Dodici addii di peso in sei mesi: il Campidoglio ai tempi di Virginia Raggi. Tanto caos sulle nomine e pochi provvedimenti

Sei mesi, poco meno di duecento giorni, vissuti ad altissima tensione. Sembra di trovarsi sulle montagne russe e invece si è in Campidoglio ai tempi di Virginia Raggi, dove per esempio in un solo giorno si sono registrate anche cinque dimissioni di peso. Tanto caos che ha gettato la Giunta capitolina in un pantano da cui il sindaco prova a uscire ma con grande difficoltà. In rari casi il sindaco è entrato in contatto con la città, a parte alcuni blitz con l’allora assessore Paola Muraro per verificare, di persona, pulizia e decoro, e in particolare il corretto smaltimento dei rifiuti. Al di là di queste apparizioni popolari, il primo semestre del Movimento 5 Stelle alla guida di Roma sarà ricordato più per le nomine firmate con relative marce indietro, che per i provvedimenti messi a punto dalla Giunta capitolina, che segnano in pratica un nulla di fatto e una svolta ancora molto lontana rispetto agli annunci sbandierati in campagna elettorale.

Come primo atto Virginia Raggi sceglie di avere Daniele Frongia capo di Gabinetto, tuttavia vengono subito sollevati dubbi di compatibilità con la legge Severino essendo stato consigliere comunale nella precedente amministrazione. Dubbi che vengono successivamente fugati ma Raggi intanto ha deciso di averlo al suo fianco come vicesindaco e gli viene revocato l’incarico. Al suo posto arriva Carla Raineri, giudice della Corte di Appello di Milano. Si dimetterà a seguito di un parere dell’anticorruzione che contesta un errore nel tipo di contratto scelto dal Campidoglio per inquadrare il suo ruolo. In pratica la retribuzione concordata era troppo alta. “Lo stipendio non c’entra – spiega il magistrato – pensavo di dover garantire la legalità, ma la verità è un’altra”. A seguire, nello stesso giorno, arrivano le dimissioni del super-assessore al Bilancio, Marcello Minenna, dirigente della Consob. Per lui erano venute meno le condizioni politiche per continuare in assenza del magistrato a capo di Gabinetto, con cui lavorava in tandem. Poche ore dopo si registrano le dimissioni del direttore generale e dell’amministratore unico di Atac Marco Rettighieri e Armando Brandolese, e dell’amministratore unico di Ama, l’azienda rifiuti, Alessandro Solidoro.

All’inizio dell’amministrazione targata 5Stelle, Raffaele Marra viene nominato vice capo di Gabinetto vicario. Si scatena una polemica interna al Movimento: il dirigente comunale in passato ha avuto ruoli apicali sia con la giunta comunale di Gianni Alemanno che con quella regionale di Renata Polverini. Viene considerato uno del “Raggio Magico”, cioè un uomo che influenza le scelte del sindaco, così viene descritto dalla stessa Raineri. Adesso Marra si trova in carcere per corruzione, avrebbe ricevuto una tangente nel 2013 dall’immobiliarista Sergio Scarpellini quando era a capo del dipartimento per le Politiche abitative. Prima però che scoppiasse lo scandalo giudiziario, Marra era stato trasferito, in seguito sempre alle polemiche all’interno del Movimento, a capo del personale ed è finito sotto accusa per la promozione del fratello Renato a capo del dipartimento Turismo.

Tornando all’assessorato al Bilancio, la sostituzione è complicata. La sindaca nomina Raffaele De Dominicis, ex procuratore generale della Corte dei Conti del Lazio. Dura in carica due giorni: si scopre che è indagato per abuso d’ufficio e quindi Raggi ne revoca l’incarico. Al suo posto arriverà Andrea Mazzillo, ex Pd e anche lui finito nel mirino degli ortodossi. Mentre Massimo Colomban, uomo di Davide Casaleggio imposto dai vertici per sanare una situazione allo sbando, va alle Partecipate.

Tra veti e scontri all’interno del Movimento dove l’ala ortodossa, compreso Beppe Grillo, ha chiesto al sindaco di azzerare il ‘Raggio Magico’, formato in particolare da Raffaele Marra e Salvatore Romeo, arriva su quest’ultimo il parere dell’anticorruzione: lo stipendio è troppo alto. Con una delibera ad hoc viene ridimensionato da 120mila a 93mila euro. E poi ancora nella notte tra lunedì 12 e martedì 13 dicembre l’assessore all’Ambiente Paola Muraro, difesa anche lei dalla sindaca contro tutto e tutti, rassegna le dimissioni dopo aver ricevuto un avviso di garanzia nell’ambito dell’inchiesta sui rifiuti. Sotto la lente di ingrandimento della Procura ci sono i rapporti tra l’allora consulente di Ama e il duo Fiscon-Panzironi travolti nell’inchiesta di Mafia Capitale.

