Sergio Staino: “Matteo Renzi è sparito, questo non è un leader. Bonifazi? Non auguro a nessuno di averci a che fare”

“Fa sempre così: parte, si butta, si disamora e ti abbandona. Fine della storia. E questo è un leader, questo è un segretario?”.
Così il direttore de L’Unità Sergio Staino, in una intervista a Repubblica, se la prende direttamente con il segretario del Pd che ha riaperto l’Unità nel 2015 ponendo il vignettista alla guida del quotidiano che ora rischia nuovamente di chiudere. “Ho rotto con decine di amici, mi sono preso quintalate di offese e di insulti per venire a dirigere l’Unità renziana. Il giornale è cambiato, è migliorato. Lo vedono tutti. C’è più confronto, ci sono opinioni diverse ma a Matteo non serve più. Allora lo dica: ho fatto una cazzata a riaprirlo e ora lo chiudo. Invece no. Sparito. Lui che ci mette sempre la faccia. Scomparso. Matteo, perché ti nascondi?”. Quindi Staino attacca l’ambasciatore inviato dal premier per gestire la faccenda: “Uno che te lo raccomando, non auguro a nessuno di avere a che fare con lui. Ma il tesoriere che c’entra?”.

Alla notizia prima dei licenziamenti per 12 redattori e poi del preannuncio di una chiusura imminente, Staino accusa: “Non chiama, non risponde al telefono, non legge i messaggini”. E aggiunge: “La situazione economico finanziaria è grave. Ma la crisi vera è politica. La crisi è Renzi. Sono stato nominato da lui. Mi dice: ‘Fai un bel giornale, ricco, tante pagine. E dei soldi non preoccuparti, quelli ci sono’. Una delle battute più infelici che potesse farmi”.
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Tensione Cisl, verso commissariamento categoria statali

Sale la tensione all’interno della Cisl, con la categoria degli statali ormai a un passo dal commissariamento. In queste ore è riunito il comitato esecutivo del sindacato guidato da Annamaria Furlan proprio per votare l’azzeramento dei vertici della categoria del pubblico impiego, la Fp, dopo l’esito di ispezioni che secondo l’organo centrale della segreteria confederale avrebbero rilevato tessere regolari solo in 7 federazioni territoriali su oltre 70 appartenenti alla categoria. Accuse che per il numero uno della federazione, Giovanni Faverin, corrispondono a “falsità”, contro cui si riserva di agire “in ogni sede competente”.

A suo sostegno sono arrivati nella Capitale oltre 150 dirigenti sindacali, che hanno protestato all’ingresso dell’esecutivo, che si è tenuto a porte chiuse. I rapporti di forza all’interno vedono prevalere le posizioni a favore del commissariamento, anche se ci sarebbe una minoranza che si oppone. Fonti ben informate dicono che le prime votazioni, sulle richieste sollevate dalla Fp per il rinvio dell’incontro e sulla illegittimità della convocazione d’urgenza, sarebbero finite 16 a 44. E tra quei 16, oltre alla federazione dei pubblici, ci sarebbero i metalmeccanici della Fim, le categorie della scuola, dei trasporti e delle poste. A livello territoriale con Faverin sarebbero schierati i sindacalisti della Sicilia, del Friuli, del Molise e dell’Abruzzo. Guardando ai segretari confederali, la partita finisce 3 contro 8.

E, come noto, all’interno della segreteria confederale, cuore del sindacato stesso, sono contrari al commissariamento Giuseppe Farina, Giovanni Luciano e Maurizio Bernava. Ed è stato proprio Bernava, dalle pagine del Corriere della Sera, a lanciare nei giorni scorsi un duro attacco contro il dossieraggio. Il riferimento era rivolto anche al caso della Campania, dove la struttura territoriale della Cisl è stata da poco commissariata. E adesso l’ex segretaria partenopea, Lina Lucci, è tra i sindacalisti in protesta.

Insomma il clima si surriscalda in un momento delicato per il sindacato di via Po, visto che si sta per aprire la stagione congressuale, con Furlan che si ricandiderà a leader. In particolare stanno vivendo un fase calda i lavoratori del pubblico impiego, per i quali a breve dovrebbe sbloccarsi la contrattazione, dopo sette anni di blocco. Se dovesse saltare la poltrona di Faverin, la segreteria confederale avrebbe già pronto un commissario, si fa infatti da più parti il nome di Maurizio Petriccioli.

