in particolare quelli che sono stati seguiti con “attenzione”. Lo ha detto lo stesso Boccia, parlando con i giornalisti, a margine dell’assemblea dell’associazione industriale di Genova, auspicando che “i partiti non dibattano solo di legge elettorale”, ma si entri nel merito delle grandi questioni e che il governo “continui nella spinta riformatrice del Paese”.

Ai giornalisti che a margine del convegno di Confindustria a Genova gli chiedessero la sua impressione sul governo Gentiloni, Boccia ha risposto che “le impressioni saranno nei fatti” e nell’operato. “Abbiamo un piano industria 4.0 che va implementato”, ha osservato Boccia sottolineando che la legge di bilancio è “una parentesi importantissima ma il Paese ha bisogno di tante altre riforme”.

Da qui l’auspicio ai partiti che non si dibatta solo di legge elettorale ma “si entri nel merito delle grandi questioni del Paese e cioè Europa, Italia, questione economica e questione industriale”.

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Governo Gentiloni, i ministri di Verdini spariscono al Colle

Quando quella vecchia volpe di Fabrizio Cicchitto arriva allo stadio Olimpico per la Roma, parecchi deputati lo avvicinano in tribuna d’onore: “Tu che conosci Verdini, come la leggi questa cosa che non è entrato al governo”. Risposta: “O ha peccato di ingordigia, chiedendo troppo. O è il segnale che il governo cade quando vuole Renzi”. O entrambi.

Ecco la scena, di quando le richieste di Denis sono nero su bianco. E non vengono accolte. Nella lunga ora di Paolo Gentiloni al Quirinale spariscono i ministri di Denis Verdini dalla lista. Un ministro dall’aria mite come Zanetti? O due nomi legati a un ingombrante passato in forza come Marcello Pera e Saverio Romano, circolati per tutta la giornata? Colloquio lungo, interrotto da un po’ di contatti con l’esterno. Telefonate, valutazioni. In parecchi ricordano il precedente della formazione del governo Renzi, quando nello studio del capo dello Stato fu depennato dalla lista e sostituito da Andrea Orlando. O quando, ai tempi della formazione del governo Monti, nello studio di Napolitano passarono due ore, perché c’era il nodo delle deleghe di passera e la complessa mediazione con Berlusconi da un lato e Bersani dall’altro.

Stavolta il grosso delle telefonate è con i vertici del gruppo del Senato. Gentiloni e Zanda hanno un’antica consuetudine, sin dai tempi della giunta Rutelli che si occupò di Giubileo: “Verdini – è il senso del ragionamento condiviso – non lo reggiamo. Pezzi di gruppo si rifiutano di votare la fiducia. Ma i numeri li abbiamo senza Denis?”. Gentiloni offre a Verdini posti di ministri e sottosegretari, ma spiega che, con i ministri, salta l’equilibrio complessivo. Denis a quel punto fa uscire, come strumento di pressione, la dichiarazione che “Ala non voterà la fiducia”. All’uscita dal colloqui al Colle però i ministri di Denis non ci sono.

I numeri al Senato ballano. L’ultima fiducia sulla legge di Bilancio è passata con 173 sì la scorsa settimana, con l’apporto delle truppe di Ala (18 senatori). Sulla carta i verdiniani sono aggiuntivi, non sostitutivi, ma nella navigazione quotidiana – quando tra influenze, missioni, assenze mancano parecchi parlamentari – sono molto importanti. Prosegue il flusso di comunicazione tra Zanda e il neo premier: “Reggiamo anche senza Verdini, tra senatori sparsi di buona volontà e l’aiuto di qualcuno di Forza Italia”. Proprio ieri Silvio Berlusconi ha diramato le sue regole di ingaggio per i parlamentari che vanno in tv e anche per i suoi giornali: “Non usate toni duri, opposizione responsabile” verso l’ex ministro delle Comunicazioni del governo Prodi stimato dai vertici di Mediaset. Ma questo è un altro capitolo.