In tutto questo marasma inizia a scricchiolare la poltrona di Paolo Berdini, assessore all’Urbanistica entrato in rotta di collisione con la maggioranza. Come se non bastasse il 15 dicembre la Guardia di Finanza entra in Campidoglio e acquisisce una serie di atti e documenti relativi alle nomine di dirigenti dell’amministrazione Raggi. Il blitz degli investigatori è legato all’inchiesta della Procura di Roma che procede contro ignoti per verificare la regolarità delle nomine dei dirigenti Raffaele Marra, Carla Raineri, Salvatore Romeo decise dal sindaco Raggi. Il giorno dopo Marra viene arrestato con l’accusa di aver intascato una tangente nel 2013 quando in Campidoglio era a capo del dipartimento per le politiche abitative. Da questo momento in poi Grillo “minaccia” Raggi di toglierle il simbolo del Movimento 5 Stelle. Il sindaco si arrende e rinuncia, dopo tante pressioni, al suo ‘Raggio magico’. Daniele Frongia si dimette da vice sindaco e al suo posto arriva l’assessore Luca Bergamo. Anche Salvatore Romeo è costretto a lasciare la segretaria.

Andando invece agli atti rivendicati in questi mesi dal comune Roma vi è in particolare lo sblocco del salario accessorio, garantendo circa 300 euro in più in busta paga ai dipendenti comunali. Poi ancora la lotta all’abusivismo. La sindaca ha chiesto infatti al Comandante della Polizia Locale di intensificare il contrasto ai parcheggiatori abusivi. L’amministrazione ha chiesto anche un aumento della videosorveglianza e della presenza dei vigili sul territorio nell’ambito del ‘piano sicurezza’ della Capitale. Ancora da Palazzo Senatorio sottolineano che entro settembre 2017 sarà aperta la stazione della metro San Giovanni come proseguimento della linea C1, tuttavia si tratta di un progetto già approvato dalla vecchia amministrazione. Invece l’attuale Giunta capitolina ha bloccato la prosecuzione. Infine il trasporto pubblico: sono stati presentati i primi 25 bus consegnati ad Atac, su un totale di 150 che andranno a rinnovare la flotta dell’azienda dei trasporti romana. Da menzionare infine il tormentato No alle Olimpiadi annunciato dal sindaco.

Fino a questo momento, ogni giorno la Giunta guidata da Virginia Raggi, eletta con il 67% dei voti dei romani, ha dovuto affrontare un guaio. Ora però si teme quello più pericoloso. Cioè che il sindaco possa essere raggiunta da un avviso di garanzia dopo che l’Autorità anticorruzione ha dichiarato illegittima la nomina di Renato Marra, fratello di Raffaele, a capo del dipartimento del Turismo a causa di un presunto conflitto di interessi di cui Raggi era a conoscenza. I vertici pentastellati ragionano già su come affrontare la nuova grana.

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Pillola del giorno dopo, un’assoluzione del Tribunale di Gorizia apre la questione dell’obiezione di coscienza fra i farmacisti

Il tribunale di Gorizia ha assolto una farmacista accusata di omissione o rifiuto di atti d’ufficio perché aveva negato la pillola del giorno dopo. È la prima volta che accade. I fatti risalgono a tre anni fa: la cliente si era presentata con prescrizione medica, rilasciata con l’indicazione di assumere il farmaco in giornata. Ma la collaboratrice della farmacia comunale aveva invocato l’obiezione di coscienza. Le motivazioni dei giudici verranno presentate nelle prossime settimane.

Sull’obiezione di coscienza dei farmacisti giace da maggio scorso alla Camera una proposta di legge a firma dei deputati Gian Luigi Gigli, presidente del Movimento per la Vita, e Mario Sberna, entrambi di Democrazia Solidale – Centro Democratico. Per consentire a chiunque lavori in una farmacia, pubblica o meno, “di rifiutarsi, per motivi di coscienza, di consegnare a chi glielo richieda, anche esibendo prescrizione medica”, qualsiasi dispositivo “che il professionista giudichi atto a produrre effetti anche potenzialmente abortivi” o “prescritto ai fini della sedazione terminale”.

Non esattamente la posizione di Federfarma, la Federazione nazionale che rappresenta oltre 16.000 farmacie private convenzionate con il Servizio sanitario nazionale. “L’obiezione di coscienza non è contemplata ed è giusto che sia così”, dice la presidente, Annarosa Racca. “La pillola del giorno dopo e la pillola dei cinque giorni dopo non sono farmaci abortivi, ma contraccettivi di emergenza, che ritardano o inibiscono l’ovulazione”, aggiunge Federconsumatori. Annarosa Racca assicura che quello di Gorizia è “un caso isolato”. “Tra il 2014 e il 2016 le vendite sono cresciute di oltre il 660%: è evidente che le farmacie fanno il loro dovere”.

