Enrico Rossi: “Una patrimoniale per finanziare gli investimenti pubblici”

“Tortuosa è la strada dell’asino, dritta quella dell’uomo, scriveva il grande architetto Le Corbusier. Ecco, io ho scelto di seguire la strada dritta, Emiliano quella dell’asino”. Così Enrico Rossi, presidente della Toscana, in un’intervista alla Stampa commenta l’improvviso dietrofront del collega pugliese.

“Domenica sera abbiamo firmato con lui e Roberto Speranza una nota durissima che annunciava la scissione. Poi l’ho sentito lunedì in giornata, mi ha detto che ci saremmo risentiti la sera. Ma quella telefonata non è arrivata. Non ha concordato nulla con noi”, ha raccontato Rossi precisando che “ognuno segua la sua strada, il suo istinto”.

“Domenica – ha continuato – la relazione di Renzi e gli interventi successivi sono stati bastonate contro di noi. In quel momento ho detto che avrei lasciato il partito per costruire una nuova forza politica di sinistra e ora tengo la barra dritta, anche se non è facile. Lo faccio per ragioni profonde, non certo per la data del congresso. Non me la sento di partecipare a un congresso che sarà solo una reincoronazione di Renzi”.

Rossi precisa: “io voglio parlare di lavoro, di proposte per la redistribuzione del reddito. Le condizioni per restare non ci sono, il Pd non è più il mio partito, da Renzi ci divide l’analisi sulla società italiana e le risposte da dare alla crisi in una fase in cui le persone più deboli si rivolgono ai Trump”. Dalla base in Toscana, “c’è stata una reazione negativa, è inutile negarlo. Ma avrò modo di spiegare le mie buone ragioni. Il tempo lavorerà per noi, ci sono milioni di lavoratori e precari che hanno già lasciato il Pd a cui vogliamo dare risposte”.

Obiettivo del presidente toscano è creare “una forza di sinistra nuova, non una replica del passato, con ricette economiche molto diverse da quelle di Renzi: niente bonus ma una patrimoniale per finanziare gli investimenti pubblici e una seria lotta al precariato. Ma ricordo che il nostro avversario è la destra, non il Pd. Coi dem bisognerà provare a ricucire, anche immaginare un’alleanza”.

Per quanto riguarda il leader del nuovo partito “dovremo trovare il modo di allargare la partecipazione, di aprirci: non esistono solo i gazebo”. E conclude: “Io non cerco posti in Parlamento, voglio restare alla guida della mia Regione e le condizioni ci sono. Sui programmi l’accordo col Pd è pieno. Ma qualche contraccolpo non lo escludo: se gli altri vorranno far saltare tutto dovremo prenderne atto”.


Notizie Italy sull’Huffingtonpost

Spari all’ospedale Ben Tub di Houston in Texas. Evacuati i pazienti, la polizia perquisisce la struttura

Paura all’ospedale Ben Tub di Houston, nel Texas Medical Center, uno dei centri medici più grandi del mondo per alcuni colpi di arma da fuoco che sono stati sparati all’interno della struttura. Secondo quanto riferito da portavoce della polizia, Kase Smith, la sparatoria è avvenuta alle 14 locali. Sul posto sono accorse le forze dell’ordine ma non è dato di sapere se ci siano feriti o vittime. Alcuni pazienti sono stati trasportati fuori in barella e sembra sia in corso l’evacuazione dell’ospedale. Alcuni bambini della St. Mark’s Episcopal School, una scuola privata nelle vicinanze della struttura stavano visitando l’ospedale al momento della sparatoria ma sembra siano al sicuro, sebbene ancora all’interno.


Notizie Italy sull’Huffingtonpost

Margot Robbie sceglie l’elettrica

Senti parlare di “BladeGlider” e subito ti vien da pensare all’ennesimo filmone di fantascienza, tanto più che di mezzo c’è pure Margot Robbie, l’avvenente diva hollywoodiana.

Ma l’ultimo ruolo interpretato da Margot non è sul set — sarà lei la prossima ambasciatrice del nuovo veicolo elettrico Nissan. L’iniziativa, che punta a diffondere la consapevolezza dei motori elettrici, si sposa con la passione della star di “Wolf of Wall Street” per un futuro più sostenibile. La strategia sostenibile della Nissan è quella diminuire del 50% le emissioni d’anidride carbonica entro il 2030.

bladeglider

Per mettere alla prova la stoffa dei suoi nuovi partner, la protagonista di “Suicide Squad” s’è messa al volante della BladeGlider. Il veicolo di concezione radicale, completamente elettrico, è ben più di un’automobile sportiva, e rappresenta una sintesi fra tecnologia, sostenibilità e puro divertimento.