Tornando a Verdini: è un fardello pesante. Per i senatori della sinistra, ma anche in chiave di congresso. Renzi, alla scorsa direzione ha citato Pisapia e Pisapia insieme a Cuperlo e Merola sta lavorando su uno schema di sinistra docile non alternativa, ma stabile nell’orbita del renzismo. È difficile assecondare questo processo con le truppe di Verdini al governo. E chissà se è un caso che l’ingordo ha prospettato non un governo, ma una abbuffata, neanche fosse al governo con Berlusconi. Proponendo Zanetti, che per fare il ministro si è alleato con Verdini. Ma anche una casella di peso, di prima fascia (Istruzione, Agricoltura o Sanità) mettendo sul tavolo i nomi di Pera e Saverio Romano. Suggerisce un parlamentare di Ala: “Vediamo come apre Libero domani”. Libero è il quotidiano di Antonio Angelucci, parlamentare di Forza Italia e re delle cliniche in varie regioni, citato anche nel famoso fuorionda di Nemo da Vincenzo D’Anna, in relazione alla nomina dei commissari campani e dell’emendamento per De Luca. Quando iniziò la campagna referendaria, per schierare il giornale sul SI, cambiò addirittura il direttore.

Insomma, l’ingordigia. Il passaggio successivo è il rifiuto dei posti da viceministro e sottosegretari. Rabbioso, Denis chiama Renzi davanti ai parlamentari che riunisce a via Poli, uno sfogatorio: “Siamo rimasti fuori, non era questo il progetto”. Senza piatto ricco, le briciole non servono. Il risultato è in una battuta che circola a via Poli, sede di Ala: “Faremo opposizione al governo, come Renzi…”.
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“Spesometro” trimestrale per i liberi professionisti, per chi sgarra multe salate

Con l’approvazione in via definitiva del decreto Fisco, arriva una novità importante, che scatterà dal 1 gennaio 2017, per i liberi professionisti. Ovvero l’obbligo di comunicare al Fisco più volte l’anno i dati Iva relativi alla fatture emesse e ricevute. Nel 2017 questa comunicazione, che è stata già ribattezzata nuovo “spesometro”, dovrà essere fatta ogni sei mesi, quindi due volte l’anno, mentre dal 2018 diventerà trimestrale, quindi dovrà avvenire 4 volte l’anno. Ci saranno controlli più veloci da parte dell’Agenzia delle Entrate ma anche procedure più snelle per fare “pace” con il Fisco. Per chi però “sgarra” sono previste multe salate. Vediamo nello specifico di cosa si tratta.


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E Matteo Renzi segretario prepara la nuova scalata al Pd. La mission: evitare la congiura delle correnti

La prima cosa che un parlamentare renzianissimo chiede quando al telefono gli leggiamo il sondaggio di Scenaripolitici per Huffington Post secondo cui Matteo Renzi deve restare il leader per il 52 per cento degli elettori del centrosinistra è: “Ma gli altri sono uniti o no?”. Vale a dire: tra i vari Franceschini, Orlando, Bersani, Orfini e tutti gli altri, c’è un nome che spicca e c’è qualcuno che manca? Tradotto: alcune di queste aree figurano come alleate oppure no? Domande non casuali perché adesso che non è più premier, adesso che gli è rimasta solo la carica di segretario del Pd, Renzi vuole evitare la ‘congiura’ della varie correnti Dem contro di lui.

Domenica a Pontassieve con la famiglia. Black out totale con i media. Non è da Renzi. Gioca ad allontanarsi dal palcoscenico per poi tornare. Aveva finanche lasciato trapelare di voler disertare la direzione del Pd domani. Ma era solo un giochetto per vedere l’effetto che fa. È durato meno di 24 ore: domani al Nazareno il segretario ci sarà. L’obiettivo ultimo è restare sulla scena ma per farlo il segretario Dem scruta i movimenti interni al Pd, pur convinto che l’unica chiave sia guadagnare consenso fuori dal partito, con un giro di ri-legittimazione in camper a partire da metà gennaio, dopo una vacanza all’estero con la famiglia per le vacanze di Natale. Anche lì, black out totale o quasi: un’assenza che resta presenza.

“Ai milioni di italiani che vogliono un futuro di idee e speranze per il nostro Paese dico che non ci stancheremo di riprovare e ripartire. Ci sono migliaia di luci che brillano nella notte italiana. Proveremo di nuovo a riunirle. Facendo tesoro degli errori che abbiamo fatto ma senza smettere di rischiare: solo chi cambia aiuta un Paese bello e difficile come l’Italia”, scrive su Facebook alle 2 di notte, appena tornato a Pontassieve dopo le trattative romane sul governo.

