Antonio Iannone: “Da Lugano ai Caraibi per fare il paninaro. Così ho mollato tutto e ho ricominciato a vivere”

“Mollo tutto e me ne vado”. Quante volte vi è capitato di dirlo o pensarlo? Antonio Iannone, comasco di origini campane, 38 anni (“Quasi 39”), l’ha fatto davvero. La sua seconda vita è iniziata ad Aruba, isola caraibica di 180 chilometri quadrati a nord del Venezuela facente parte del Regno dei Paesi Bassi.

Iannone fa il frontaliere da dieci anni quando decide che è giunto il momento di una svolta. Ogni giorno raggiunge in auto Lugano (in Svizzera), dove lavora come “middle manager” per un’azienda farmaceutica. “Con dieci anni di esperienza in Svizzera avevo uno stipendio che in Italia prende forse solo chi è alla soglia della pensione”, racconta il 38enne all’Huffington Post.

Ma, evidentemente, i soldi non compensano il senso di insofferenza che Iannone prova ormai da tempo. “Non ne potevo più della solita routine”. Così comincia a cercare lavoro in altri paesi europei. “Mi sarebbe piaciuto lavorare in Italia, ma purtroppo ho sempre ricevuto proposte di stage non retribuiti”.

Dopo tre anni di colloqui senza successo, Iannone decide di partire con la sua famiglia. Sono già stati ad Aruba un paio di volte in vacanza, sanno che si troveranno bene. Inoltre, lì vive da qualche anno il migliore amico del comasco, che si guadagna da vivere con un food truck di cibo italiano.

Iannone, la moglie Sylvie (una donna belga che il 38enne aveva conosciuto mentre entrambi facevano gli animatori in un villaggio turistico invernale) e la figlioletta Luna atterrano ad Aruba nel giugno 2015. I 28 gradi centigradi dodici mesi all’anno giustificano il soprannome dell’atollo caraibico: l’”Isola Felice”.

Nonostante il clima e il paesaggio da sogno, all’inizio è dura. Il problema principale è comunicare, soprattutto per Sylvie: anche se in qualche modo ce la si può cavare con l’inglese o con lo spagnolo, la lingua ufficiale ad Aruba è l’olandese e tutti parlano un dialetto creolo chiamato papiamento. La gente del posto è piuttosto chiusa e il turismo elitario che caratterizza l’isola fa sì che i prezzi siano elevati.

È passato più di un anno e mezzo da allora, e piano piano le cose sono migliorate. Oggi Luna frequenta il secondo anno della scuola elementare, mentre Antonio e Sylvie lavorano al food truck, collocato strategicamente nel parcheggio di una discoteca. Il paninaro è aperto ogni giorno dalle 19 alle 5 del mattino. Nel menù non mancano i classici panini con la salsiccia e con la porchetta (d’importazione) e la pizza. “Il piatto forte però è la lasagna”, spiega Iannone. “La prepariamo io e mia moglie. La gente ci va pazza”.

Iannone, diplomato in ragioneria, non ha mai fatto una scuola di cucina. Ma la passione ce l’ha sempre avuta. Da bambino adorava fare torte e, quando andava a trovare i parenti in Campania, osservava affascinato le nonne cucinare. “Per un periodo ho avuto in testa di fare la scuola alberghiera, ma poi ho cambiato idea perché mi piaceva troppo uscire nel fine settimana e non avrei sopportato di stare chiuso in un ristorante il sabato e la domenica”.

Da qualche tempo Iannone ha iniziato a fare anche il cuoco a domicilio, spesso nei villoni presi in affitto dagli statunitensi in vacanza. “Mescolo la cucina locale con quella italiana. Ma alla fine i piatti che vanno per la maggiore sono la lasagna e il tiramisù”.

A luglio, per la prima volta da quando sono arrivati ad Aruba, Iannone e la sua famiglia torneranno per un breve periodo in Italia. “Gli stipendi qui sono abbastanza bassi e ci vuole un po’ prima di riuscire a stabilizzarsi. L’importante è trovare il business giusto”, commenta. “In ogni caso, credo di avere trovato il mio posto nel mondo, anche se nella vita non si può mai sapere”.


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Australia, 1880 preti accusati di pedofilia. Il rapporto shock della Royal Commission

Secondo l’inchiesta della Royal Commission, in Australia il 7% dei preti cattolici australiani è stato accusato di abusi nell’arco di sessant’anni (tra il 1950 e il 2010), ma senza che la Chiesa abbia realmente cercato di affrontare ed estirpare il fenomeno.