Durante una corsa ad alta intensità la Robbie — nota per interpretare in prima persona le scene d’azione nei suoi film — ha testato su strada il prototipo a emissioni zero, sfrecciando sulla tre-posti a mezzanotte lungo il celebre circuito del Grand Prix di Monaco.

“Per i veicoli elettrici questo è un momento eccezionale”, ha dichiarato la Robbie, riconoscendo come l’esperienza avesse completamente rivoluzionato la sua percezione di quelle che possono essere le prestazioni di un’automobile esclusivamente alimentata a corrente. “Se da un lato la BladeGlider rappresenta il futuro delle automobili più smart e performanti — dall’altro sempre più automobilisti stanno scegliendo di passare all’elettrico, guidandoci verso un futuro più sostenibile”.

La Nissan ha progettato e sviluppato la BladeGlider per ampliare la propria visione di quello che è il potenziale dei veicoli completamente elettrici, e della forza che portano dentro di sé. In quanto casa automobilistica produttrice dell’auto elettrica più venduta al mondo — la LEAF — la Nissan sta anche rivoluzionando il modo in cui l’energia viene generata e adoperata, con prodotti come la sua unità domestica intelligente xStorage, che permette agli utenti di accumulare energia sostenibile grazie a una tecnologia “vehicle-to-grid” fondata sulle batterie dei veicoli elettrici.
La BladeGlider della Nissan resterà in mostra all’87esimo Motor Show internazionale di Ginevra dal 7 al 19 marzo 2017.

Traduzione di Stefano Pitrelli

Margot Robbie prova la “BladeGlider” sul circuito di Montecarlo (VIDEO)

Scopri il mondo della sostenibilità, visita Electrify the World, – un’iniziativa Nissan per la mobilità intelligente

• Segui gli aggiornamenti sulla nostra pagina Facebook

• Per essere aggiornato sulle notizie de L’HuffPost, clicca sulla nostra Homepage
• Iscriviti alla newsletter de L’HuffPost

Notizie Italy sull’Huffingtonpost

Congresso Pd: A.A.A. cercasi avversario anti-Renzi. Nessun segnale a Emiliano: domani Matteo non parla in direzione

“A.A.A cercasi avversario per primarie che non siano finte e che non siano un flop”. Al Nazareno lo potrebbero scrivere anche in bacheca all’ingresso, visto che da ieri sera, mentre infuriano i venti (incerti) di scissione sul Pd, la ricerca è ufficialmente iniziata. Matteo Renzi infatti non ha intenzione di fare ulteriori concessioni. Domani, se sarà presente in direzione nazionale, nemmeno prenderà la parola, in quanto da ieri è “segretario dimissionario”, sottolineano dal Nazareno. Quindi l’ultima richiesta di Michele Emiliano (“Un segnale e resto”) cade nel vuoto. “Renzi parli in direzione”, chiede Francesco Boccia, vicino a Emiliano. Ma per Renzi e per il reggente Matteo Orfini quella di domani sarà solo una direzione “burocratica” che elegge la commissione congressuale. Il dibattito è finito ieri in assemblea. Il tempo è scaduto.

E allora al Nazareno si mette in conto l’eventuale abbandono del campo da parte di tutti e tre i candidati alternativi a Renzi: Enrico Rossi, Roberto Speranza e anche Michele Emiliano. Il problema è serio: il segretario fa le primarie da solo? Da ieri Renzi fa trapelare che Cesare Damiano sarebbe un buon candidato per la sinistra del partito: non ha in mente propositi scissionisti, viene dalla Cgil, insomma può essere una certezza per giocare la partita o almeno una partita. Già perché comunque Renzi vorrebbe anche che le primarie siano un successo, con le code ai gazebo. Un partito ferito dalla scissione può garantire questo risultato?

I luogotenenti renziani sono alla ricerca di una risposta. Obiettivo: trovare un modo per rivitalizzare quel che rimarrà del Pd dopo la scissione. Non a caso i renziani la chiamano “abbandono della minoranza”, già sono al lavoro per esorcizzare il demone della spaccatura: almeno con il linguaggio. Missione: non finire come Forza Italia che ha sempre votato il leader, l’unico leader, Silvio Berlusconi per acclamazione.