Ad ogni modo, domani invece Renzi sarà al Nazareno e terrà la sua relazione alla direzione del Pd riunita per la seconda volta nel giro di questa settimana di crisi di governo post-referendum. All’ordine del giorno c’è la fiducia parlamentare da accordare – pare già mercoledì – al nuovo governo Gentiloni. Ma il segretario comincerà ad abbozzare la discussione sul congresso da sviluppare poi in assemblea nazionale domenica 18 (forse a Milano).

Il timing gli è chiaro. Partenza a metà gennaio, congressi nei circoli ma soprattutto primarie a metà marzo massimo, voto a giugno. Ciò che si muove o si potrà muovere nel Pd gli è meno chiaro. Dal giorno della sconfitta, le correnti sono in fermento. L’idea di disertare la direzione domani era anche un modo per prendere le distanze dalle correnti. Puntare subito fuori dal Pd, tra quegli elettori di centrosinistra che nei sondaggi lo riconoscono ancora come leader, rivolgersi a loro piuttosto che a un partito che ormai lo sopporta. In direzione lancerà la volata per il congresso e avvierà la resa dei conti con la minoranza del no.

Ma la riflessione che lo interroga è sulla sua maggioranza nel partito. Con Franceschini c’è una sorta di tregua armata. Subito dopo la sconfitta i primi sintomi del nuovo clima, il braccio di ferro sul voto subito o meno, il segretario costretto a frenare. Prima volta che ci riescono con Renzi. Ora nasce un governo Gentiloni, voluto dal segretario che in questo l’ha spuntata. E proprio domani, mentre la direzione nazionale del Pd sarà nel pieno della discussione, il premier incaricato potrebbe salire al Colle a sciogliere la riserva. Ma d’ora in poi come si muoveranno le correnti?

Un nome: Andrea Orlando. Il guardasigilli, che dovrebbe essere confermato al dicastero di via Arenula anche nel governo Gentiloni, non è più in ottimi rapporti con Matteo Renzi, da quando il disegno di legge sul processo penale è finito sul binario morto in Senato. Argomento troppo spinoso da affrontare in campagna referendaria, messo da parte come quello sulla tortura o il cognome materno. Invece Orlando continua ad avere buoni rapporti con Gianni Cuperlo e anche con Pier Luigi Bersani. Ora: tra Cuperlo che ha votato sì al referendum e Bersani che ha votato no, c’è un divario forse incolmabile. Tanto più che Cuperlo ha cominciato a muoversi insieme con la sinistra di Giuliano Pisapia, la sinistra del sì fuori dal Pd nell’ottica di una ricostruzione del centrosinistra. Tra Orlando e Bersani però qualche renziano comincia a non escludere alleanze in nome della vecchia ditta. Operazione “nostalgia Ds” la chiamano.

Renzi non la teme, convinto com’è di avere più capacità di leadership degli altri. Ma se ne guarda lo stesso. Per lui è vitale che le altre aree si presentino divise al congresso, che non si saldino su un unico nome contro il suo. Ecco il perché del camper in giro per l’Italia. “E’ tutto da costruire”, dice un fedelissimo. Renzi si prepara a ri-scalare il Pd con il solito aiuto da fuori. Promette giri in ogni federazione e tra i giovani, coloro che più di ogni altra fascia sociale gli hanno voltato le spalle al referendum. “Le primarie sono aperte”, ricordano i suoi, convinti che questo basti a legare la maggioranza del partito alla leadership di Renzi. A cominciare da Areadem di Franceschini.

Lo scenario a cui punta il segretario è ‘io contro lo spezzatino’, insomma. Certo si ritroverà come avversari i governatori Michele Emiliano ed Enrico Rossi. C’è chi fa anche il nome di Sergio Chiamparino, per completare il quadro dei presidenti di regione candidati alla segreteria. Ma “ognuno per conto suo e senza leader”, esulta il renziano cui abbiamo letto il sondaggio di Huffington Post. Basterà?