I casi di pedofilia accertati dalla Commissione dopo quattro anni di indagini e audizioni, sono stati circa 4.440 solo tra il 1980 e il 2010, ha riferito nel corso di un’udienza, l’avvocato che assiste la Commissione, Gail Furness, che ha guidato l’inchiesta. E circa 1.880 sacerdoti (il 7% dei preti australiani appunto) risultano coinvolti, ma i reati contro i minori sono stati ignorati o peggio, ad essere stati puniti sono stati gli abusati.

Come è avvenuto anche negli Stati Uniti i vertici della Chiesa cattolica insomma invece di denunciare alle autorità i sacerdoti hanno preferito trasferirli di scuola in scuola, di parrocchia in parrocchia “senza che nulla sul loro passato fosse rivelato. Il segreto e gli occultamenti hanno prevalso”. L’età media delle vittime è stata di 10 anni e mezzo per le bambine e poco più di 11 anni e mezzo per i bambini.

Dati agghiaccianti. I dati sono stati resi noti questa notte nella prima delle tre udienze finali dedicate alla Chiesa cattolica dalla Commissione Reale sulla risposta delle istituzioni agli abusi sessuali sui minori. La seconda inizierà intorno alla mezzanotte di oggi ora italiana. Si tratta dell’inchiesta più approfondita sulla pedofilia nella storia d’Australia, che ha indagato su tutte le confessioni religiose, enti di beneficenza, governi locali, scuole, organizzazioni comunitarie, gruppi di boy scout e club sportivi, e anche sugli appartenenti alla polizia.

Le agghiaccianti statistiche riguardanti il clero cattolico sono state presentate dalla Furness, che ha rivelato come la Santa Sede abbia rifiutato di consegnare documenti riguardanti sacerdoti australiani accusati di abusi. “La Commissione sperava di acquisire una conoscenza dell’azione intrapresa in ciascun caso”, ha detto Furness. “Ma la Santa sede ha risposto che non era possibile né appropriato fornire le informazioni richieste”.

Lo scopo delle udienze, ha dichiarato il legale della Commissione, è di rispondere alla domanda che rimane nella mente di tante vittime: come hanno potuto gli abusi essere commessi in tale scala? E perché sono stati coperti così a lungo? Le risposte delle diocesi cattoliche e degli ordini religiosi in tutto il paese sono state “tristemente simili”, ha detto.

Le vittime ignorate o peggio. “Le vittime sono state ignorate o peggio, punite. Le denunce non sono state investigate. Preti e religiosi sono stati trasferiti e le parrocchie o comunità dove sono stati trasferiti non sapevano nulla del loro passato. I documenti non sono stati conservati o sono stati distrutti. Hanno prevalso la segretezza e gli insabbiamenti”.

In alcune diocesi fino al 15% dei sacerdoti sono stati accusati di abusi fra il 1950 e il 2015. E fra gli ordini religiosi il peggiore è stato l’ordine di San Giovanni di Dio, dove si ritiene si sia macchiato di abusi uno sconcertante 40% degli appartenenti. Una proporzione arrivata al 32% tra i Fratelli Cristiani e 20% dei Fratelli Maristi, entrambi ordini che gestiscono scuole.
L’Ente formato dalla Chiesa cattolica per coordinare la risposta della Chiesa alla crisi, “Il Consiglio per la Verità, la Giustizia e la Guarigione”, ha ammesso che i dati “senza dubbio minano l’immagine e la credibilità del sacerdozio”. “I numeri sono scioccanti, sono tragici e indifendibili”, ha detto trattenendo le lacrime il Ceo del Consiglio stesso, Francis Sullivan, che ha parlato di “un massiccio fallimento” della Chiesa e di una corruzione del Vangelo. “Come cattolici, chiniamo il capo per la vergogna”, ha detto.

Il fascicolo su Pell al Procuratore di Victoria. L’inchiesta della Royal Commission getta un’ombra sul cardinale George Pell, che è uno degli esponenti più importanti della Curia di Papa Francesco, come prefetto della Segreteria per l’Economia. Pell infatti è stato fino al 2014 arcivescovo di Sydney e primate d’Australia e quindi il prelato più alto in grado del continente. Ed in particolare dal 1996 al 2001 è stato arcivescovo di Melbourne dove si è registrato il maggior numero di abusi , e dove il presule però rivendica di aver istituito la prima risposta in favore delle vittime (la cosiddetta “Melbourne response”). Uno schema di compensazione che è stata criticata per aver imposto un tetto molto basso ai risarcimenti alle vittime, una specie di transazione standardizzata, bloccando al tempo stesso ogni ricorso alla giustizia civile e penale. Nel febbraio dell’anno scorso, per tre giorni, il cardinale Pell era stato interrogato in video- conferenza con l’Australia in un albergo di Roma.