Ma quanti sono i farmacisti obiettori in Italia? “Tanti, sicuramente più di quanti hanno il coraggio di dirlo”, assicura Piero Uroda, presidente dell’Unione Cattolica Farmacisti Italiani e titolare di una farmacia a Fiumicino. “Io l’ho sempre detto. Mi hanno denunciato e mi hanno prosciolto in istruttoria”, dice. “Sappiamo di essere in minoranza, e non tutti abbiamo la volontà di porgere la faccia agli sputi come ha fatto nostro Signore”.

“Ci arrivano molte chiamate di donne che incappano in questi episodi”, racconta dal fronte opposto Elisabetta Canitano, presidente dell’associazione Vita di Donna e ginecologa presso la Asl Roma D. “L’ultima donna con cui ho parlato io era in lacrime. Più che obiezione fanno ostruzionismo: se una ragazza arriva chiedendo di prendere la pillola del giorno dopo, magari un po’ spaesata, la rimandano al mittente anche se maggiorenne. Quello che consigliamo è di presentarsi sicure e dire: ho più di diciotto anni, questo è il mio documento, devo acquistare la pillola del giorno dopo”.

Già, perchè la ricetta non è neanche più necessaria per chi è maggiorenne. L’obbligo è stato abolito da maggio 2015 per la EllaOne, mentre per la Norlevo, in vendita in Italia da più di dieci anni, è caduto a marzo. “Dovevano essere finiti quei tempi in cui le donne andavano in giro di notte tra ospedalieri ostili, medici obiettori e lavate di cervello perché ‘che fai, fai sesso e adesso la vuoi risolvere così semplicemente?’. Non voglio parlare male dell’intera categoria dei farmacisti, anzi”, dice la dottoressa Canitano. “Ma contesto questo desiderio di decidere e di autonomia. Se uno vuole decidere cosa deve prendere un paziente fa il medico, non il farmacista. Siamo noi che curiamo i pazienti, non loro”.

“Chiediamo di non essere disturbati ed essere tutelati”, risponde Piero Uroda. “Non dobbiamo perdere posti di lavoro e non ci deve essere discriminazione. Se un farmacista ritiene che quello che gli si sta chiedendo è ammazzare un essere piccolo, ma con un’anima, deve poter non essere complice. L’aborto è un delitto”. L’Agenzia Italiana del Farmaco spiega che la pillola del giorno dopo è un contraccettivo, che agisce inibendo o spostando l’ovulazione in avanti di qualche giorno. Ma gli obiettori di coscienza non ci stanno: “Il maestro delle bugie è il diavolo”, dice Uroda. “L’effetto antinidatorio vuol dire che l’endometrio, che è il tessuto in cui l’ovulo concepito si attacca e comincia a nutrirsi, invece che spugnoso diventa impermeabile. L’ovulo non attacca e viene quindi espulso con l’urina. Ma quella cellula è già un’anima”. E gli studi della comunità scientifica? “Falsi”.

E l’autodeterminazione della donna? “Pensa che una donna possa entrare in una banca, fare una rapina ed essere considerata non colpevole?”. L’interruzione di gravidanza entro i tre mesi in Italia è legale. “Lo dice lei. La legge 194 è stata interpretata in modo lassista: l’aborto è legale solo in caso di pericolo, come per le gravidanze extra-uterine. E poi la donna ci deve pensare prima. Ti sei portata un uomo in casa, all’ultimo dici di no e subisci violenza? Ci dovevi pensare prima. Se non vuoi un bambino sai come fare. La sessualità esagerata comporta rischi per tutti. Per le ragazze è più facile non sapere nemmeno cosa hanno in testa. Bisogna educare alla castità e all’affetto, non a giocare col sesso e con le pornografie”. E in caso di stupro? “Devono portare avanti la gravidanza e poi, eventualmente, dare quel figlio a terzi”. E quei nove mesi come li passa, quella donna? “Figliola mia… C’è tanta gente che passa mesi brutti…”.
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Attentato Berlino, il video del tir che travolge la folla del mercatino di Natale

Prima il tir che corre a tutta velocità, poi le persone che fuggono e infine il camion ribaltato dopo l’attentato. Sono le ultime immagini dell’attacco dello scorso 19 dicembre nel mercatino di Natale di Breitscheidplatz, a Berlino, riprese da un tassista che stava aspettando i clienti vicino la chiesa Kaiser Wilhelm.


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Anis Amri, il presunto attentatore di Berlino, minacciò detenuto cristiano: “Ti taglio la testa”

Violento, pronto a soffiare sul fuoco della protesta, secondo diverse ricostruzioni poco religioso, ma da un certo punto in poi incline a comportamenti sospetti, assimilabili a quelli di un soggetto che medita un percorso di radicalizzazione e manifesta forme di adesione ideale al terrorismo di matrice islamica. È il profilo di Anis Amri, il super ricercato per l’attentato di Berlino.
Dire quanto questo sia jihadismo, è difficile. I fatti dicono però che un compagno di carcere detenuto con lui ad Agrigento, con cui aveva frequenti contrasti, lo descrisse come “un terrorista islamista che mi terrorizza per convertirmi all’Islam” e dichiarò che Amri lo vessava e lo minacciò di volergli tagliare la testa “perché io sono cristiano”. Per questo nel novembre 2014 il Dipartimento amministrazione penitenziaria mise Amri sotto osservazione e lo segnalò al Comitato analisi strategica antiterrorismo. E per questo in una nota redatta nel giugno 2016, quindi dopo la sua scarcerazione, dalla Digos di Catania Amri viene tratteggiato come un “personaggio di indole violenta, carismatico, di stretta osservanza dei principi religiosi islamici”.