Già il passo in avanti di Andrea Orlando, che offre di candidarsi se non c’è la scissione, potrebbe risolvere il problema, dar vita alla battaglia. Ma se il Guardasigilli non ha truppe non si candida, risulta al quartier generale renziano. “Non vuole fare un congresso finto”, dicono dall’attuale maggioranza del partito. E allora chi? Al di là delle preferenze del segretario – che già è ben strano che sia lui a scegliersi e invogliare l’avversario – lo stesso Damiano conferma con Huffington Post che lui rimane a “presidiare il campo alternativo a Renzi nel Pd”. E insieme a Gianni Cuperlo è partita anche dalla stessa sinistra la ricerca del candidato da contrapporre al segretario.

Chi sarà, dipende molto dalle scelte finali di Orlando. Ma si tratta di un’area che potrebbe rimettere insieme ex Diessini del calibro di Anna Finocchiaro, ora ministro per i Rapporti col Parlamento, una parte dell’area di Maurizio Martina, se non proprio lo stesso ministro all’Agricoltura che finora è rimasto al fianco di Renzi. E poi anche una parte di Giovani Turchi, quelli che stanno con Orlando e non con Matteo Orfini, il presidente alleato con Renzi.

“E’ una forza di sinistra che va presidiata, va rappresentata. Anche nel caso in cui corresse pure Emiliano”, ci dice Damiano in Transatlantico alla Camera.

Ecco il punto. Nella sua ricerca di un avversario per giustificare le primarie, Renzi ha chiaro in testa che l’ideale sarebbe avere sfidanti che mobilitano le masse. E in questo Emiliano è una garanzia: agitatore di popolo, toni alti, un po’ grillino, anti-renziano con stile renziano, alla fine. Insomma, paradossalmente il governatore pugliese potrebbe rianimare un partito esangue. Se in gara ci fosse anche lui, oltre al candidato della sinistra, il gioco sarebbe fatto. E sarebbe esorcizzato anche l’altro demone: ovvero riproporre alle primarie la vecchia contrapposizione Ds-Margherita, da una parte gli ex Pci, dall’altra Renzi.

Certo, alla fine dei conti, resta da vedere come risponderà la base dopo lo spettacolo di questi giorni.

Sono questi i calcoli della vigilia di una direzione nazionale (domani alle 15 al Nazareno) che – colpo di scena – potrebbe non mettere un punto alla saga della scissione. Come l’assemblea di ieri, insomma: ancora limbo, a meno che gli scissionisti non decidano di stracciare la tessera e dire esplicitamente addio. Finora i più chiari in questo senso sono stati Speranza e Rossi, annunciando di non partecipare alla direzione. Ma anche se non entrano nella commissione congressuale che verrà eletta domani, possono sempre entrarci in un secondo momento. In quanto da statuto la commissione viene integrata di un rappresentante per candidato al momento della presentazione delle candidature ufficiali.

In Transatlantico alla Camera ce lo spiega Antonello Giacomelli, sottosegretario allo Sviluppo Economico, esponente dell’area di Franceschini (Areadem), uno che ieri non ha avuto peli sulla lingua a dire in assemblea “Il congresso si chiude prima delle amministrative”, prendendo la parola subito dopo Emiliano. “E’ un diritto del candidato alla segreteria avere un proprio rappresentante nella commissione, non un obbligo – dice Giacomelli – E comunque possono entrarci anche solo al momento della presentazione della candidatura ufficiale”.

Al congresso del 2013 la commissione congressuale era composta da 19 esponenti, di cui un solo renziano: Lorenzo Guerini. Ad ogni modo, domani la direzione non indicherà date né per le primarie, né per la presentazione ufficiale dei candidati. Sarà la commissione congressuale a stabilirle. Quando? Nel più breve tempo possibile, confida Renzi che, man mano che si consuma la ‘saga’ della scissione, immagina i gazebo nel periodo che va dal 9 aprile al 7 maggio, al massimo. Ad oggi infatti sembra caduta anche l’ultima idea del 14 maggio, pensata ieri per dare una settimana in più a Emiliano.
Notizie Italy sull’Huffingtonpost

Telefono di Adolf Hitler venduto all’asta negli Usa per 243mila dollari: “Una delle armi più distruttive di tutti i tempi”

A causato milioni di morti e ora è stato venduto all’asta per un cifra davvero alta. Il telefono di Adolf Hitler è stato infatti battuto per 243.000 dollari. Ritrovato nel bunker del Fuhrer a Berlino, è stato conservato finora in una scatola in una tenuta di campagna inglese ed è stato venduto dalla case di aste Alexander Historical Auctions, a Chesapeake City, in Maryland. Nel presentarlo ai potenziali acquirenti è stato descritto come “una delle armi più distruttive di tutti i tempi, avendo causato la morte di milioni di persone”.

