“Campo progressista”, Giuliano Pisapia ha l’obiettivo di allargare il fronte del centrosinistra, con una spinta dal basso

Allargare. La parola d’ordine della convention nazionale di “Campo progressista” dice molto del progetto di Giuliano Pisapia. Sabato al Teatro Brancaccio “La prima cosa bella” il lancio ambizioso e impegnativo, in una fase così faticosa per la politica e per i partiti di centrosinistra. Motivo in più per dare il palco della convention principalmente ad esponenti della società civile che si alterneranno nella mattinata romana. Poi, certamente, ci saranno anche quei pezzi del ceto politico che hanno già dichiarato il loro interesse per il progetto, dal nuovo Movimento Democratico e Progressista alle esperienze civiche delle amministratori locali che si sono riconosciute nella rivoluzione arancione sperimentata con successo dalla giunta milanese.

L’idea è quella di far emergere “quella spinta dal basso” che secondo Pisapia servirà a ridare l’ossigeno a una politica che ha perso legami e connessioni con la vita quotidiana e i problemi dei cittadini. Naturalmente ci saranno anche i personaggi noti della vita politica e istituzionale: da Laura Boldrini a Pierluigi Bersani, da Gad Lerner fino ai diversi esponenti di fede prodiana che vedono nel Campo progressista un’opportunità di rinascita di un nuovo Ulivo. Ma a parte il presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti che darà il suo saluto, le presenze note faranno un passo di lato con il preciso intento di non schiacciare “l’operazione Pisapia” nell’ennesimo movimento nato in laboratorio o calato dall’alto.

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campo progressita

Per ora le adesione arrivate da tutta Italia sono tantissime e per ora tutte le tappe toccate hanno fatto il pieno di attivisti e curiosi. Roma sarà però l’occasione per lanciare ufficialmente le “Officine delle idee”, vero cuore pulsante del Campo progressista, i luoghi dove nascerà il programma per governare l’Italia nel 2018. Non satellite di qualcos’altro dunque, dato che “il federatore” non vuole chiudere a nessuno. “Pisapia vuole parlare a tutto il popolo del Pd prima ancora che al partito”, dicono coloro che lo stanno affiancando in questa pre-partenza. Obiettivo ambizioso in tempi di scissioni e se ci sarà una legge elettorale proporzionale, si lavorerà comunque a un listone unico a sinistra, anche per riportare al voto molti elettori delusi.

Ma il desiderio mai nascosto è quello di un maggioritario in cui il nuovo centrosinistra troverebbe il suo terreno preferito e in quel caso in una coalizione ampia e plurale, la carta della leadership di Giuliano Pisapia sarebbe quella più spendibile. La concorrenza mediatica questo fine settimana sarà forte, solo il Lingotto di Matteo Renzi può bastare per rendersi conto. Sarà anche questa una sfida: a Roma chi vuole ricostruire il centrosinistra, a Torino una corrente maggioritaria del Pd.
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Entra in vigore la flat tax, la norma per attirare in Italia i Paperoni stranieri. Il Governo punta a intercettare i delusi dalla Brexit

Emiri, imprenditori facoltosi, calciatori, cantanti. Per il fisco sono high net worth individual, cioè persone con un patrimonio netto alto, mentre nel linguaggio comune, più semplicemente, sono chiamati Paperoni. Abituati fino ad oggi a vederli soprattutto all’estero, potrebbero presto scegliere l’Italia, portando con sé la loro ricchezza diretta e non. Chi ci spera per primo è il governo italiano che con l’entrata in vigore della flat tax punta a raccogliere almeno una parte di quel deflusso finanziario provocato dalla Brexit che modificherà gli equilibri della grande ricchezza in Europa. Condizioni di grande vantaggio per i vip stranieri che decideranno di trasferire la residenza fiscale in Italia: 100mila euro e si è a posto con il Fisco, benefici per ben 15 anni ed estesi anche ai familiari. Il capo segreteria del Mef, Fabrizio Pagani, l’ha detto chiaramente: la flat tax è “la chiave per rendere il Paese attrattivo” e intercettare “parte del flusso che necessariamente lascerà Londra”. E l’ex premier Matteo Renzi non a caso ha citato “lo sceicco che vuole abitare a Capri” come esempio di un’operazione nata per “portare capitali stranieri” in Italia.