Ma probabilmente la battaglia non si chiuderà con la vicenda sulle tessere false (si stima circa 50 mila) della Fp, che tra l’altro a livello contributivo è la federazione più ricca di tutta la Cisl. D’altra parte dopo le dimissioni dell’ex segretario generale, Raffaelle Bonanni, per accuse sul trattamento pensionistico, la serenità non sembra sia mai stata del tutto recuperata.
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Il principe William racconta della morte di Lady Diana a un’orfana: “Ho perso la mamma quando ero troppo piccolo”

Diventare orfani è un’esperienza che segna profondamente e che solo chi l’ha vissuta sulla propria pelle può comprendere fino in fondo. E anche quando si diventa grandi, il lutto e il dolore provati non scompaiono del tutto. Lo sa bene il principe William, il promettente rampollo della Royal Family britannica, che ha perso la mamma, Diana Spencer, quando aveva solo 15 anni. E proprio per questo ha potuto consolare un bambina che non ha più suo padre, raccontando la sua sofferenza per la morte di Lady D.

Nel tardo pomeriggio di mercoledì 11 gennaio, infatti, il figlio di Carlo e la moglie Kate si sono recati al Child Bereavement, un’associazione di Stratford che supporta i bambini che devono superare la perdita di un familiare e di cui William è padrino sin dal 2009. Tra i tanti piccoli aiutati dalla struttura, il duca di Cambridge ha incontrato anche una bambina di soli 9 anni, Aoife, senza padre.

Per consolare la piccola, William ha ricordato l’esperienza terribile della morte di Lady D, di cui si ricorderanno i 20 anni il prossimo agosto. “Sai cosa mi è successo? Ho perso mia mamma quando ero troppo piccolo” ha raccontato il principe. “Avevo 15 anni e mio fratello ne aveva 12. Eravamo entrambi troppo giovani”.

In questo modo, William ha cercato di entrare in empatia con la piccola Aoife, che è apparsa ancora molto scossa dal lutto che l’ha toccata. “Parli mai di tuo padre? È importante che tu lo faccia, è fondamentale per il tuo benessere” ha aggiunto poi il principe, che evidentemente ha trovato nella comunicazione del suo dolore la chiave per uscirne.

Affianco ad Aoife era seduta anche la madre, che è rimasta molto colpita dalla disponibilità di William e si è commosso nel sentire il ricordo di Lady D. “Non riuscivo a crederci quando ha iniziato a parlare di sua madre” ha commentato dopo l’incontro. “È stato un momento davvero commovente e ho cercato in tutti i modi di non iniziare a piangere”.

Non è la prima volta, tuttavia, che i due figli di Carlo d’Inghilterra si espongono in pubblico raccontando del loro lutto familiare. Nel maggio del 2016, ad esempio, Harry aveva ottenuto la copertina di People grazie a un’intervista in cui ricordava quel tragico 1997 e i terribili anni successivi. “So che ho molto di mia madre dentro di me. Tutto quello che voglio fare è renderla incredibilmente orgogliosa. Passerò il resto della mia vita a provare a riempire quel vuoto il più possibile. E lo stesso farà William” aveva detto in quell’occasione.

Due mesi dopo, invece, in occasione di una raccolta fondi indetta dall’associazione Heads Together per le persone affette da malattie mentali. Lo zio di George e Charlotte aveva raccontato: “Per moltissimi anni non sono riuscito a parlare di lei e della sua morte” confessa Harry, che è riuscito a guarire dalla sua depressione solo dopo aver riconosciuto la sua problematica e aver cominciato a parlarne con chi gli era attorno. “Va bene soffrire, ma è necessario parlare con qualcuno. Parlare del proprio dolore non è sintomo di debolezza. La vera debolezza è avere un problema e non riconoscerlo: questo non risolve nulla”.

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Jobs act: il lodo Amato in Consulta smina il referendum e allunga la vita alla legislatura

Passa il “lodo Amato”, che stabilizza il governo Gentiloni. Due quesiti ammessi, uno – quello sull’articolo 18, l’esplosivo vero – bocciato. Sotto la regia del dottor Sottile viene tutelato – almeno questo è l’intento – il percorso ordinato del capo dello Stato: legge elettorale e voto, senza incidenti e tensioni. Un’operazione, come anticipato dall’HuffPost nei giorni scorsi, da “artificieri” per togliere la prima mina, che avrebbe consentito a Matteo Renzi di far saltare la legislatura pur di evitare il referendum della Cgil sul jobs act.