Ad aggiudicarsi il telefono, realizzato in bachelite dall’impresa tedesca Siemens, è stato un “collezionista privato del Nord America”, ha spiegato il vice presidente di Alexander Historical Auctions, Andreas Kornfeld, senza fornire altri dettagli sul misterioso compratore.

Fino a oggi il dispositivo era rimasto in una valigetta di cuoio che il britannico Ranulf Rayner, 82 anni, aveva ereditato dal padre, il brigadiere Ralph Rayner, forse il primo militare non sovietico a entrare nel bunker di Hitler. Originariamente il telefono, che Hitler ricevette dalla Wehrmacht e usò negli ultimi due anni della Seconda guerra mondiale (1939-1945), era di colore nero, ma fu poi dipinto di rosso. Oggi si presenta infatti rosso, con la vernice screpolata. Sul retro dell’apparecchio si legge chiaramente il nome di Adolf Hitler a stampatello, inciso insieme all’aquila e alla svastica che adottò come simbolo del partito nazista.

“È stato il dispositivo mobile di distruzione di Hitler”, sottolinea la casa d’asta, precisando che probabilmente il leader del Terzo Reich diede alcuni dei suoi ultimi ordini con questo telefono prima di suicidarsi il 30 aprile del 1945 nel ‘Führerbunker’, cioè nel suo rifugio antiaereo sotterraneo a Berlino.

Alcuni giorni dopo che l’esercito sovietico aveva preso il controllo di Berlino, il brigadiere Ralph Rayner eseguì un ordine del maresciallo da campo britannico Bernard Montgomery, che nella Luneburg Heath aveva accettato la resa incondizionata delle forze naziste dispiegate in Germania, Olanda e Danimarca. Rayner (1896-1977) ricevette dunque l’incarico di stabilire un contatto con l’armata rossa a Berlino, dove fu finalmente ricevuto dai soldati sovietici, che lo invitarono a visitare il bunker di Hitler.

Come regalo, i militari sovietici gli offrirono il telefono nero trovato nella stanza di Eva Braun, compagna del Führer, ma l’ufficiale britannico rifiutò l’offerta con educazione e scelse un altro telefono, rosso, che era vicino al letto di Hitler. “Disse ai russi che era il suo colore preferito, il che piacque abbastanza ai russi”, ha raccontato recentemente alla Cnn il figlio del brigadiere, che ha appunto conservato il telefono in una casa di campagna in Inghilterra fino all’asta.

Notizie Italy sull’Huffingtonpost

Assemblea Pd. Matteo Renzi: minoranza spaccata, scissione arginata, via al congresso. Per Emiliano primarie il 14 maggio

Un primo momento clou della giornata arriva quando su Raitre Pierluigi Bersani dice di voler attendere la “replica di Renzi” prima di decidere sulla scissione. In quel momento Matteo Renzi condivide con i suoi la certezza che non avrebbe replicato. “La linea non cambia, quel che avevo da dire l’ho detto in apertura”. Dimissioni da segretario e congresso subito. Ma tutta l’assemblea del Pd ruota intorno a Michele Emiliano, il governatore pugliese che ieri si è fatto fotografare con gli altri due candidati alla segreteria, gli scissionisti Roberto Speranza ed Enrico Rossi, e oggi invece: “Che fa? Si scinde? Va o resta?”, si chiedono tutti al Parco dei Principi, hotel a due passi dallo zoo di Villa Borghese a Roma. Per Emiliano le primarie potrebbero slittare di una settimana: dal termine ultimo del 7 maggio al 14 maggio. Non di più, ma abbastanza per tenerlo dentro, confidano i renziani.