A parlare di una sua possibile radicalizzazione in carcere è stato oggi uno dei fratelli del presunto attentatore, Abdelkader Amri, parlando con la Bild. Gli episodi concreti sono però da ricondurre alle minacce rivolte al compagno di detenzione e ad un’altra circostanza: Amri in carcere frequentava solo tunisini come lui, legando solo con alcuni di loro, “mai segnalati” però “per atteggiamenti riconducibili al fenomeno del proselitismo di matrice confessionale”. La Procura di Palermo sta tentando di ricostruire il periodo trascorso in Sicilia: i pm hanno aperto un fascicolo di “atti relativi”, ancora dunque non un’indagine vera e propria. Delegati alla Digos i primi accertamenti.

Le carte sulla ‘storia’ carceraria dell’uomo, sbarcato nella primavera 2011 a Lampedusa, dicono che fu arrestato dai carabinieri il 23 ottobre 2011 nel centro di accoglienza di Belpasso, nel catanese: con altri 4 immigrati aveva appiccato il fuoco nel centro e aggredito un operatore. Una protesta – dissero loro stessi – contro il prolungarsi dell’iter per ottenere lo status di rifugiato. Amis fu condannato a 4 anni di reclusione per danneggiamento a seguito di incendio, lesioni, minaccia, appropriazione indebita. Da qui inizia una vicenda di detenzione segnata da numerosi episodi critici: “Era segnalato e tenuto sotto stretta osservazione come un detenuto violento e riottoso”, afferma il segretario del Sappe Donato Capece.

L’amministrazione penitenziaria ha censito 12 procedure disciplinari, dall’ammonizione del direttore all’esclusione dalla attività in comune con altri detenuti. Il primo episodio è del 28 maggio 2013 per abbandono ingiustificato di posto. Lo stesso anno Amri è segnalato per intimidazione e sopraffazione dei compagni e atteggiamenti offensivi. Nel 2014 altri 7 casi: tre per promozione di disordini e sommosse, due per intimidazioni e sopraffazione dei compagni, uno per inosservanza degli ordini e uno per “altri reati”. Nel 2015, infine, due casi per atteggiamento molesto verso i compagni. Questo comportamento ha fatto sì che Amri sia stato spostato da un carcere all’altro per motivi di sicurezza. Dal Lanza di Catania il 1 giugno 2012 passa al Bodenza di Enna dove resta sei mesi: qui partecipò anche a uno spettacolo teatrale organizzato in carcere. Poi l’11 dicembre fu spostato a Sciacca dove resta un mese e mezzo. Il 31 gennaio 2014 passa ad Agrigento che lascia 9 mesi dopo per il Pagliarelli di Palermo dove sconta 4 mesi prima di essere nuovamente trasferito il 10 gennaio 2015 all’Ucciardone, sua ultima destinazione carceraria. Lo spostamento fu disposto “per gravi e comprovati motivi di sicurezza” come prevede l’art. 42 dell’ordinamento penitenziario.
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Papa Francesco sulla riforma della curia: “Ci sono resitenze malevole”

“Non sono le rughe che nella Chiesa si devono temere, ma le macchie!”. Così il Papa nel discorso alla Curia Romana, dedicato al tema della riforma. “È necessario ribadire con forza che la riforma non è fine a se stessa, ma è un processo di crescita e soprattutto di conversione. La riforma, per questo, non ha un fine estetico, quasi si voglia rendere più bella la Curia; né può essere intesa come una sorta di lifting, di maquillage oppure di trucco per abbellire l’anziano corpo curiale, e nemmeno come una operazione di chirurgia plastica per togliere le rughe”.

In questa prospettiva, ha spiegato Francesco, “occorre rilevare che la riforma sarà efficace solo e unicamente se si attua con uomini ‘rinnovati’ e non semplicemente con ‘nuovi’ uomini. Non basta accontentarsi di cambiare il personale, ma occorre portare i membri della Curia a rinnovarsi spiritualmente, umanamente e professionalmente”.

“La riforma della Curia non si attua in nessun modo con il cambiamento delle persone – che senz’altro avviene e avverrà – ma con la conversione nelle persone”, ha proseguito. “In realtà, non basta una formazione permanente, occorre anche e soprattutto una conversione e una purificazione permanente. Senza un mutamento di mentalità lo sforzo funzionale risulterebbe vano”, ha aggiunto. Secondo il Pontefice, “essendo la Curia non un apparato immobile, la riforma è anzitutto segno della vivacità della Chiesa in cammino, in pellegrinaggio, e della Chiesa vivente e per questo semper reformanda, reformanda perché è viva”.