Ma poco tempo dopo Pell è stato anche denunciato per presunti abusi subiti da parte sua, da due suoi ex alunni della scuola primaria. Ieri – in concomitanza con la riunione della Royal Commission – la polizia di Victoria ha confermato (lo hanno riportato tra gli altri l’Australian e il Sidney Morning Post) di aver concluso l’istruttoria su di lui per questi due casi e inviato il fascicolo di indagine al Procuratore per le sue decisioni. È lo sviluppo più significativo delle accuse personali contro il Cardinale da quando tre detective della ”Sano Taskforce” (gruppo speciale di indagini sugli abusi su minori) sono volati a Roma per interrogarlo a metà di ottobre dello scorso anno. Pell, che ora rischia l’incriminazione formale nel suo Paese, ha sempre negato con forza ogni addebito.

Le dichiarazioni del suo successore Fisher. Con riferimento all’inerzia della Chiesa cattolica denunciata dalla Royal Commission, che concluderà i suoi lavori a fine anno, “quello che è stato rivelato è straziante”, ha commentato ieri l’attuale arcivescovo di Sydney ,Anthony Fisher, successore di Pell, in un messaggio pubblicato sul sito della diocesi.
“Mi sono sentito personalmente scosso e umiliato da queste informazioni, come lo sono stato da altre rivelazioni importanti della Commissione Reale fino ad oggi”. “Per mia vergogna e tristezza – aggiunge -, sembrerebbe che in tutta l’Australia ben 384 preti cattolici diocesani, 188 sacerdoti religiosi, 597 fratelli religiosi e 96 sorelle religiose hanno avuto accuse di abusi sessuali su minori fatte contro di loro sin dal 1950. Accuse sono state fatte anche contro 543 laici lavoratori della chiesa e altri 72 il cui status religioso è sconosciuto”.

Il caso australiano e il Vaticano. L’inchiesta della Royal Commission ha già provocato sconquasso in Vaticano, vista la posizione importantissima ricoperta da Pell chiamato proprio da Papa Francesco in un ruolo chiave: la riforma delle finanze vaticane.

Dopo l’audizione di Roma del febbraio dell’ scorso anno, uno dei membri della Commissione pontificia contro la pedofilia, guidata dal cardinale di Boston Sean O’ Malley, Peter Saunders , si è “autosospeso” in polemica con Pell. E le nuove direttive sulla responsabilità diretta dei vescovi per contrastare il fenomeno, prevedono che l’inerzia sia causa forzata di dimissioni.

Il Papa in persona il 31 luglio 2016 ,sul volo di ritorno dal viaggio in Polonia ha parlato invece delle accuse personali contro il Cardinale (quelle della polizia di Victoria) e ha affermato :”Dobbiamo aspettare la giustizia e non fare prima un giudizio mediatico, perché questo non aiuta. Il giudizio delle chiacchiere, e poi? Non si sa come risulterà. Stare attenti a quello che deciderà la giustizia”. E poi ha aggiunto: “ Una volta che la giustizia ha parlato, parlerò io”.

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La dieta di chi mangia pasta è più sana. Chi la mangia regolarmente assume più nutrienti fondamentali

Portare la pasta a tavola regolarmente riflette una maggiore attenzione alla alimentazione sana: infatti una indagine condotta dalla Nutritional Strategies, Inc. per conto della associazione americana dei produttori di pasta (National Pasta Association) svela che, in generale, coloro che mangiano regolarmente la pasta tendono complessivamente ad avere una dieta più sana. Lo studio è stato presentato al meeting annuale della Obesity Society tenutosi di recente a New Orleans.

Gli esperti hanno raccolto informazioni sul consumo di pasta di un grande campione di individui ed hanno confrontato i dati raccolti con quelli sul quanto è sana e aderente alle più recenti linee guida nutrizionali americane l’alimentazione di ciascun volontario. Per effettuare questa misura gli esperti hanno usato un indice ad hoc chiamato USDA’s Healthy Eating Index-2010.

E’ emerso che coloro che risultavano avere una dieta sana e in linea con le correnti linee guida erano soprattutto quelli che consumavano pasta abitualmente. In particolare questi ultimi tendono ad assumere di più quei nutrienti critici che sono carenti nell’alimentazione di quasi tutte le persone (folato, magnesio, fibre, ferro), ad assumere più vitamine e minerali e a consumare meno zuccheri aggiunti, grassi saturi.