Renzi gongola per il risultato raggiunto. Per lo meno, il fronte scissionista si è spaccato. Anche se a sera Emiliano firma una nuova nota minacciosa con Rossi e Speranza. Al quartier generale renziano la considerano un altro segnale di sbandamento. Quella di oggi doveva essere l’assemblea della scissione. E’ stata invece l’assemblea che l’ha rimandata, ridimensionata o definitivamente archiviata. L’ultima parola la dirà la direzione di dopodomani. E’ il termine ultimo per gli scissionisti: dentro o fuori, giacché la direzione, convocata al Nazareno alle 15, dovrà comporre la commissione congressuale che deciderà le regole con la partecipazione di tutte le aree del Pd. Dentro o fuori.

Eppure al mattino i presagi erano terribili. “Attenzione, sono arrivati per rompere oggi stesso…”. Dario Franceschini, gran mediatore anti-scissione in questi giorni, arriva con questo avvertimento per il segretario. Davanti all’Hotel Parco dei Principi di Roma si affollano gli oltre 700 delegati, mai così tanti, ressa agli ingressi tra piddini e giornalisti, cameramen e fotografi, Enrico Lucci delle ‘Iene’ vestito da Stalin, divisa sovietica e baffetti: un vero Carnevale della politica.

L’aspettativa era da fine del ‘mondo Pd’. Il partito si presenta all’appuntamento del 19 febbraio così acciaccato che quando il presidente Orfini in apertura di seduta conferma le “dimissioni del segretario” e invita a raccogliere “117 firme se qualcuno vuole candidarsi a segretario”, tutti scoppiano a ridere. Quasi a volersi liberare dei fantasmi. Il premier Paolo Gentiloni è muto accanto a Renzi, apre bocca solo per cantare l’inno nazionale. Sulle scale tra la sala dell’assemblea e la sala stampa, il vicesegretario Lorenzo Guerini chiede lumi a Rossi: “Parlate?”. “No, siamo qui per ascoltare…”, è la risposta. Nessuno ci capisce più niente. Però la scaletta è organizzata in maniera tale da scongiurare la rottura.

“La scissione conosce ragioni che il cuore non conosce”. All’inizio sembra che Renzi scarti baci Perugina e ne legga le massime. Un minuto di applausi per lui in aperture. “Fermiamoci!”, chiede, fermo sul suo punto irrinunciabile: il congresso da svolgersi prima che entri nel vivo la campagna per le amministrative di giugno. E’ furioso con la minoranza, con Bersani, presente in sala: “Peggio della parola ‘scissione’ c’è la parola ‘ricatto’, non è accettabile che si blocchi il partito sulla base di un ricatto della minoranza”. Gli ultrà renziani scoppiano in applausi. Franceschini resta a mani incrociate, sguardo teso.

“Io non accetto che qualcuno pensi di avere il copyright della parola sinistra – continua Renzi – anche se non canto ‘Bandiera rossa’, penso che il Pd abbia un futuro che non è quello che altri immaginano…”.

Ce l’ha anche con D’Alema, il vero motore della scissione, assente al Parco dei Principi: “La sinistra non è come dire capo-tavola è dove mi siedo io…”. E per Emiliano: “Si può dire io non sono d’accordo ma poi ci si misura al congresso…”. Una spolverata di contenuti, tra recupero di Keynes e ambiente, e poi il Lingotto, “ripartire da lì a marzo: grazie Walter per essere venuto qui”. Ancora con la minoranza: “Avete il diritto di sconfiggerci non di eliminarci”. Chiusura su Joseph Conrad di ‘Linea d’ombra’: “Accogliendo il bene e il male, le rose e le spine, si va avanti. Scusatemi se in questi due mesi abbiamo zigzagato un po’ troppo”. I pasdaran del renzismo si scatenano.

L’assemblea prosegue in accorati appelli all’unità. Si scomoda anche Veltroni che di solito non partecipa: “Era e sarà giusto così”, precisa. “Ma oggi è mio dovere dire quanto mi sembri sbagliato e ingiusto ciò che sta accadendo: mi appello a tutti coloro con cui abbiamo condiviso la strada affinché la loro strada non si separi dalla nostra…”. E via con la cronistoria delle scissioni: “Se il primo governo Prodi avesse proseguito, la storia italiana avrebbe avuto un altro corso…”. Applausi. “La sinistra quando si è divisa ha fatto male a se stessa e al paese…”.