La Corte è un campo di battaglia. Con la relatrice, Silvana Sciarra, che finisce in minoranza sull’articolo 18 e, alla fine, si dimette dal ruolo di “redattrice” della sentenza, ruolo che viene affidato al vicepresidente. La Sciarra aveva sostenuto che il referendum della Cgil andava ammesso perché lineare, abrogativo e “non manipolativo” e soprattutto sostenuto da precedenti della Corte, come il referendum del 2003. Otto a cinque, la conta finale. Con otto giudici che, di fatto, hanno accolto il parere dell’Avvocatura dello Stato sul quesito “manipolativo”. Ovvero che il quesito non si limita a cancellare le restrizioni sul reintegro ma introduce una norma ex novo. Sugli altri quesiti, voucher e appalti, nessuna tensione. Quesiti che nel Palazzo non vengono vissuti come “mine”. In questo caso l’artificiere però è il Parlamento. Perché il modo per far saltare il referendum è legiferare sui voucher. Spiega una fonte vicina al dossier: “Non è facile, ma è possibile. Il quesito della Cgil è abrogativo di tutta la norma sui voucher, dunque non basta qualche modifica. Occorre una legge dunque che abroghi la norma attuale e costruisca un altro quadro normativo, che cambi nome e disciplini quelle forme di lavoro”. Tradotto: se sul punto si torna alla legge Biagi – ci sono già proposte in commissione di Cesare Damiano – il referendum sui voucher è disinnescato.

Tornando alla Consulta, dove nella seduta odierna mancavano due giudici. Uno, Giuseppe Frigo, si è dimesso. E proprio oggi il Parlamento si è riunito in seduta comune – anche se invano – per sostituirlo. L’altro assente Alessandro Criscuolo, per ragioni di salute. Qualche giudice, favorevole alla bocciatura, si mostra infastidito per la tesi delle “pressioni politiche” sulla Consulta, che dopo la sentenza diventa l’accusa principale del segretario della Cgil Susanna Camusso. Sotto la sapiente regia di Amato otto giudici smontano l’ottavo comma di un quesito lunghissimo, sottolineando gli effetti manipolativi. Sullo sfondo la logica giuridica, secondo l’idea che la democrazia diretta non può prevaricare sulla democrazia rappresentativa con quesiti ritagliati in modo spregiudicato e con effetti sulle maxi riforme che spetterebbero alle Camere. Detta in modo grezzo: il quesito non sarebbe “abrogativo” ma “propositivo” perché l’articolo 18, per come uscirebbe dal quesito della Cgil, verrebbe esteso alle imprese con più di cinque dipendenti.

Per la Sciarra il riferimento per l’ammissibilità è la sentenza numero 41 del 2003 che dichiarò ammissibile il referendum che ampliava l’applicabilità della tutela dell’articolo 18 al di sotto dei 16 dipendenti e lo estendeva addirittura all’impresa con un solo dipendente. Identica per materia al quesito del 2016. Non solo. Entrando ancora di più nel dettaglio. Tradizionalmente l’articolo 18, ovvero la reintegra per licenziamento ingiustificato, si fermava di fronte a due soglie: quella dei 15 dipendenti per le imprese commerciali e industriali e quella inferiore a cinque per le imprese agricole. Il quesito del referendum (ammesso) nel 2003 proponeva di abolire entrambe le soglie cosicché tutte le imprese – commerciali, industriali ed agricole – anche con un solo dipendente sarebbero divenute soggette all’articolo 18. Il quesito discusso oggi fa saltare solo un limite, quello dei 15 dipendenti per le imprese commerciali e industriali, e dunque il limite sarebbe solo di 5 dipendenti come per le agricole. Ecco l’argomentazione della relatrice, finita in minoranza: che senso ha dire che quello del 2003 era abrogativo – infatti il referendum si celebrò – e questo è manipolativo? E ancora: se la Corte ha ritenuto ammissibile nel 2003 un quesito che abrogava tutti i limiti, perché non ammettere un quesito che ne elimina solo uno? Sarebbe come se la Corte smentisse se stessa.