Questo studio, insomma, non trae nessuna conclusione su eventuali esiti del consumo di pasta in sé, ma si limita a evidenziare l’associazione tra questa abitudine e la scelta di una dieta sana.
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Donald Trump su Vladimir Putin: “Lui sarebbe un assassino? Gli Stati Uniti non sono così innocenti”

“Io lo rispetto. Se ci andrò d’accordo si vedrà”. Donald Trump insiste nel voler impostare il rapporto con il collega russo Vladimir Putin in termini ‘diversi’. Ma lo fa questa volta con parole assolutamente inedite per un presidente degli Stati Uniti che, alle accuse mosse verso Putin, additato da qualcuno come “un assassino”, in un’intervista alla Fox News risponde: “Pensate l’America sia così innocente?”.

Una frase shock, secondo molti osservatori, sebbene non del tutto nuova. Il tycoon in campagna elettorale aveva toccato il tema più volte e anche negli stessi termini. Ma che ci torni in maniera così netta da presidente in carica, in un’intervista ‘di rito’ trasmessa come consuetudine per un presidente poco prima del Super Bowl – la finale di football americano per cui l’America si ferma e resta incollata agli schermi in tutto il Paese – suscita più di qualche perplessità. Non solo nell’opposizione, ma anche tra i repubblicani.

Il passaggio in questione è emerso da un’anticipazione del colloquio con uno degli anchor di punta di Fox, Bill O’Reilly.
“Io rispetto Putin. Rispetto molte persone, ma non vuol dire che andrò d’accordo con lui, si vedrà”, premette Trump. Sollecitato poi dal giornalista sulle accuse rivolte al presidente russo di essere “un assassino”, il tycoon non ci pensa due volte: “Ci sono molti assassini. Credi che il nostro Paese sia così innocente?”.

La polemica è immediata, il punto è il paragone che emerge dalle parole del presidente in persona tra gli Stati Uniti e la Russia di Putin. E l’imbarazzo, anche tra i sostenitori di Trump, è palpabile. “Non credo ci sia alcuna equivalenza tra la maniera in cui si comporta la Russia e gli Stati Uniti”, reagisce il leader della maggioranza repubblicana al Senato, Mitch McConnell, dopo aver messo in chiaro che, a suo avviso, Putin è “un ex agente del Kgb e un delinquente”.

“Non mi metterò a criticare ogni commento del presidente, ma io credo che l’America sia eccezionale, l’America è diversa, in nessun modo operiamo nello stesso modo dei russi. Sussiste una distinzione chiara che tutti gli americani comprendono e io non avrei caratterizzato la cosa in quel modo. Ovviamente non vedo la questione nello stesso modo” in cui la vede il presidente.

Un altro esponente di spicco del partito, il senatore Marco Rubio, twitta: “Quando mai un attivista politico dei democratici è stato avvelenato dal Gop (il partito repubblicano, ndr) o viceversa? Noi non siamo la stessa cosa di Putin!”.

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Italia convinta (o illusa) di stare nell’Europa che corre. Gentiloni si schiera con Merkel. Alfano, diverse velocità già in atto

L’Italia avrebbe dovuto, forse, accogliere le dichiarazioni a sorpresa di Angela Merkel sull’Europa a diverse velocità con una certa preoccupazione e invece le commenta positivamente, definendole la traccia di lavoro per l’Ue in vista della celebrazione dei Trattati di Roma proprio nella Capitale.

“Questo è l’orizzonte su cui lavorare, le celebrazioni di Roma saranno un’occasione importante”. Sono queste le parole che la Repubblica attribuisce al presidente del Consiglio Paolo Gentiloni, che ha lavorato su questo schema a cerchi concentrici da ministro degli Esteri insieme ai colleghi dei paesi fondatori e proprio al summit di Malta di due giorni fa ha introdotto il tema di un’Europa a vari livelli di integrazione incassando, per la prima volta, il sostegno della cancelliera.

“In una Unione a 27 paesi è utopico che tutti possano avanzare con gli stessi tempi e obiettivi. Un gruppo può fare da avanguardia politica e procedere in modo più spedito per raggiungere nuovi obiettivi comuni, quali difesa, sicurezza economica, lotta alle disuguaglianze e sostegno ai giovani” spiega alla Repubblica il sottosegretario agli Affari Europei, Sandro Gozi. “Questa è da tempo la posizione dell’Italia. Ora condivisa anche dalla cancelliera tedesca, fin qui assai prudente sul tema. Ci fa piacere. È un’ottima notizia. E vorremmo che diventasse anche un impegno ufficiale, preso da tutti i paesi dell’Unione, il prossimo 25 marzo a Roma, per i sessant’anni del Trattato. Non sarà facile, ma ci stiamo impegnando al massimo per questo. L’Italia è sempre stata al centro dell’iniziativa europea. E del resto l’agenda dell’ultimo vertice di Malta è stata dettata completamente da noi, dalla Libia ai flussi migratori. Il problema non è trovarsi nel gruppo di testa, ma avere paesi troppo timorosi di riformare l’Europa”.