Il governo italiano punta, quindi, a fare concorrenza a Londra. Operazione City. E una Capitale pronta a diventare la sede dei Paperoni stranieri già c’è ed è Milano. Si guarda “non tanto a Roma, ma a Milano che abbiamo lanciato come possibile hub finanziario europeo, ha spiegato Pagani. La Brexit si avvicina e per i Paperoni stranieri è sempre più urgente trovare una nuova casa dove godere di normative fiscali agevolate. Persone facoltose che si sono sempre tenute lontane dall’Italia, preferendole Paesi, come la Gran Bretagna, dove la ricchezza è tassata in misura minore, e che ora finiscono nel mirino dell’esecutivo italiano, pronto ad accoglierli con condizioni di grande vantaggio.

Una norma destinata sicuramente a far discutere e che ha già suscitato qualche malumore. L’ex ministro delle Finanze, Vincenzo Visco, non la vede di buon occhio. “Il problema che ci si dovrebbe porre è fare pagare le tasse in base alle legge e non dare incentivi”, ha dichiarato all’Adnkronos. Visco ha bollato la flat tax come “un’altra delle stravaganze di Renzi” che “pensa di fare concorrenza agli inglesi sul loro terreno dopo la Brexit”. “Ma la concorrenza fiscale a tutti i costi – ha sottolineato l’ex ministro – crea solo un mondo di diseguaglianze”.

Come funziona la tassa fissa per attrarre i Paperoni stranieri in Italia
La flat tax è operativa da oggi dopo la pubblicazione delle istruzioni da parte dell’Agenzia delle Entrate. Possono aderire alla flat tax i contribuenti stranieri ad alto reddito che attualmente pagano a almeno nove anni le tasse in Paesi stranieri. Basterà versare una tassa fissa da 100mila euro l’anno, in un’unica soluzione, per essere a posto con il Fisco italiano, secondo quanto prevede la norma introdotta dal governo con l’ultima legge di bilancio. I benefici sono validi per 15 anni e non sono solo personali. Chi ha famiglie numerose e guadagni con tanti zeri, infatti, potrà estendere questi benefici anche ai familiari, pagando un gettone al fisco di soli 25mila euro. La norma non si applica a chi in questi anni si è trasferito dall’Italia all’estero.

I requisiti dei vip stranieri per aderire al forfait
Il versamento dell’imposta sostitutiva va effettuato in un’unica soluzione, per ciascun periodo di imposta di efficacia del regime, entro la data del versamento del saldo delle imposte sui redditi, cioè entro novembre di ogni anno. L’opzione deve essere esercitata entro i termini di presentazione delle dichiarazioni dei redditi, quindi entro il 30 settembre. La domanda può essere presentata anche se non sono ancora decorsi i termini per radicare la residenza fiscale in Italia e anche nel caso in cui l’Agenzia delle Entrate non abbia risposto ancora all’istanza di interpello. Per i Paperoni basterà barrare l’apposita casella nella dichiarazione dei redditi. Oltre ai dati anagrafici vanno indicati lo status di non residente in Italia per un tempo almeno pari a nove periodi di imposta nel corso dei dieci precedenti, l’inizio di validità dell’opzione, l’ultima residenza fiscale e gli Stati o i territori esteri per i quali intende esercitare la facoltà di non avvalersi dell’applicazione dell’imposta sostitutiva.

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Soldi ai clan con i voucher. In Puglia sciolto il Comune di Parabita: favoriva i boss della Sacra Corona Unita

‘Favori’ fatti alle famiglie vicine ad un clan per assegnare loro voucher-buoni lavoro, contributi in denaro, alloggi popolari, locali commerciali e riservare assunzioni tra i netturbini con costi aggiuntivi per l’amministrazione comunale. Il Comune, cioè, avrebbe favorito i boss della Sacra Corona Unita anche con i voucher.

E’ quanto avrebbero scoperto i carabinieri del Ros che hanno indagato sui rapporti tra clan della organizzazione di tipo mafioso Sacra Corona Unita e l’amministrazione comunale di Parabita. Indagini che costituiscono le fondamenta su cui si basa il decreto di scioglimento del consiglio comunale. La notizia è pubblicata oggi sul Nuovo Quotidiano di Puglia.
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Il taglio del cuneo fiscale solo per i neoassunti. Le risorse scarseggiano e l’azione del Governo parte a rilento

Un cantiere ridotto al lumicino perché le risorse da recuperare nell’immediato sono pochissime e se un segnale si vuole dare, politico ancora prima che economico, meglio allora privilegiare i giovani, cioè i soggetti che più di tutti hanno difficoltà con il mercato del lavoro. Si muove lungo questa direzione di marcia il cantiere per il taglio del cuneo fiscale che vede al lavoro la squadra degli economisti di palazzo Chigi e i tecnici del Tesoro. Con un occhio alla manovra da 3,4 miliardi, che va confezionata entro aprile per ottemperare ai rilievi di Bruxelles, e un altro sul dossier cuneo fiscale e contributivo, il Governo prova a dare impulso a quella crescita che l’Ocse oggi ha fissato, in modo stabile, all’1% fino al 2018, il livello più basso nell’anno in corso tra i maggiori Paesi dell’Unione europea. L’impegno massimo che si potrà mettere in campo, tuttavia, non potrà essere che essere fortemente limitato.