La scommessa è così aperta che, pur ragionando ormai in termini di proporzionale o semi-proporzionale per trovare al più presto un accordo con Berlusconi e andare al voto, nella cerchia del segretario non sono più tanto sicuri nemmeno di questo. “Se l’operazione di ricostruzione della leadership di Renzi dovesse andar bene, perché non insistere sul maggioritario”, ci dice un altro renziano di prima fascia. Forse perché si allungherebbero i tempi per andare al voto, sempre che sia semplice per Renzi staccare la spina al governo del suo fidato Gentiloni a primavera. Forse, la sfida più difficile.
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Davide Zoggia: “Matteo Renzi vuole ricandidarsi? Si dimetta da segretario

“Il Pd andrà a un congresso anticipato? A guidare la fase di transizione non può essere il segretario Renzi, soprattutto se ha intenzione di ricandidarsi.
Quando si dimise Bersani nel 2013 arrivammo al congresso con alla guida una figura di garanzia come Epifani”. È quanto afferma alla Stampa, Davide Zoggia, deputato dem ed esponente della minoranza bersaniana. “Servono regole chiare – spiega – che garantiscano tutti, un congresso dove si discuta cosa è successo il 4 dicembre e in questi anni di governo, e di come riconnettersi con un popolo di centrosinistra che ha voltato le spalle al Pd. Non vorrei che si andasse a un congresso in fretta solo per la volontà di rivincita di chi ha perso il referendum”.

“Il modello dell’uomo solo al comando – fa notare Zoggia – non ha funzionato, né al governo e meno che mai nel partito, che è in condizioni pessime, nonostante gli sforzi di Lorenzo Guerini. Noi pensiamo a una squadra, una leadership diffusa. E chiediamo di separare il segretario dal candidato premier. Il segretario per noi non dovrà essere scelto con primarie aperte”.
“Gentiloni – osserva quindi Zoggia – non rappresenta la discontinuità necessaria. Serve una svolta nelle politiche sociali, se il nuovo esecutivo sarà una copia del precedente non sarà possibile risalire la china. Bisogna cambiare le ricette che non hanno funzionato, a partire da Jobs Act, voucher e scuola”. “Il governo – sottolinea – deve fare le cose necessarie al Paese, senza limiti temporali legati ai desiderata di qualcuno”
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Istanbul: almeno 13 morti vicino a stadio Besiktas. Si segue pista curda

E’ di almeno 13 morti e decine di feriti il bilancio provvisorio di una forte esplosione verificatasi in serata ad Istanbul, vicino allo stadio di Besiktas. Secondo la stampa locale potrebbe trattarsi di un’autobomba e ci sarebbe stata una sola esplosione, e non due come si pensava all’inizio.

Sono soprattutto poliziotti antisommossa i coinvolti dall’esplosione. Secondo i media locali, si sarebbe trattato di un’autobomba contro un bus anti-sommossa delle forze dell’ordine.

L’attentato terroristico è avvenuto nello stesso giorno in cui il Parlamento ha iniziato ad esaminare il pacchetto di riforme costituzionali che porteranno la Turchia a essere una Repubblica Presidenziale come vuole da sempre il presidente Recep Tayyip Erdogan.

La pista principale è quella del terrorismo curdo, sia il Pkk che gli scissionisti del Tak infatti, utilizzano la tattica dell’autobomba per colpire le forze di sicurezza turche. A far cadere la pista Isis il fatto che i terroristi abbiano atteso il deflusso dei tifosi del Bursaspor per colpire, evitando così deliberatamente di colpire i civili e causare un’autentica strage.

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Ciriaco De Mita “Con il proporzionale non torna la prima repubblica”

Il ritorno al proporzionale “potrebbe essere utile, ma con un premio di maggioranza che solleciti le convergenze. Un premio però diverso da quelli del Porcellum o dell’Italicum: il premio deve sollecitare le aggregazioni, non sostituirsi al consenso, altrimenti è antidemocratico”. È quanto afferma al quotidiano la Stampa, Ciriaco De Mita, secondo cui parlare di ritorno alla Prima Repubblica è “una semplificazione poco adatta alla situazione dell’Italia di oggi. Un tentativo banale di capire un presente che sfugge alla comprensione e che si rivela nella sua impotenza”.

In ogni caso le coalizioni, spiega De Mita, andrebbero fatte “prima del voto, ma con la logica degasperiana i partiti diversi che si mettono insieme per fare qualcosa. Che è molto diverso dalle coalizioni della seconda repubblica, come l’Ulivo, nate solo per avere la maggioranza”.

Alla domanda se ritiene possibile l’ipotesi di un rientro a palazzo Chigi dello stesso Renzi, De Mita replica: “Se tornasse a palazzo Chigi trasmetterebbe l’idea che la politica non è una cosa seria”.