Ora la strada passa per Roma: il nuovo slancio all’integrazione potrebbe essere parte della dichiarazione che i leader dei 27 – con l’esclusione di Theresa May – approveranno il 25 marzo in occasione dei festeggiamenti del sessantesimo anniversario dei trattati. Da qui partirà il “Processo di Roma”, i cui primi risultati si vedranno nel 2018. L’obiettivo è che con la Dichiarazione di Roma del 25 marzo i leader lancino le cooperazioni rafforzate su difesa, sicurezza, investimenti, approfondimento dell’euro e della dimensione sociale dell’Unione.

La difesa farà da apripista, come spiega il ministro Roberta Pinotti al Messaggero. “La Difesa europea va rafforzata non solo per avere una maggiore autonoma capacità, ma anche perché, se i diversi Stati europei parlano voci diverse all’interno della Nato, questo impoverisce la loro possibilità di incidere. È fondamentale anche per la strategia difensiva della Nato che l’Europa parli una sola voce”. […] “Noi abbiamo bisogno che il nucleo di Paesi che si è mosso con più forza verso la Difesa comune, cioè Italia, Francia, Germania e Spagna, elabori cooperazioni rafforzate che portino ancora più avanti le decisioni assunte”.

È convinzione del Governo italiano che questo processo sia una presa d’atto di una realtà dei fatti, perché già oggi ci sono più velocità di integrazione dell’Europa.

Scrive Angelino Alfano sul Corriere della Sera. “In Europa le diverse velocità, i cerchi concentrici e la differenziazione nelle diverse accezioni, sono già una realtà. Il tema, quindi, non è “se”, ma come e in quali tempi fare i conti con questa realtà. Dei 28 Stati membri dell’Unione Europea, solo 19 adottano l’euro. La libera circolazione nell’area Schengen riguarda solo 26 Paesi europei, di cui 22 della Ue e 4 associati. Quanto alla difesa e sicurezza comune, 28 Stati aderiscono alla Nato (di cui 26 europei), mentre 57 Paesi partecipano all’Osce e 47 al Consiglio d’Europa. Chi si è concentrato solo sull’Unione in questi anni, ha forse guardato solo a una parte della realtà”

È indispensabile, tuttavia, che l’Italia sia in grado di stare al passo con i più veloci.

“Giusta la mossa di Berlino, via le zavorre. Ma l’Italia deve stare nel convoglio veloce” afferma Enrico Letta in un’intervista al Corriere della Sera “Che Angela Merkel rilanci l’Europa a diverse velocità è un fatto importante, una mossa utile e coraggiosa. La buona notizia è che la proposta venga dalla Germania, il Paese fin qui più immobilista, quello che non voleva toccare nulla e ora invece si muove per la prima volta in una logica di discontinuità. Berlino sembra capire che la mera difesa dell’esistente porta alla distruzione di tutto. La Brexit e Donald Trump costituiscono una doppia minaccia esterna esistenziale e l ‘Europa deve cambiare passo e direzione” spiega l’ex premier, secondo cui l’Italia “deve giocare da protagonista come allora. È una nuova sfida perché dobbiamo stare nel convoglio più veloce, meritarci il ruolo di locomotiva insieme ai Paesi fondatori”. Certo, per Letta “è evidente che la confusione, l’incertezza politica che stiamo raccontando all’esterno non aiuta. L’idea che l ‘Italia sia un Paese nel quale non si sa bene in prospettiva chi comandi, dove l’instabilità istituzionale sia strutturale, è un grave handicap. Dobbiamo fare una grossa analisi di coscienza collettiva e capire che siamo nuovamente in una fase dove si riscrivono le classifiche”.


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Prima telefonata tra Paolo Gentiloni e Donald Trump: al centro del collquio la Libia e il G7 di Taormina

E’ prevista per questa sera la prima telefonata tra il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e il presidente del Consiglio italiano Paolo Gentiloni, stando a quanto si apprende da fonti della Casa Bianca. Il colloquio è fissato per le 22 circa, ora italiana.