A quel punto il grosso è fatto. Franceschini, ancora convinto sostenitore del premio di coalizione, avverte che il Pd non dialogherà automaticamente con tutti alle politiche, scissionista avvisato… Orlando chiede la conferenza programmatica. Cui si aggrappa anche Emiliano, “disperato”, come si definisce lui stesso in mattinata. Su di lui si consuma la grande attesa della giornata. Soprattutto dopo che Rossi e Speranza scelgono di non intervenire, affidando il loro messaggio a Epifani, che prende tempo sulla scissione.

Emiliano invece interviene. Ed è già uno strappo. Gli altri due si arrabbiano, ma il governatore dà sfogo al suo dolore: “Si soffre da matti…”. E via con una serie di giri che in sostanza chiedono a Renzi un appiglio per poter restare nel Pd e accettare la sfida congressuale: “Ci mancherebbe che qualcuno ti dica di non candidarti al congresso…”. Brusio in sala. “Le agenzie di ieri le abbiamo smentite…”. Ancora brusio. “La saggezza di chi fa politica non sta solo nel tenere il punto, ma qualche volta sta nel fare un piccolo passo indietro per farlo fare in avanti alla comunità. Io sto provando a farlo, ditemi voi quale per la comunità, senza mortificare nessuno”.

Emiliano chiede un po’ di tempo in più affinché anche gli altri candidati possano “presentarsi al partito…”. Potrebbe essergli concessa una settimana in più: primarie il 14 maggio. Ma intanto i renziani si sono scatenati in tweet, senza pietà e con l’euforia incredula di chi ancora oggi si sente di poter dire: l’abbiamo quasi sfangata.



Notizie Italy sull’Huffingtonpost

La mamma della ragazza morta in Val di Susa: “Mia figlia sotto la valanga. Ho capito che era grave: il telefono squillava a vuoto”

I corpi senza vita dei tre giovani dispersi sul Monte Chaberton in Val di Susa, venerdì pomeriggio, sono stati ritrovati ieri mattina alle 8 al fondo del canale nord est della montagna che divide Francia e Italia. Sono di Margherita Beria d’Argentina, 24 anni, una lontana parentela con la famiglia Beria di Argentine e figlia del sindaco di Sauze di Cesana; del fidanzato Antonio Lovato Dassetto, 28 anni, nato a Verona, e di Adriano Trombetta di Torino, 38 anni, guida alpina dal 2003.

Si legge su Repubblica:

La ragazza aveva mandato una foto alla mamma intorno alle 11 dalla cresta della montagna dopo aver fatto insieme agli amici tutta la salita con le pelli di foca. Da quel momento non ha più dato notizie e alle chiamate insistenti di parenti e amici preoccupati tutti i telefoni suonavano a vuoto. «Già venerdì – ha detto Maurizio, il papà di Margherita, a
Valsusa – oggi avevo il presentimento che fosse avvenuto qualcosa di brutto. Intorno alle 17,30 ho provato a chiamare Margherita sul cellulare ma non rispondeva, anche se suonava libero. Anche Antonio non rispondeva… allora ho chiamato il maresciallo di Sestriere, ero preoccupato. Mia moglie è andata a Monginevro, e quando ha trovato l’auto ho avuto la certezza che fosse successo qualcosa di grave». Margherita Beria sciava da quando era bambina, maestra di sci e molto conosciuta in Valle.

Notizie Italy sull’Huffingtonpost

Assemblea dem, estremo appello di Dario Franceschini: Congresso in autunno per salvare il Pd

Congresso in autunno per salvare il Pd. È l’estremo appello di Dario Franceschini, l’ultima supplica con Matteo Renzi per fermare la macchina che sta stritolando il partito. Mentre al Testaccio a Roma Emiliano, Rossi e Speranza intonano bandiera rossa, di fatto un de profundis al Pd, si consuma anche l’ultimo braccio di ferro tra il segretario e il ministro.

Il primo duro, inflessibile, rigido, convinto che parte della minoranza “va via comunque, qualunque cosa faccia”. Il secondo mediatore, da giorni, spasmodicamente intento a tessere la tela che – confida ancora Franceschini – può tenere insieme tutto. La minoranza vuole più tempo, chiede il congresso a scadenza naturale. Fa niente se qualche settimana fa l’ha chiesto immediato: se celebrare l’assise a ottobre serve a salvare il Pd, che sia.

Ma Renzi non ne vuole sapere. A sera dice al ministro che potrebbe valutare una mossa spiazzante, il congresso a ottobre appunto. Ma poi però lascia trapelare messaggi diametralmente opposti. E cioè che la linea decisa lunedì scorso e votata in direzione non cambia. Domani in assemblea verrà riconfermata: congresso subito, chi c’è c’è.