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Mps non ottiene la proroga Bce. Crolla il titolo. Fonti Tesoro: “Pronto il decreto per salvare la banca”

La notizia trapelata dalla Bce di un no alla proroga dei tempi per l’aumento di capitale e una giornata drammatica in Borsa hanno stretto in modo perentorio il sentiero di Mps verso il salvataggio. Ora il tempo è davvero agli sgoccioli e la soluzione passa sempre di più per il salvataggio pubblico, con il Tesoro che ha già messo a punto lo schema del decreto per salvare il Monte con denari pubblici. Il 31 dicembre è il termine ultimo per raccogliere i 5 miliardi di euro della ricapitalizzazione. La parola d’ordine è fare presto, una locuzione che si intreccia con la partita della formazione del nuovo governo, dove la vicenda Mps è piombata come un macigno. Al piano A, quello della soluzione di mercato, credono ancora i vertici della banca, che nel corso del cda che si è tenuto a Milano hanno deciso di andare avanti con questa opzione, ma l’aggiornamento della stessa riunione del cda a domenica pomeriggio, quando probabilmente avrà giurato il nuovo esecutivo, rende evidente che chi guida Mps sta di fatto prendendo tempo in attesa che il quadro politico si stabilizzi.

Una giornata drammatica per Rocca Salimbeni a piazza Affari. Dopo una raffica di sospensioni, il titolo ha chiuso a -10,5 per cento. L’ombrello dello Stato è pronto ad aprirsi per contribuire a una fetta importante della ricapitalizzazione, subentrando nel ruolo di garante al consorzio bancario guidato da JPMorgan e Mediobanca. Di fatto spetterà allo Stato fare da garante di ultima istanza per l’acquisto dell’inoptato, cioè tutto quel nuovo capitale che non troverà un riscontro positivo sui mercati. Qui si inseriscono le aspettative dei vertici della banca di non far tramontare del tutto il piano A. Si lancerà l’aumento di capitale in un contesto dove un nuovo governo, un nuovo premier e il decreto del governo che disegna l’ombrello protettivo potranno giocare una funzione di stimolo nei confronti degli investitori, a iniziare dal fondo del Qatar, che potrebbero così contribuire alla partita dell’aumento di capitale. L’amministratore delegato, Marco Morelli, avrebbe esposto al cda l’idea di lanciare l’aumento di capitale la prossima settimana riaprendo la conversione dei bond subordinati retail. In questo modo i risparmiatori potrebbero contribuire all’aumento di capitale fino a due miliardi e la restante parte verrebbe coperta dal miliardo già in cassa con la conversione volontaria dei bond e dall’intervento del fondo del Qatar e del mercato.

Qualora l’avventura sui mercati dovesse andare male, ecco pronta la rete protettiva del Tesoro. Una soluzione che si declina attraverso la cosiddetta ricapitalizzazione precauzionale, prevista dall’articolo 32 della direttiva Ue sulle banche e autorizzata per gli istituti, come Mps, che non hanno superato gli stress test, senza tuttavia risultare insolventi.

Come si articola l’intervento del Tesoro? XX settembre sottoscriverebbe l’aumento precauzionale per la quota mancante rispetto ai 5 miliardi da raccogliere. Siena ha già raccolto 1 miliardo dalla conversione volontaria dei bond in azioni. Altri due miliardi verrebbero raccolti attraverso la conversione forzata delle obbligazioni subordinate in mano al retail, mentre un miliardo dalla conversione dei bond in mano agli investitori istituzionali. Operazioni che daranno vita alla nazionalizzazione della banca più antica del mondo: il Tesoro, già azionista con il 4%, salirebbe al 20 per cento.

Il decreto è pronto nelle sue linee generali e si lavora intanto alla soluzione del nodo principale, cioè come tutelare i circa 40mila piccoli risparmiatori che sono possessori di oltre 2 miliardi di obbligazioni subordinate. L’operazione di salvataggio pubblico prevede, infatti l’acquisto da parte dello Stato di questi bond, che saranno poi convertiti in azioni. Il nodo è rappresentato appunto dall’entità e dalle modalità del risarcimento che deve essere corrisposto a questi risparmiatori che vedranno appunto azzerarsi il valore delle obbligazioni detenute.

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