Si tratta del primo colloquio telefonico tra il premier italiano e il nuovo inquilino della Casa Bianca. Trump chiamerà Roma dal resort di Mar-a-Lago in Florida, dove si trova per un week end con la moglie Melania e il figlio Barron. L’unico contatto tra Italia e Stati Uniti dopo l’elezione di Trump era avvenuto nei giorni scorsi con una telefonata tra il ministro della Difesa Roberta Pinotti e il segretario alla Difesa Mattis. Fu l’occasione per discutere della “forte partnership” che lega Washington e Roma ma soprattutto per sottolineare, da parte Usa, il ruolo dell’Italia nel quadrante nordafricano e in particolare in Libia.

Tema ripreso poi dal segretario di Stato Rex Tillerson a fine gennaio quando elencò una serie di punti sui quali si sarebbe mossa la collaborazione tra i due Paesi. La Libia, dove “abbiamo bisogno dell’esperienza italiana”. Ma anche l’Ucraina, dal momento che l’Italia, disse Tillerson, è un membro “responsabile dell’Unione Europea” e può contribuire a tenerla unita. E infine la Russia, in vista del G7 che l’Italia ospiterà a fine maggio a Taormina: c’è da decidere se invitare al consesso il leader del Cremlino Vladimir Putin e compiere un ulteriore passo nel processo di riavvicinamento tra Mosca e Washington che va avanti dall’avvento della nuova presidenza.

Il colloquio tra Trump e Gentiloni avviene dopo due settimane dall’insediamento del presidente Usa. Roma non rientra quindi nel “primo giro” di contatti avviato dalla Casa Bianca. Una circostanza che non sfugge, soprattutto se si ricorda la scelta di Barack Obama di accogliere l’ex premier Matteo Renzi per la sua ultima State dinner da presidente degli Stati Uniti. Dopo la diffusione dei contenuti della telefonata tra Trump e Gentiloni si inizierà a capire quali temi saranno considerati prioritari dai due nuovi leader del G7 e quale sara il corso dei rapporti con la nuova presidenza Usa.

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Beppe blinda Virginia e mette a tacere gli ortodossi. Raggi: “Non mi dimetto. Alcuni contro di me? Me ne faccio una ragione”.

Beppe Grillo furioso. Non con Virginia Raggi bensì con chi, nel Movimento 5 Stelle, ha attaccato il sindaco di Roma per la polizza vita stipulata per “motivi affettivi”, nel gennaio 2016, in suo favore da Salvatore Romeo, divenuto ad agosto capo della segreteria con uno stipendio triplicato. Insomma, ancora una volta, il leader pentastellato nel pomeriggio ha mandato un chiaro messaggio ai naviganti, che in sostanza è riassumibile così: “Guai a chi parla, nessuna dichiarazione contro Virginia. Sarà lei e solo lei a parlare”. Decide così di far andare il sindaco in tv e affida la preparazione della performance a Rocco Casalino, il punto di raccordo tra i vertici del Movimento e Roma. “Nel Movimento alcuni contro di me? Ci sono persone che ti amano e persone che ti amano meno, facciamocene una ragione e andiamo avanti”, dirà ospite di ‘Bersaglio mobile’.

Il primo cittadino della Capitale viene quindi blindato ancora una volta da Grillo e Davide Casaleggio. Raggi va avanti. “Ho la fiducia del Movimento, ho anche sentito Grillo”. Niente dimissioni, anche se “non posso dire di non averci pensato, in questi mesi”, ammette. Dopo il diktat del leader, nessuno ha parlato ufficialmente né tra i pragmatici né tra gli ortodossi. Questi ultimi che, fino a poche ore prima delle indicazioni arrivate da Grillo, invocavano il giudizio della Rete, adesso sulla storia della polizza, sempre a taccuini chiusi, tendono a sminuire, come chiesto loro espressamente dal leader. Leader che non ha concesso, e per adesso non ha alcuna intenzione di farlo, il voto degli iscritti, anzi ha invitato tutti ad abbassare i toni e ad entrare nel merito della questione il meno possibile. Alessandro Di Battista, per esempio, nel post scriptum su Facebook annota: “Questa sera Virginia Raggi risponderà a tutte le domande”. Mentre Beppe Grillo condivide sul suo blog la nota in cui il sindaco dice che fino a ieri non era a conoscenza delle polizze assicurative.

Stessa linea difensiva utilizzata in tv. “A Romeo chiederò perché non mi ha avvertito, non averlo saputo è stata una cosa spiacevole. E quando lo vedrò – dice Raggi – gli chiederò di cambiare il beneficiario della polizza perché solo l’idea di questa polizza mi mette ansia”. Poi racconta di aver conosciuto l’ex capo della segreteria nel 2013, “lui ci ha aiutato tantissimo quando eravamo consiglieri di opposizione. Nel tempo si è consolidato il rapporto con tutti e quattro del gruppo, si è consolidata un’amicizia, lui ci ha presentato Raffaele Marra, poi era mortificato per averlo fatto. Per quanto riguarda Marra era una persona molto competente, in qualche modo ci ha fatto capire come funzionava la macchina del Comune”.