“A nostra memoria non ci ricordiamo analoghe pressioni sulla Corte” denuncia il segretario della Cgil. “Sentenza animata da logiche politiche” dice un pezzo di sinistra fuori dal Pd. La sinistra dem, invece, invoca modifiche sulla normativa dei voucher “sennò votiamo sì al referendum”. Nella sostanza plaude al Lodo Amato perché non avrebbe portato risultati, ma avrebbe fatto saltare il governo. Lasciando anche i voucher come stanno.

Tra 15 giorni scarsi, altra sentenza della Corte sull’Italicum. Il baricentro della legislatura si è spostato in quei cento passi che uniscono palazzo Corte e Quirinale. Al voto con un percorso ordinato, aveva detto Mattarella. La prima mina è stata tolta.
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Sfregiata con l’acido a Rimini dall’ex compagno

Sfregiata con l’acido dal suo ex compagno: una riminese di 28 anni è ricoverata in gravissime condizioni al Bufalini di Cesena e rischia di perdere la vista.

La donna è stata aggredita ieri sera dall’ex, originario di Capo Verde, rintracciato stamani dalla Polizia di Stato. Alle ricerche hanno partecipato anche i carabinieri. In agosto l’uomo si era reso autore di altri maltrattamenti e a suo carico era stato aperto un fascicolo sfociato in un provvedimento di ammonimento del questore di Rimini Maurizio Improta.

L’uomo è stato portato in Questura per l’interrogatorio. La vicenda richiama alla memoria il caso di Lucia Annibali, l’avvocatessa di Pesaro sfregiata con l’acido da due sicari commissionati dal suo ex compagno Luca Varani, anche lui legale all’epoca dei fatti, iscritto al Foro di Rimini. L’episodio risale al 6 aprile 2013. Varani è stato condannato in via definitiva a 20 per tentato omicidio e stalking. 12 anni furono inflitti ai due esecutori materiali dell’attacco con acidi, gli albanesi Altistin Precetaj e Rubin Talaban.
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Il Senato vota Sì all’immunità per Gabriele Albertini per l’accusa di calunnia ai danni di Robledo. Ma all’epoca non era senatore…

Un’immunità retroattiva. Per l’Aula del Senato le dichiarazioni espresse nel 2012 da Gabriele Albertini contro il pm Alfredo Robledo sono “insindacabili”. L’Assemblea, con voto palese, ha così condiviso la decisione della Giunta per le Immunità che già lo scorso ottobre “salvò” dall’accusa di calunnia l’ex sindaco di Milano ora senatore alfaniano, con 185 Sì, 65 No e due astenuti.

Nulla di strano tranne che per un “piccolo” particolare: per i fatti contestati all’ex sindaco di Milano, legge Boato e Costituzione alla mano, l’articolo 68 che norma l’insindacabilità non sarebbe applicabile.

I membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni

E in effetti l’accusa di calunnia si riferisce ad alcune dichiarazioni e interpellanze fatte da Albertini quando era europarlamentare, non senatore. “L’esercizio delle funzioni” da membro di Palazzo Madama quindi non sussiste per l’applicazione dell’insindacabilità. È questo il motivo che ha spinto il membro Pd della Giunta per le Immunità del Senato Felice Casson a esprimersi in dissenso dal suo gruppo: siccome l’ex sindaco di Milano quando venne interessato dalla querela dal pm Alfredo Robledo era eurodeputato, “non può essere adesso il Senato a pronunciarsi sulla sindacabilità o meno delle sue dichiarazioni. Visto che il Parlamento Ue già si pronunciò sulla vicenda nel 2013 negando ad Albertini lo scudo dell’immunità”.

Era il 21 maggio quando il Parlamento Ue negò l’immunità ad Albertini, accusato da Robledo per, tra le altre cose, per le sue dichiarazioni sui derivati acquistati dal Comune di Milano. La plenaria approvò la relazione firmata dal socialdemocratico tedesco Bernhard Rapkay in cui si invitava a non concedere l’immunità in quanto Albertini ”concedendo entrambe le interviste non agiva nell’esercizio delle sue funzioni di deputato al Parlamento Ue”.