Renzi infatti resta convinto che – a differenza dei bersaniani e di D’Alema – alla fine i due governatori, Emiliano e Rossi, non diranno addio al Pd ma si misureranno nel congresso. Anche se oggi il governatore pugliese, dopo la bandiera rossa romana, è pure andato a Rimini per farsi fotografare con la sinistra di Vendola e con gli scissionisti di Sinistra Italiana: anche lì, che caos. Molto scenografico per Renzi: o solo scenografico.

Proprio per questo Renzi vorrebbe rimanere fermo sulla sua posizione. Mentre Franceschini non si rassegna: lui resta tra quelli che, pur sostenendo Renzi, vedono nubi all’orizzonte della scissione, nubi comunque anche per chi resta.

La notte porterà consiglio alla vigilia dell’assemblea. Ma è certo che, se scissione sarà, potrebbe ripercuotersi anche nei rapporti tra Renzi e Franceschini, l’asse finora più solido del renzismo, la garanzia più forte per il segretario: ora sottoposta a grande stress.
Notizie Italy sull’Huffingtonpost

Michele Emiliano: “Abbiamo convinto Renzi a sostenere Gentiloni fino alla fine”

“Adesso che abbiamo convinto Renzi a sostenere Gentiloni fino alla fine della legislatura senza fargli brutti scherzi, possiamo darci il tempo di riconciliarci e trovare le ragioni per stare ancora insieme”. Lo scrive su Facebook il presidente della Puglia Michele Emiliano. E lo fa a pochi minuti dall’inizio della manifestazione della minoranza Pd a Roma, dove parleranno sul palco i tre leader anti-Renzi: Roberto Speranza, Enrico Rossi e, appunto, Michele Emiliano. Un post mattutino, quello del governatore pugliese, che può essere interpretato come un tentativo di tenere ancora aperta la trattativa fino all’ultimo con l’ex premier per evitare la scissione e, in seconda battuta, smarcarsi dalla posizione più oltranzista di Massimo D’Alema.

Ecco il post integrale:

Ieri ho detto a Renzi che basterebbe fare una conferenza programmatica a maggio e le primarie congressuali a settembre per ricomporre un clima di rispetto reciproco e salvare il PD.
Adesso che lo abbiamo convinto a sostenere Gentiloni fino alla fine della legislatura senza fargli brutti scherzi, possiamo darci il tempo di riconciliarci e trovare le ragioni per stare ancora insieme.
Questo è il lavoro che deve fare il segretario. Rimettere insieme i cocci di anni difficili per ripartire insieme.
Senza questo lavoro le distanze politiche tra noi sono troppo grandi e non basterebbe una conta per evitare anche a breve nuovi dissensi e nuovi rischi di conflitto.
Diamoci una possibilità.

Intanto Emiliano non è il solo a pensare che la scissione sia ancora evitabile. “I margini per una trattativa ci
sono”: lo ha detto il ministro per i Beni culturali Dario Franceschini ai cronisti, entrando al Palazzo dei congressi a Firenze per consegnare un premio a Piero Angela.
Notizie Italy sull’Huffingtonpost

Massimo D’Alema certifica la scissione e presenta di fatto un nuovo partito: a sinistra per parlare ai delusi di Renzi e Grillo

Alle 19.30, a Lecce, cuore del suo Salento, Massimo D’Alema parla già da ex Pd: “La scissione non è un dramma o una tragedia. Certo non è una festa, ma è anche l’inizio di un processo di costruzione di un nuovo centrosinistra”. Pausa, tra gli applausi di una sala che non aspettava altro.

Roma è lontana, come le mediazioni che di ora in ora si consumano. Ed è lontano anche il Pd, a meno di 48 ore dall’assemblea di domenica. D’Alema chiede una “svolta profonda”, un “congresso vero”, ma, al tempo stesso, fa capire che non ci crede, convinto che, come ha spiegato nell’intervista al Corriere, Renzi non concederà nulla perché ha fretta di fare subito un plebiscito per puntare sul voto anticipato: “Renzi sa che sul lungo periodo può perdere tutto, e dunque accelererà. L’uomo ha ambizioni modeste, sa bene che non prende il 40 per cento, e punta a portare in Parlamento un gruppo di fedelissimi che gli ubbidiscano”.