Sta di fatto che dopo l’interrogatorio fiume di ieri sul caso Marra e le rivelazioni sulle polizze vita, oggi a Palazzo Senatorio è trascorsa un’altra giornata campale. Nel bel mezzo arrivano anche le parole di Salvatore Romeo all’agenzia Ansa in cui si difende dicendo che le polizze “non hanno nulla a che vedere con il Movimento, né tantomeno sono state aperte a favore di suoi esponenti in modo da favorire Virginia Raggi piuttosto che un altro candidato alle primarie per la scelta del Sindaco di Roma. Grave e non vera è la tesi secondo cui le somme con cui sono state aperte tali polizze non sarebbero state in realtà mie ma di terzi, con ciò facendomi passare per un tesoriere occulto o un prestanome”.

Poco dopo Raggi aggiunge: “Credo che Romeo abbia commesso una grande leggerezza, voglio vederci la buona fede”. Poi chiede: “Basta gossip, sono sindaca di una capitale che deve rinascere”. “Non ho ricevuto un solo euro” dalle polizze, dirà poi, minacciando querele. E Romeo: “voglio chiarire che non c’è stata e non c’è alcuna relazione fra me e Virginia Raggi”. La procura fa sapere che le polizze per l’allora aspirante sindaca – una da 30 mila euro del gennaio 2016 e priva di scadenza, l’altra da 3.000 euro con scadenza 2019 – non hanno rilevanza penale “in quanto non emergerebbe un’utilità corruttiva”. Anche Romeo conferma di averle stipulate senza dirglielo: “Per una grande stima e amicizia nei suoi confronti”. Ma i pm vogliono comunque capire se ci fossero motivazioni diverse da quelle indicate dal titolare delle assicurazioni sulla vita.

Nel M5S i dubbi, seppur messi a tacere, rimangono tra i militanti e i consiglieri comunali che appaiono preoccupati e divisi. Si aspettano sviluppi giudiziari, qualcuno tra i corridoi di Camera e Senato teme che non sia finita qui. Intanto però toni bassi fino a nuovo ordine.
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Angela Merkel: “Il futuro dell’Unione europea potrebbe essere a due velocità”

Angela Merkel sostiene che i leader europei potrebbero impegnarsi su un’Unione europea “a differenti velocità” quando si incontreranno a Roma il prossimo 25 marzo per le celebrazioni del 60esimo anniversario del Trattato di Roma.

I 27 Paesi dell’Unione europea a Roma dovranno tracciare una tabella di marcia per il dopo Brexit. “Abbiamo imparato dalla storia degli ultimi anni – dice la Cancelliera al termine del vertice a Malta – che ci potrebbe essere un’Europa a differenti velocità e che non tutti parteciperanno ai vari passi dell’integrazione europea”.

“Ritengo – aggiunge Merkel – che questo potrebbe essere incluso nella dichiarazione di Roma”, in cui si traccerà un piano per i prossimi dieci anni, che tenga conto della crisi dell’Eurozona, della Brexit, del flusso dei migranti, del conflitto ucraino e delle nuove sfide che vengono dall’amministrazione Trump.

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Louvre, uomo tenta di aggredire guardia con un coltello. Il militare apre il fuoco. Chiuso il museo e transennata la zona

Un militare di guardia al piccolo arco di trionfo del Carrousel, a due passi dal Louvre, nei giardini delle Tuileries, ha sparato contro un uomo che avrebbe tentato di aggredirlo, e secondo alcune fonti avrebbe avuto con sé una valigia. Il ministero dell’Interno francese ha diramato un avviso chiedendo di agevolare l’accesso nell’area alle forze di sicurezza.

In seguito a quello che il ministero degli Interni definisce “un grave evento di pubblica sicurezza”, il quartiere del Louvre è stato completamente transennato, il museo resta chiuso, così come il vicino Palais Royal. L’aggressione sarebbe avvenuta nei pressi del Carrousel du Louvre, nel corridoio delle boutique, attorno alle 10.