Contro la riforma, ha detto il Papa, possono esserci “diverse tipologie di resistenze: le resistenze aperte, che nascono spesso dalla buona volontà e dal dialogo sincero; le resistenze nascoste, che nascono dai cuori impauriti o impietriti che si alimentano dalle parole vuote del ‘gattopardismo’ spirituale di chi a parole si dice pronto al cambiamento, ma vuole che tutto resti come prima; esistono anche le resistenze malevole, che germogliano in menti distorte e si presentano quando il demonio ispira intenzioni cattive (spesso ‘in veste di agnelli’).

Parlando poi del Natale, Papa Francesco ha detto “Dio ha scelto di nascere piccolo, perché ha voluto essere amato. Ecco come la logica del Natale è il capovolgimento della logica mondana, della logica del potere, della logica del comando, della logica fariseistica e della logica causalistica o deterministica”. Lo ha detto papa Francesco nel suo discorso ai cardinali e ai superiori della Curia Romana, ricevuti nella Sala Clementina per gli auguri natalizi.

Il Natale, ha affermato Francesco, “è la festa dell’umiltà amante di Dio, del Dio che capovolge l’ordine del logicamente scontato, l’ordine del dovuto, del dialettico e del matematico”. “Nel Natale – ha osservato – noi siamo chiamati a dire ‘sì’, con la nostra fede, non al Dominatore dell’universo e neppure alle più nobili delle idee, ma proprio a questo Dio, che è l’umile-amante”.

E citando Paolo VI, ha sottolineato che Dio “è venuto come il più piccolo degli esseri, il più fragile, il più debole. Perché questo? Ma perché nessuno avesse vergogna ad avvicinarlo, perché nessuno avesse timore, perché tutti lo potessero proprio avere vicino, andargli vicino, non avere più nessuna distanza fra noi e Lui”.
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Terrorismo, un tavolo di unità nazionale per la sicurezza

Dopo l’attacco di Berlino, il Governo ha deciso di prorogare le misure straordinarie messe in campo per il Giubileo. La comunicazione è stata data dal premier Paolo Gentiloni che ha incontrato a Palazzo Chigi i capigruppo di maggioranza ed opposizione in una riunione anti-terrorismo.

Il clima che si respira a Roma è di massima allerta e preoccupazione in Italia, dopo l’attacco di Berlino. Con un’iniziativa resa pubblica questa mattina, Gentiloni ha convocato a Palazzo Chigi una riunione interparlamentare di tutti i gruppi politici di maggioranza e opposizione, durata un’ora e mezza circa ,e terminata intorno alle 19,30. Potremmo definirlo un vero e proprio “tavolo di unità nazionale sulla sicurezza” cui erano presenti oltre al premier, il ministro dell’Interno Marco Minniti, il ministro della Difesa, Roberta Pinotti, il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Anna Finocchiaro, e il capo del Dis (organismo di coordinamento dei servizi segreti), Alessandro Pansa. Ci sono state due relazioni: quella di Gentiloni e quella di Minniti.

Alla fine bocche cucite sul contenuto e nessun comunicato da Palazzo Chigi. Ma sia il capogruppo del Pd Ettore Rosato che il suo omologo Renato Brunetta di Forza Italia hanno voluto sottolineare che l’incontro dimostra l’unità del Paese e di tutti i partiti su temi che riguardano la sicurezza.

Rosato ha aggiunto che c’erano stati incontri simili anche con il governo Renzi, ed in effetti ciò è avvenuto dopo alcuni attacchi all’estero. Brunetta ha ricordato che il format del tavolo era stato voluto da Forza Italia. Ma nient’altro. “Relazioni serie, responsabili, esaustive ci richiedono altrettanta serietà e responsabilità”, ha concluso Brunetta.

I DATI SUI TERRORISTI ISIS IN EUROPA – Gli ultimi dati pubblici disponibili forniti da EUROPOL (Rapporto del 1 dicembre 2016 ) mostrano che nel 2015 ,150 persone sono state uccisi in attacchi terroristici dell’ISIS in Europa , attacchi che sono cresciuti da 4 nel 2014 a 667 nel 2015. Lo stesso Rapporto sostiene che “secondo le stime dei servizi segreti molte dozzine di persone dirette dall’ISIS sono presenti in Europa e hanno le capacità di compiere attentati”.
Esistono tuttavia rapporti “segreti” in mano alla UE (cui hanno contribuito servizi russi ed israeliani) per cui sarebbero addirittura un migliaio gli uomini guidati dall’ISIS che potrebbero colpire. La minaccia può arrivare anche dai foreign fighters (circa 120 quelli che hanno avuto a che fare con l’Italia).