Il Tribunale di Brescia si deve pronunciare nei confronti di Albertini perché accusato di calunnia. L’ex primo cittadino di Milano, nel 2012 presentò un esposto al ministero della Giustizia, perché secondo lui Robledo non aveva gestito correttamente tre fascicoli: l’inchiesta sulla questione degli emendamenti in bianco quando lui era sindaco; quella sull’acquisto di quote della società Autostrada Serravalle da parte della Provincia di Milano allora guidata da Filippo Penati; l’inchiesta sui contratti derivati sottoscritti dal Comune ai tempi dell’ amministrazione Albertini.

Incassato il No all’immunità dall’Europarlamento, Albertini – che da diversi anni è in lotta con l’allora pm di Milano oggi trasferito a Torino dal Csm dopo lo scontro con Bruti Liberati – si è rivolto al Senato, dove è stato eletto nel 2013 in quota Scelta Civica per poi transitare nel partito di Angelino Alfano, oggi colonna portante della maggioranza a Palazzo Madama e dei governi Renzi e Gentiloni. Già a ottobre ottenne il salvataggio della Giunta, decisione che allora sarebbe stata “orientata”, riportano le cronache parlamentari, dal suo l’aut aut posto alla maggioranza: “O mi salvano o non voto più per loro…”.

La maggioranza si è divisa sul voto: dei 113 senatori Pd, risultano presenti in 93, in 18 non hanno partecipato al voto (il diciannovesimo che è il presidente Grasso per prassi non vota mai), in 17 (praticamente gran parte della minoranza Dem) hanno votato contro e uno si è astenuto. Anche Marcello Gualdani di Ap-Ncd ha detto no insieme a Karl Zeller presidente del gruppo delle Autonomie. Mentre altri tre di Ap-Ncd non hanno votato come Paolo Bonaiuti e Pier Ferdinando Casini. Hanno disertato la votazione 7 senatori delle Autonomie.
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La neve paralizza Istanbul.Centinaia di italiani bloccati all’aeroporto per i voli cancellati: “Cresce la tensione”

L’emergenza neve in Turchia coinvolge anche numerosi italiani rimasti bloccati perché i loro voli per ritornare in Italia sono stati cancellati. “Forti nevicate stanno interessando Istanbul con conseguenti disagi per il trasporto aereo.
Si raccomanda ai connazionali di monitorare l’evoluzione della situazione sui media e di verificare l’operatività degli scali aeroportuali e dei collegamenti aerei con la propria compagnia aerea prima di mettersi in viaggio”, è quanto si legge sul sito della Farnesina ‘viaggiare sicuri’. In Turchia è da 3 giorni che nevica abbondantemente. Da sabato sono stati cancellati 800 voli dalla compagnia Turkish Airlines.

“300 voli sono stati cancellati a causa della neve solo oggi”, rende noto sempre Turkish Airlines su twitter. “Abbiamo avuto numerose segnalazioni da cittadini italiani, che, a partire da questo week end, sono rimasti bloccati in Turchia per la neve in quanto i loro voli sono stati cancellati. Molti nostri connazionali sono alloggiati in alberghi a Istanbul, a Smirne e in altre città turche in attesa di poter ripartire e imbarcarsi per rientrare in Italia. Stiamo prestando loro assistenza”, spiega a LaPresse il console italiano a Smirne Luigi Iannuzzi, specificando che il consolato segue la vicenda, in stretto contatto con il ministero degli Esteri e le competenti autorità turche, una situazione “in via di risoluzione” con l’atteso miglioramento delle condizioni climatiche.

“Sta scoppiando un casino immenso all’aeroporto di Istanbul. Migliaia di passeggeri accampati da giorni in condizioni disumane, tutto bloccato, decine di voli cancellati. Tanti italiani. C’è anche un mio amico, con bimbe piccole. La situazione è degenerata, sta cominciando a crescere la tensione, scene di violenza. Bisogna rivolgersi alla Farnesina. Per chi volesse il contatto con il mio amico, per resoconto in diretta, contattarmi in privato”, scrive sul suo profilo facebook Lorenzo Calza, lanciando un appello.