“Se aumenta l’Iva paradossalmente ci sono più risorse a disposizione, ma se non ci sarà allora tutte le risorse vanno individuate”, spiega una fonte di governo vicina al dossier all’Huffington Post. Le opzioni sul campo sono diverse, tutte accomunate dalle necessità di trovare le coperture adeguate, ma con un orientamento preciso: per ora si interviene solo sui neoassunti. L’orientamento che starebbe prevalendo al momento, viene spiegato da alcune fonti dell’esecutivo, è quello di privilegiare il taglio di 3-5 punti di contributi a favore dei neoassunti con contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti. L’operazione costa 300 milioni per ogni punto di riduzione del costo del lavoro stabile riservata appunto ai neo assunti: moltiplicando per l’obiettivo che si vuole centrare, quello della decurtazione di 5 punti, le risorse necessarie ammontano a 1,5 miliardi. Un importo che però è legato anche alla scelta, ancora da fare, su chi sosterrà il peso del taglio: se cioè l’impresa e i lavoratori in egual misura oppure un alleggerimento di 2/3 per l’azienda e di 1/3 per i lavoratori.

Per allargare la platea a tutti i lavoratori, cioè nuovi e vecchi assunti, serve molto di più: circa 2,5 miliardi per un punto di contributi in meno, per un totale quindi di circa 12 miliardi. Cifra nemmeno ipotizzabile con una legge di stabilità che richiederà uno sforzo enorme per fare quadrare conti già ballerini, che si dovranno scontrare con i temi spinosissimi della flessibilità e delle clausole di salvaguardia, Iva in testa. “Questa opzione – spiegano le stesse fonti – non è sul tavolo: faremo il taglio solo per i neoassunti, ma di quanto bisogna ancora capirlo perché dipende dalle risorse che si riusciranno a recuperare”.

Non ci sono neppure spazi per interventi sull’Irpef, come auspicato dalla ministra della Salute, Beatrice Lorenzin, in un’intervista a Huffpost, dove l’esponente di Ncd ha affermato: “Rilanciamo e tagliamo le aliquote Irpef per ridare poter d’acquisto a famiglie e lavoratori”.

Dietro il lavoro sul taglio del cuneo c’è la squadra degli economisti di palazzo Chigi, molti dei quali sono rimasti in campo anche dopo l’avvicendamento tra Matteo Renzi e Paolo Gentiloni. Matrice Pd tanto che, secondo quanto si apprende, le misure che si stanno studiando in queste ore saranno sottoposte a un check durante la manifestazione promossa per il fine settimana dall’ex premier al Lingotto di Torino.

Prima di pensare al cuneo, bisogna occuparsi della correzione dei conti chiesta dalla Commissione europea entro aprile. Una delle voci che caratterizzeranno l’intervento del Governo è quello dell’aumento delle accise. Un capitolo spinoso, sul quale uno studio del Centro studi Casmef-Luiss invita a porre molta attenzione. “È importante non alterare gli equilibri raggiunti dal mercato e il suo assetto concorrenziale. Il decreto che il Mef starebbe valutando rischia di distorcere la concorrenza. Gli obiettivi di gettito possono essere conseguiti senza alterare l’assetto del sistema”, sottolinea il professor Marco Spallone in relazione all’ipotesi di un aumento delle accise sui tabacchi e di un possibile decreto ministeriale che secondo lo studio prevederebbe “un aumento abnorme dell’onere fiscale minimo, a fronte di un lieve ritocco degli altri parametri disponibili”.

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Rimborsi Ue, Lara Comi, Daniela Aiuto, Laura Agea e Riccardo Nencini: gli eurodeputati italiani che hanno abusato dei soldi dell’Ue

Tra gli europarlamentari dell’Unione europea che abusano dei soldi di Bruxelles ci sono anche alcuni italiani. In un articolo pubblicato sul quotidiano la Repubblica compaiono i nomi: si va da M5s a Forza Italia, passando per il Pd.