NATALE E CAPODANNO A ROMA – Minniti da parte sua ha presieduto anche un’altra riunione, quella del Comitato provinciale per l’Ordine e la Sicurezza , convocato a palazzo Valentini per la situazione di Roma in vista delle imminenti festività natalizie e delle manifestazioni di fine d’anno come il Concertone. Presenti: il capo della Polizia, Franco Gabrielli, il prefetto, il sindaco Virginia Raggi, il vicesindaco , alcuni assessori , e i vertici provinciali delle forze di Polizia. Sono stati decisi più controlli sui TIR e nuovi orari per il trasporto merci in città.

Poco visibili, ma pronti ad intervenire in caso di emergenza, sono presenti nelle città principali città a cominciare dalla Capitale anche gli specialisti delle Unità operative di primo intervento (Uopi) della polizia di Stato e delle Aliquote di primo intervento (Api) e delle Squadre operative di soccorso (Sos) dei Carabinieri. Si tratta di team che si muovono a bordo di mezzi completamente blindati, formati dopo una dura preparazione ed equipaggiati con giubbotti antiproiettile a prova di kalashnikov, bodycam, sistema a puntamento laser, arma lunga Hk.

AISE, NON ALLARMI MA RISCHI – Non ci sono allarmi specifici su progetti di attentati in Italia, ha segnalato oggi il direttore dell’Aise (Agenzia informazioni e sicurezza esterna.), Alberto Manenti, in audizione al Copasir, il Comitato parlamentare di controllo sull’intelligence.Il suo presidente,Giacomo Stucchi, al termine ha posto il problema della delega governativa sui servizi e ha dichiarato: “Il premier Paolo Gentiloni non ha ancora assegnato le deleghe all’intelligence, dopo la nomina di Marco Minniti a ministro dell’Interno .Vedremo cosa accadrà ,ma fare il presidente del Consiglio ed avere contemporaneamente la delega ai servizi significa, ad esempio, essere presente al Copasir e dirigere l’attività del Governo. Sono due lavori delicati e pesanti, non a caso si è sempre preferito affidare le deleghe”.

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Andrea Bocelli rifiuta di esibirsi per Donald Trump dopo le polemiche. Ma il presidente ribatte: “Mai invitato”

L’ira dei fan avrebbe convinto Andrea Bocelli a non esibirsi alla cerimonia di insediamento di Donald Trump: a riferirlo sono alcune fonti al New York Post, secondo le quali il tenore italiano ha deciso di fare un passo indietro perché “la situazione si stava animando troppo”.

Nei giorni scorsi, dopo che si è diffusa la notizia di una sua possibile esibizione a Washington il 20 gennaio, i suoi fan sono insorti minacciando di boicottarlo e lanciando l’hashtag #BoycottBocelli. “Secondo Trump Bocelli non canterà a causa del contraccolpo della notizia – hanno affermato le fonti – e ha sottolineato come sia triste che la gente di sinistra faccia sì che non si esibisca in un giorno storico”.

Il presidente in pectore è un grande sostenitore del tenore, che ha già cantato per lui ad una festa privata nel suo resort Mar-a-Lago, in Florida. I due si sono anche incontrati di persona la settimana scorsa alla Trump Tower, come ha confermato la consigliera del tycoon, Kellyanne Conway.

In seconda battuta tuttavia pare che The Donald abbia tuonato di non aver mai chiesto ad Andrea Bocelli di esibirsi per la cerimonia di insediamento a Washington: lo ha detto Tom Barrack, presidente del Presidential Inaugural Committee, in un’intervista a Cnbc.

“Bocelli e la moglie sono amici di Trump”, ha affermato, precisando che il tenore avrebbe preso in considerazione l’idea di esibirsi se il tycoon glielo avesse chiesto. “Ma Donald gli ha detto: ‘non c’è bisogno, grazie per l’offerta, sarai sempre benvenuto alla Casa Bianca”, ha continuato a raccontare Barrack. Commentando le notizie dei media Usa secondo le quali Bocelli avrebbe rifiutato di cantare, ha poi sottolineato: “Le cose non sono mai arrivate al ‘puoi venire… verrai…
verresti…’ sono solo grandi amici, ecco tutto”.

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M5S, fra tre mesi Roberto Fico sarà capogruppo alla Camera. Gli ortodossi prendono la guida dei gruppi parlamentari

Il cambio di passo, o per lo meno di umore, all’interno del Movimento 5 Stelle lo segnano i deputati: Roberto Fico sarà il nuovo vicecapo gruppo alla Camera. In gergo grillino questo si traduce nel fatto che fra tre mesi sarà il nuovo capogruppo. Sarà dunque lui a guidare i deputati nel momento più critico della legislatura, quello che secondo i rumors potrebbe portare al voto. Fico, diviso ormai da Luigi Di Maio da visioni del Movimento contrapposte, ha già sfidato il ‘delfino’ di Beppe Grillo nella corsa alla candidatura a premier e da capogruppo potrebbe guidare i deputati riportandoli all’idea originale del Movimento, quella dell’uno vale uno. Come ha spiegato di recente, in un solo concetto: “Senza personalismi”. Con Fico capogruppo, dopo che il Direttorio a causa delle beghe interne al Movimento non esiste più, potrebbe essere inaugurato un nuovo corso, dove a farne da padrone potrebbe esserci un testa a testa tra Fico e Di Maio, che nei fatti è già iniziato con il ‘caso Roma’ che non accenna a placarsi.