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La Waterloo di Grillo. Alde rifiuta l’ingresso di M5S. Salta la strategia del leader: parlamentari contro di lui

È la Waterloo di Beppe Grillo. E in fondo il luogo dove è caduto Napoleone non è molto distante da Bruxelles, teatro invece dello schiaffo di Guy Verhofstadt al leader M5S, rimasto sconfitto e con un partito confuso e arrabbiato. La mossa strategica di lasciare Nigel Farage per aderire al gruppo Alde e conquistare terreno nell’Europarlamento, in poche ore, si è rivelata un boomerang per i grillini. L’Alleanza dei Democratici e dei liberali per l’Europa ha infatti votato contro l’ingresso dei 5Stelle nel gruppo. Il ‘no’ secco è arrivato in particolare dai francesi e dai tedeschi e il capogruppo Verhofstadt non ha potuto che prenderne atto e salutare Grillo: “Sono arrivato alla conclusione che non ci sono sufficienti garanzie per portare avanti un’agenda comune per riformare l’Europa. Non c’è abbastanza terreno comune per procedere con la richiesta del Movimento 5 Stelle di unirsi al gruppo Alde. Rimangono differenze fondamentali sulle questioni europee chiave”.

Parole sorprendenti che arrivano pochi giorni dopo che il leader pentastellato, in gran segreto grazie alla mediazione di David Borrelli, ha siglato un pre accordo proprio con Guy Verhofstadt. Ma la sede dell’Europarlamento oggi è diventata un campo di battaglia e Grillo ha fatto il suo ingresso questa mattina presto con l’intento di sedare la protesta di alcuni europarlamentari che non hanno condiviso il cambio di rotta e l’adesione al gruppo più europeista che c’è in Ue, gruppo che fu di Romano Prodi e Mario Monti, per intendersi. Intanto a mezzogiorno vengono pubblicati i risultati del sondaggio, annunciato domenica a sorpresa tra lo stupore di tutti: il 78,5% degli iscritti al blog ha scelto di aderire all’Alde. Al di là del risultato quasi plebiscitario, la base, stando ai commenti, da domenica si è rivoltata contro Grillo. Le bacheche Facebook dei parlamentari sia nazionali sia europei sono state prese di mira e si sono trasformate in un delirio di commenti. Tutti presi alla sprovvista, in pochi hanno appoggiato la decisione del leader pentastellato. E c’è chi, come Nicola Morra e Carlo Sibilia, ha deciso di uscire allo scoperto. Non solo. Questa incongruenza, tra il voto della Rete e gli umori invece della Rete e dei parlamentari, ha prestato il fianco anche al sospetto che il voto web fosse stato manipolato.

Sta di fatto che a Luigi Di Maio è toccato l’ingrato compito di dover arrabattarsi e fornire giustificazioni parlando di una “mossa tecnica e non politica”. Il candidato premier in pectore garantisce inoltre che il referendum sull’euro verrà fatto comunque e che l’adesione a un gruppo europeista serve soltanto a mantenere diritti all’interno dell’Europarlamento, tra cui i 700mila euro che ogni partito ha a disposizione ed entrare poi nella partita delle presidenze delle commissioni. L’unico risultato che sortisce il post di Di Maio è una pioggia di commenti negativi e pochi “like”.

Passano poche ore ed ecco il colpo di grazia. Le stanze dell’Europarlamento sono ormai un campo di battaglia. In una, Beppe Grillo e Davide Casaleggio provano a sedare la protesta degli europarlamenti scontenti, in un’altra pochi passi più in là c’è Verhofstadt che prova a convincere i suoi, anche perché si sta giocando la sua personalissima gara per la presidenza dell’Assemblea, e strappare il ‘sì’ all’ingresso dei grillini. Ma dopo tanti tormenti e dichiarazioni al vetriolo, come quella della vicecapogruppo dell’Alde, la francese Marielle de Sarnez (“Farò di tutto per impedire che succeda. Sarebbe un’alleanza empia”), arriva la posizione ufficiale del gruppo: M5S è fuori.