Da quel che si conosce l’aggressore del militare davanti al museo del Louvre è stato ferito a una gamba, in modo piuttosto grave. L’uomo – secondo la ricostruzione di Luc Poignant, portavoce del sindacato SGP di polizia, intervistato da BFM-TV – ha provato ad entrare nel corridoio delle boutique del Carrousel du Louvre con una valigia. Fermato dalla sicurezza ha insistito per entrare, un militare si è avvicinato e l’uomo ha tentato di aggredirlo con un coltello.
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Dario Franceschini in campo tra Renzi e Bersani: “No agli strappi. E non si dica ‘voto’ senza legge”. Calenda isolato nel governo

Quando nel Pd il gioco si fa duro, quando volano gli stracci e tutto sembra crollare, scende in campo Dario Franceschini. Il ministro dei Beni Culturali media tra Matteo Renzi e Pierluigi Bersani, tra l’opzione ‘voto a tutti i costi entro giugno’ e l’opzione ‘prima il congresso e poi il voto nel 2018’. Franceschini non parla di date. Dice che soprattutto bisogna pensare a “come” si arriva al voto. E non si può dire “voto” senza prima aver compiuto tutti i passaggi fondamentali per arrivarci per bene: la legge elettorale e il cammino più consono all’unità nel Pd.

Tutto questo Franceschini lo spiega al Corriere della Sera in un’intervista che esce domani, a 24 ore da quella del ministro allo Sviluppo Economico Carlo Calenda, convinto sostenitore del no al voto anticipato. Ecco, una cosa per ora è chiara: Calenda è isolato nel governo. Nemmeno Franceschini gli dà sponda. Tantomeno Graziano Delrio, uno dei ministri rimasti ancorati fino in fondo alla linea del segretario del Pd. “E’ vero che ci sono delle emergenze, Calenda ha ragione, ma un governo come questo può affrontare queste emergenze? – dice Delrio ospite di Bianca Berlinguer su Raitre – Serve un governo legittimato per questo e le elezioni fanno parte delle democrazie”.

Franceschini non è così ‘schiacciato’ su Renzi. E ci tiene anche a togliersi qualche sassolino dalle scarpe. Pensa che sia un successo essere riusciti a “parlamentarizzare” la discussione sulla legge elettorale dopo la sentenza della Consulta sull’Italicum. Un successo, visto che invece la prima reazione del segretario del Pd è stata “andiamo al voto, la legge c’è”. Non c’è ancora, sostiene Franceschini, convinto in questo di avere un forte assist al Colle da Sergio Mattarella. E dunque bisogna che il Parlamento ci lavori: partenza il 27 febbraio alla Camera, c’è un mese di tempo per farsi trovare pronti all’appuntamento.

Insomma, non si può parlare di voto senza prima aver effettuato questi passaggi, è il ragionamento di Franceschini. E’ questa la stoccata a Renzi, il freno all’ansia del segretario di correre alle urne. Un freno che sia Franceschini che Orlando si sono premurati di comunicare a Renzi negli incontri di questi giorni.

L’obiettivo è stabilire una tregua nel Pd, intanto. “Procedere senza strappi”, dice Franceschini nel tentativo di riacchiappare sia Bersani e le sue minacce di scissione che Renzi e la sua fissazione di andare al voto entro giugno, costi quel che costi.

Il quadro sembra così ricomposto. Per ora. Time out per i pasdaran di entrambi i fronti. Anche Paolo Gentiloni isola Calenda: “Posizione personale”. Pur sottolineando che “non sono io a decidere la durata della legislatura: spetta al Parlamento, al presidente della Repubblica, alla dialettica tra le forze politiche alle quali guardo con il massimo rispetto”, specifica il premier.

Ma Calenda lascia una scia. I bersaniani guardano a lui come possibile nuovo leader. Più volte Bersani ha espresso apprezzamenti sul ministro, i contatti tra Calenda e l’ex segretario hanno finito per rovinare i rapporti con Renzi. Ma soprattutto tra i parlamentari Pd prevale la convinzione che dietro Calenda e il suo no al voto anticipato ci sia un pezzo di mondo imprenditoriale. Nello specifico il capo di Confindustria Vincenzo Boccia.

Del resto Calenda viene da lì, creatura di Luca Cordero di Montezemolo, arrivato in politica con Monti e Scelta civica, promosso da Renzi ambasciatore nell’Ue e poi ministro al posto della Guidi. Poi la fine dell’idillio. E ora i bersaniani lo ‘pesano’ come possibile ‘nuovo Prodi’. Già prima del referendum costituzionale, il suo nome girava come possibile premier dopo Renzi in caso di sconfitta. I renziani invece approfondiscono i propri sospetti su di lui. Per niente sorpresi dalla sua intervista al Corriere, ora però si chiedono se dietro non ci siano anche quei poteri europei che chiedono all’Italia una manovra correttiva e che quindi non vedono di buon occhio il voto anticipato.
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