Nell’intervento di D’Alema, oltre un’ora e mezza, c’è tutta l’antica sapienza del capo comunista alla vigilia di un passaggio storico. C’è l’abilità tattica di chi porta l’asticella in alto, consapevole che, nelle ultime ore, c’è chi può cedere a mediazioni al ribasso. La telefonata di Renzi a Emiliano, ad esempio, suona certo come una smentita di Delrio e del suo celebre fuori-onda, ma anche come un modo per tentare l’area dei dubbiosi attorno al governatore della Puglia sperando di staccarli dagli ex Pci. I codici della grammatica politica, avrà pensato D’Alema, avrebbero suggerito una telefonata a Bersani se mai Renzi avesse voluto aprire una trattativa vera. E invece ciò che sarà descritta come una mediazione in realtà è uno sgarro.

Ecco il discorso teso a scavare un punto di non ritorno nella trattativa o presunta tale. Ma non solo. Un’ora e mezza, per indicare la prospettiva, partendo dall’analisi del mondo, della nuova destra, non più liberista ma protezionista, passando per le politiche neoliberiste del governo Renzi, fino ad arrivare ai compiti del partito nella fase attuale, nel “radicale mutamento di scenario”. Partito che non è più il Pd. Il lìder Maximo parla di un “movimento in grado di tornare in mezzo al popolo” di fronte alla “deriva neocentrista del Pd”, ne tratteggia profilo, interlocutori e anima. Non una compagnia di combattenti e reduci che fa testimonianza, ma un movimento che “tenga aperta la prospettiva di una ricomposizione unitaria”: “Un movimento di questo tipo può raccogliere quelli che non votano più, quelli che non voterebbero mai più il Pd di Renzi, ne conosco svariate migliaia, e sarebbe in grado anche di contendere l’elettorato ai Cinque stelle”.

Nel decennale del Partito democratico e, per gli amanti del genere, nel più evocativo centenario della rivoluzione d’Ottobre, nella rottura del Pd l’auspicio di D’Alema è la rinascita di un centro-sinistra a due gambe, evocativa dello schema Margherita e Ds, in forma nuove: “La somma dei voti che questi due movimenti possono raccogliere è assai maggiore di quelli che può prendere il Pd”. Uno, appunto, è quello che nascerà dalla rottura di domenica, l’altro è il Pd, in cui è in atto da tempo una deriva neocentrista nelle politiche, su banche lavoro, utilizzo della flessibilità e nel partito.

“Iniettare populismo a bassa intensità non è un vaccino contro il populismo”, “se ci si mette a fare gli imitatori di Grillo e di Salvini gli elettori sceglieranno l’originale”, “non si sconfigge il populismo senza rimettere in campo un popolo”. C’è, nel primo discorso sul movimento che verrà, anche un tentativo, anche interno, di raddrizzare la linea su una scissione presentata e attaccata come una “scissione sul calendario”. Fredda, come fu la famosa fusione fredda che diede vita al Pd con la somma di Ds e Margherita. Tutto il discorso è teso a “politicizzare” la rottura, dandole solennità storica e ideale, con parole d’ordine che suscitino più entusiasmo e passione di uno statuto “scritto male”. E che rende le primarie un “plebiscito manipolato”, come accaduto a Napoli dove “aveva vinto Bassolino” (uno che guarda con interesse al nuovo movimento) o in Liguria “dove aveva vinto Cofferati” (altro interlocutore).

Meno due. E sabato all’iniziativa di Testaccio saliranno sul palco Speranza-Rossi-Emiliano. Al termine si chiuderanno in una stanza per scrivere un documento appello da portare all’assemblea di domenica: richiesta di una svolta, congresso a ottobre, sostegno del governo con qualche correzione di rotta. Bersani è pronto e non crede agli spifferi che raccontano di aperture di Renzi. Né lo convincono le mozioni degli affetti, ovvero le valanghe di appelli da ogni dove: “Ognuno – dicono i suoi – si deve prendere le sue responsabilità. Abbiamo posto questioni politiche, senza risposte, il sentiero è tracciato”. D’Alema è già oltre. Per non sbagliare gli organizzatori dell’evento a Testaccio hanno scelto canzoni molto evocative. A partire da Malarazza, di Domenico Modugno, che parla della ribellione degli ultimi di fronte ai padroni. “Tu ti lamenti, ma che ti lamenti? Pigghia nu bastune e tira fora li denti”.
Notizie Italy sull’Huffingtonpost