Il danno d’immagine è enorme dopo che Grillo, in ventiquattro ore, ha mandato in tilt la base, ha mandato su tutte le furie i parlamentari nazionali ed europei, che si sono ritrovati con un accordo già firmato prima ancora che venisse ratificato dal blog, e per finire non ha ottenuto il risultato sperato. Anzi, ha subito una vera e propria cacciata. La difesa del leader pentastellato è quella solita d’ufficio: “L’establishment ha deciso di fermare l’ingresso del MoVimento 5 Stelle nel terzo gruppo più grande del Parlamento Europeo. Questa posizione ci avrebbe consentito di rendere molto più efficace la realizzazione del nostro programma. Tutte le forze possibili si sono mosse contro di noi”. Recita la parte della vittima anche Alessandro Di Battista, l’altra punta M5S scesa in campo in una giornata da psicodramma: “Si sono tirati indietro – dice ospite a Otto e mezzo – perché è bene che alcune nostre idee vengano un po’ ostacolate”. Ma la sconfitta politica, al di là delle dichiarazioni ufficiali, rimane e adesso i grillini confluiranno nel gruppo Misto, che – secondo Grillo – significa “occupare una poltrona con le mani legate: non poter lavorare”. È la resa.
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Istat: disoccupazione giovanile record a novembre (39,4%), sale anche quella generale. Più lavoro solo per gli over 50

A novembre il tasso di disoccupazione giovanile sale al 39,4%, in aumento di 1,8 punti percentuali rispetto al mese precedente, toccando così il livello più alto a partire da ottobre 2015. Lo rileva l’Istat nell’analisi della fascia di età tra 15 e 24 anni. Il tasso di occupazione giovanile diminuisce di 0,1 punti percentuali, mentre quello di inattività – che include anche le persone impegnate negli studi – cala di 0,6 punti.

In termini generali, nel mese di novembre il tasso di disoccupazione torna a salire nonostante una crescita dell’occupazione (+0,1% rispetto a ottobre). La disoccupazione – spiega l’Istat – si attesta all’11,9% in aumento di 0,2 punti su base mensile e di 0,5 punti rispetto a novembre 2015, al livello più alto dopo giugno 2015. I disoccupati salgono a quota 3.089.000, in aumento di 57.000 su ottobre e di 165.000 su novembre 2015. Gli inattivi tra i 15 e i 64 anni a novembre calano di 93.000 unità su ottobre e di 469.000 su novembre 2015. Il tasso di inattività è ai minimi storici (34,8%).

Ciò malgrado il valore positivo dell’occupazione, con gli occupati che a novembre sono aumentati di 19.000 unità rispetto a ottobre (+0,1%) e di 201.000 unità su novembre 2015 (+0,9%). L’aumento – rileva l’Istituto nazionale di statistica – riguarda soprattutto le donne e le persone ultracinquantenni. Aumentano, in questo mese, gli indipendenti e i dipendenti permanenti, calano i lavoratori a termine. Il tasso di occupazione è pari al 57,3%, in aumento di 0,1 punti percentuali rispetto a ottobre. La crescita su base annua si concentra esclusivamente tra gli over 50 (+453.000).

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La giravolta europeista di Grillo spiazza i 5Stelle. Il leader si cambia d’abito per far diventare M5S forza di governo

La giravolta, questa volta, è clamorosa. Nel gruppo Alde, Alleanza dei liberali e democratici d’Europa, tempio del filo europeismo più tradizionale, che è stato perfino la casa di Mario Monti, adesso potrebbe entrare Beppe Grillo con una mossa scenica che ricorda le capriole di John Belushi nel film The Blues Brothers, quando il protagonista, in chiesa, inizia a urlare: “Ho visto la luce”. La luce, nel caso del leader pentastellato, è la svolta moderata in chiave europea.

Svolta che, se non avesse dietro di sé un carico di contraddizioni e di proteste, non avrebbe niente di comico e di visionario. Sarebbe viceversa segno di realismo politico, legato alla consapevolezza che avvicinandosi a un’eventuale vittoria elettorale, i 5Stelle devono darsi una fisionomia di governo e non possono più permettersi di accompagnarsi con gli euroscettici di Nigel Farage e con l’anti europeismo più populista e andante.