Dopo che il sindaco Virginia Raggi ha nominato Luca Bergamo suo vice e Pinuccia Montanari assessore all’Ambiente, quando tutto doveva ripartire sulla strada giusta, una nuova bomba le è scoppiata tra le mani. L’Organismo di revisione dei conti della Capitale (Oref) ha sonoramente bocciato il Documento unico di programmazione contenuto nel bilancio di previsione del Campidoglio, poiché “non chiaro negli obiettivi di gestione da raggiungere”. I revisori, valutando il Dup proposto dalla Giunta Raggi, spiegano che “pur mostrando una tendenza verso politiche di contenimento della spesa, tuttavia non evidenzia in modo esaustivo gli obiettivi di gestione, nei quali si declinano politiche, programmi e progetti dell’ente rilevabili nel breve periodo, in termini di efficacia ed efficienza”.

Inoltre “non sono espresse le politiche da adottare circa il recupero delle entrate, più volte oggetto di raccomandazione dei Revisori e che costituisce uno degli aspetti più drammatici e critici di Roma Capitale”. Insomma il documento redatto dall’assessore al Bilancio Andrea Mazzillo, che Raggi avrebbe voluto come vicesindaco salvo subire lo stop di Grillo, è da rifare e con grande imbarazzo Marcello De Vito, presidente dell’assemblea capitolina, ha dovuto sospendere la seduta poiché non era possibile andare avanti nel dibattito. Mentre i gruppi di opposizione hanno cominciato a urlare “a casa, a casa”, il capogruppo M5S Paolo Ferrara difende la Giunta dicendo che “il Pd in testa è senza pudore. Applaudono su uno scenario difficile che hanno creato loro stessi nel corso degli anni, con amministrazioni di opposto colore politico ma di uguale risultato: una situazione drammatica per la Capitale, che stiamo cercando con tutte le forze di risolvere”. Ciò non toglie però che il documento, secondo l’Oref, è stato redatto in modo sbagliato. Dunque, un nuovo stallo, che si somma a tutte le altre nomine da portare ancora a termine.

Per questa ragione Beppe Grillo e Davide Casaleggio continuano a tenere gli occhi aperti sul Campidoglio. Il garante del M5S e il figlio del cofondatore del Movimento, che ormai riveste un ruolo sempre più di primo piano, in queste ore continuano a lavorare sulle vicende capitoline, dopo l’ultima burrasca che ha portato all’arresto di Raffaele Marra e a un millimetro dalla rottura Virginia Raggi. Così il sindaco sarà affiancata da due fedelissimi dei vertici 5 Stelle: i deputati Alfonso Bonafede e Riccardo Fraccaro, quest’ultimo nominato di recente ‘probiviro’, ovvero chiamato a decidere con i colleghi Paola Carinelli e Nunzia Catalfo dei procedimenti disciplinari interni ai 5 Stelle.

Fraccaro e Bonafede, negli ultimi due giorni hanno fatto la ‘spola’ tra Campidoglio e Montecitorio. I due fanno parte del gruppo di supporto ai Comuni del M5S, da cui la città di Roma era esclusa, ma data l’emergenza e considerato che il mini-direttorio, a causa di numerose incomprensioni non esiste più, saranno gli occhi Grillo sulla Capitale. Raggi ha dichiarato di non sentirsi commissariata, ma le scelte delle ultime ore sembrano convergere tutte in questa direzione, anche perché è da Roma che passa la possibilità che i 5Stelle arrivino a Palazzo Chigi. Chi sarà il candidato premier, se Di Maio o Fico, ancora non è dato saperlo. Sta di fatto che nessuno esclude che nella partita possa entrare anche Alessandro Di Battista.

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Burhan Ozbilici, il fotografo che ha immortalato il killer di Ankara: “La vita è scomparsa di fronte ai miei occhi”

“Ci ho messo qualche secondo per capire cosa fosse successo: un uomo è morto qui, di fronte a me; una vita è scomparsa di fronte ai miei occhi”. È così che Burhan Ozbilici, il fotografo dell’Associated Press che ha scattato le foto all’attentatore di Ankara, ha descritto quei concitati momenti.

Le sue foto passeranno alla storia, sono di quelle da guardare e riguardare alla ricerca di qualche nuovo dettaglio, della tensione del momento. Ozbilici ha raccontato quegli attimi al “The Guardian“, e cosa gli ha dato il coraggio per realizzare gli scatti.

Era lì quasi per sbaglio, ad una mostra sul paesaggio russo dal Baltico alla Kamchatka, il fotografo decide di partecipare poiché l’evento è di strada per tornare al suo ufficio di Ankara.

Poco dopo l’inizio del discorso dell’ambasciatore russo Andrei Karlov, gli spari hanno creato il panico tra il pubblico, mentre il corpo dell’uomo s’accasciava al suolo.

Ozbilici non comprende il motivo dell’attentato, scoprirà solo dopo che il movente è la città siriana di Aleppo così come il nome dell’attentatore, Mevlut Mert Altintas: “Ho solo sentito urlare Allahu akbar, ma non ho capito il resto di ciò che ha detto in arabo”.

Era spaventato dalla possibilità che Altintas potesse accorgersi di lui, ma ha deciso comunque di avanzare e scattare delle foto. Ecco cosa Ozbilici ha pensato in quel momento: “Sono qui. Anche se dovessi essere ferito, o ammazzato, sono un giornalista. Potrei scappare e fare altri scatti… Ma non voglio dover rispondere alla domanda: ‘Perché non hai scattato una foto’?

L’attentatore intima tutti di stare a terra, conosce già il suo destino, e di li al poco l’operazione della polizia turca metterà fine all’attentato abbattendo l’uomo. Quando Ozbilici torna nel suo studio a lavorare le foto, ancora agitato e sconvolto, osserva le foto che ha scattato. In una si vede come Mevlut Mert Altintas sia sempre stato alle spalle dell’ambasciatore, come fosse stata una guardia del corpo, e nessuno si è accorto di lui.


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Campo Progressista, l’operazione Pisapia sbarca a Bologna

L’operazione Pisapia sbarca a Bologna. La “Coalizione Progressista”, l’idea di ricostruire una sinistra pronta ad allearsi con il Partito Democratico, lanciata nei giorni scorsi da Milano, prontamente contestata da Nichi Vendola e Stefano Fassina, prende forma nella città che diede i natali all’Ulivo vent’anni fa. A fare da Anfitrione, il sindaco di Bologna Virginio Merola. A dare il placet del Pd alle intenzioni di unità è l’uomo di Renzi Sandro Gozi, ex sottosegretario di Stato, oggi parlamentare, mentre in platea siedono un altro renziano di ferro, Ernesto Carbone, Monica Cirinnà e alcuni esponenti di Sinistra Italiana e della Cgil. Insomma, la nave di Pisapia, salpata i primi di dicembre e salutata con favore dal Pd continua la sua traversata accogliendo a bordo i primi cittadini d’Italia, come Massimo Zedda, sindaco di Cagliari, e Antonio Decaro che invia una nota da Bari, amministratori di regione come Luca Zingaretti e Fabrizio Barca, ex ministro per la coesione territoriale.

“Non saremo la stampella di nessuno, ma una casa comune che sia punto di riferimento per la sinistra”” esordisce Pisapia, sgombrando subito il campo. “Serve una discontinuità fondamentale rispetto al passato. Non vogliamo fondare un partito, ma ricreare una rete di realtà locali, amministratori, studenti, che parta dalla cultura, dalle realtà locali del territorio, ma che sappia che poi si deve decidere del futuro del Paese. E il Pd deve decidere se vuole guardare a destra o sinistra. Non è autosufficiente”. Niente correnti né ricandidature, dunque, ma la volontà di ricucire la tela strappata con il territorio ripartendo dalle esperienze locali positive, “perché quando ci siamo presentati con un centro sinistra unito e largo abbiamo sempre vinto, a Bologna,così come a Cagliari e Milano – aggiunge Gianni Cuperlo – Laddove eravamo spaccati abbiamo perso”. E continua: “Rispetto al modello Renzi serve un’alternativa: abbiamo bisogno di un congresso, non per una resa dei conti ma per fare una discussione seria che metta al centro la natura di questo partito, chi siamo e chi vogliamo rappresentare. Ed è molto importante che questo congresso si svolga prima delle elezioni politiche. Bisogna allargare il campo, ricostruire un centrosinistra più largo è la condizione per tornare a vincere”.

Delle divisioni che hanno lacerato dall’interno il Pd parla anche Gozi, che spezza una lancia a favore dell’ex premier e non risparmia una stoccata alla minoranza: ”Matteo Renzi ha dato una scossa al governo italiano rispetto all’operato dei governi tecnici. Ma a causa dello scontro interno e permanente il partito si è chiuso in se stesso ed è rimasto isolato. Non si è mai vista un’opposizione interna così accanitamente in movimento per distruggere il proprio partito”. In sala si leva qualche brusio, poi conclude: “Se all’interno e all’esterno del Pd cominceremo davvero a lavorare come una squadra porremo le condizioni per una alleanza di governo e per un nuovo campo democratico e progressista”. Levati gli ormeggi, la nave della sinistra prosegue col benestare del Pd renziano. Pisapia, comunque, assicura: “Non aspiro a ruoli istituzionali”.

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