Il cambio di passo lo ha dimostrato anche il tour presso le Cancellerie straniere intrapreso dal candidato premier in pectore Luigi Di Maio con tanto di cambio di toni non più tanto di lotta. Ma una possibile adesione all’Alde è talmente sorprendente che non solo coglie alla sprovvista gli stessi 17 europarlamentari grillini, per non parlare della base, ma anche l’ex compagno di viaggio Farage, presidente insieme al pentastellato David Borrelli del gruppo Efdd: “In termini politici sarebbe completamente illogico per i 5Stelle unirsi al gruppo più eurofanatico del Parlamento europeo”. Sta di fatto che lunedì scadranno i termini del voto sul blog, che chiede agli iscritti di scegliere se restare nel gruppo Efdd, convergere nel gruppo dei Non iscritti (ipotesi che Grillo sconsiglia) o se confluire nell’Alde. Ed è proprio quest’ultima la strada indicata da Grillo, che insieme a Davide Casaleggio lunedì sarà a Bruxelles a sedare la protesta e a dare spiegazione sul perché di questa capriola.

Nonostante il post sul blog sia apparso all’improvviso (“Io come eurodeputato del M5S non ne sapevo niente e come voi attivisti e non, ho appreso la notizia, con sorpresa e sconcerto”, scrive per esempio Marco Zanni), il lavoro sottotraccia andava avanti da tempo e aveva subito un’accelerazione dopo il referendum sulla Brexit. Nel mese di dicembre infatti i 5Stelle avevano tentato di avviare un’alleanza con i Verdi europei, connubio che la base grillina avrebbe apprezzato di più. Ma la trattativa non è andata a buon fine poiché gli stessi europarlamentari Verdi, con voto, si sono espressi contro l’ingresso dei grillini.

Considerato poi che i gruppi con la presenza di partiti italiani al loro interno erano stati esclusi a prescindere, l’unica strada rimasta da percorrere era quella dell’adesione all’Alde, per non restare isolati e ininfluenti nel gruppo dei Non iscritti. Ma i dubbi nel mondo pentastellato sono tanti, soprattutto perché l’operazione conclusiva è stata fatta all’insaputa dei parlamentari nazionali ed europei: tutti si immaginavano una maggiore condivisone e non direttamente la lettura del post sul blog.

Le chat dei deputati e dei senatori sono roventi in queste ore. Il primo a metterci la faccia e a criticare apertamente la linea del leader 5Stelle è Carlo Sibilia, deputato M5S e membro del direttorio grillino ormai in pensione: “Votare informati è importante. Ecco cosa diceva il gruppo Alde di noi meno di 3 anni fa: Per completezza, si segnala che anche Alde, il gruppo più europeista e federalista esistente al Parlamento europeo, ha espresso una posizione unitaria, la quale tuttavia ha considerato i sette punti per l’Europa del M5S come ‘completamente incompatibili’ con la loro agenda pro-Europa, definendo il M5S ‘profondamente anti europeo’ e il suo programma ‘irrealistico e populista’. Alde – incalza Sibilia – è anche favorevole alla clausola Isds nel Ttip”, trattato transatlantico sul commercio.

Le pagine Facebook dei grillini così come il blog di Grillo vengono inondate di commenti: “A quando una sviolinata a Napolitano?”, chiede ironico Walter. Il senatore Nicola Morra scrive: “La marcia solitaria non ci spaventa”. E il coro che si alza è: “Meglio soli che male accompagnati”. C’è chi poi come Danilo Toninelli dice che pur entrando in Alde “avremo la nostra autonomia”. In tanti tuttavia propenderebbe per restare liberi da alleanze, ma c’è un dato politico che ha portato Grillo a sponsorizzare la scelta dell’Alde. Entrare nel Misto, ha spiegato, vuol dire “perdere opportunità”. Come ad esempio, “avere diritto di parola durante le sessioni plenarie del Parlamento, essere rappresentati all’interno della Conferenza dei Presidenti, avere la possibilità di seguire l’iter legislativo come autori di regolamenti europei, ottenere fondi da spendere sul territorio, per le numerose attività d’informazione e formazione, rivolte ai cittadini italiani ed europei”. Non solo. A breve in Europa si rinnoveranno le cariche, tra cui quella del presidente del Parlamento. A guidare l’Alde è l’ex premier belga Guy Verhofstadt, da sempre molto critico nei confronti della presidenza russa di Vladimir Putin, sfiderà Gianni Pittella per il Pse e Antonio Tajani per il Ppe. È naturale che i voti dei 5Stelle, se lunedì la Rete dovesse decidere di confluire nell’Alde, andranno a Verhofstadt. Peccato però che era stato bollato da M5S come “impresentabile” e nonostante questo Grillo e Casaleggio potrebbero incontrarlo lunedì a Bruxelles.
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