Tra i dossier italiani quello di Lara Comi, deputata di Forza Italia che ha assunto la madre come assistente parlamentare e ora dovrà restituire i 126 mila euro percepiti dalla signora, Luisa Costa, dal 2009 al 2010. Al centro di un’inchiesta ancora in corso e i cui esiti non sono ancora decisi due eurodeputate grilline: Daniela Aiuto e Laura Agea.

La prima è nel mirino per avere chiesto il rimborso, diverse migliaia di euro, per una mezza dozzina di ricerche che le sarebbero dovute servire per svolgere il mandato europeo ma che in realtà sono state copiate da siti come Wikipedia. La seconda ha assunto come assistente un imprenditore, sospettato di non avere il tempo di svolgere il lavoro relativo la mandato europeo dalla deputata ma al massimo, nella veste di attivista del Movimento, di seguirla nella politica locale.

Al centro di un’inchiesta anche un collaboratore del leghista Mario Borghezio, il viceministro Riccardo Nencini (ex europarlamentare al quale Strasburgo aveva chiesto indietro 455 mila euro ma ha scampato il rimborso grazie alla prescrizione) e il deputato eletto con il Pd, ora Mdp, Antonio Panzeri, che ha fatto ricorso alla Corte di giustizia europea di fronte alla richiesta di restituire 83 mila euro. Quelli italiani sono casi isolati e spalmati su tre legislature, con la stragrande maggioranza dei 73 parlamentari eletti ogni cinque anni che rispetta alla lettera le regole.

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Potere contro potere. Trump sfida di nuovo i giudici con il Travel ban e dà un altro schiaffo all’intelligence

Non si placa la tempesta istituzionale innescata dalle ultime mosse del presidente Trump. Lo scontro tra poteri è ormai all’ordine del giorno, con la Casa Bianca che continua a sfidare sia la magistratura che le agenzie d’intelligence. Il nuovo bando sull’immigrazione – subito definito “legale” dal segretario alla Giustizia Jeff Sessions – rappresenta una nuova sfida al potere giudiziario. Malgrado le differenze rispetto alla prima versione, infatti, il nuovo ordine esecutivo non solo non stravolge, ma conferma l’impianto del precedente. A differenza del primo decreto, questa seconda versione esclude dalla “lista nera” l’Iraq ed esplicita che il bando non vale per i detentori di green card e per chi è già in possesso di un visto. Il testo, più dettagliato rispetto al primo, insiste sulla funzione del bando: garantire la sicurezza nazionale. Ma ha comunque incontrato le critiche dei democratici e degli attivisti per i diritti umani, secondo cui si tratta di un altro Muslim ban, sebbene più sfumato.

Sul fronte dell’intelligence, l’attacco a Obama – accusato di aver ordinato intercettazioni illegali alla Trump Tower durante la campagna elettorale – ha alzato il livello dello scontro, spingendo a intervenire anche il direttore dell’Fbi, James Comey. Il quale ha esortato il Dipartimento di Giustizia a respingere pubblicamente le accuse di Trump al suo predecessore, prendendosi un altro schiaffo in faccia – l’ennesimo – dalla squadra di The Donald.

Trump non accetta le dichiarazioni di Comey sulla falsità delle accuse al suo predecessore, ha dichiarato la portavoce della Casa Bianca Sarah Huckabee Sanders in un’intervista all’emittente Abc. “Chiediamo solo che il Congresso faccia il proprio lavoro, che la Commissione Intelligence della Camera indaghi”, ha aggiunto la Sanders.

Da difficili che erano, i rapporti tra la Casa Bianca e le agenzie d’intelligence – Fbi e Nsa – sono diventati impossibili, dopo la raffica di tweet con cui Trump ha accusato Obama di aver fatto intercettare i suoi telefoni durante la campagna elettorale, agitando lo spettro del Nixon/Watergate. Accuse talmente gravi da spingere il numero uno dell’Fbi a chiedere al ministero della Giustizia di smentire pubblicamente le asserzioni del presidente. Ma la Casa Bianca non sembra disposta ad alcuna marcia indietro, anzi: tramite una sua portavoce, Trump ha fatto sapere di non credere alle dichiarazioni di Comey (secondo cui lo spionaggio non si è mai verificato) e ribadito la richiesta di un’indagine da parte della Commissione Intelligence della Camera dei Rappresentanti.

Dopo la smentita di Obama, che ha bollato le accuse come falsità assolute, l’intervento di Comey ha riacceso la lotta tra la nuova amministrazione e le agenzie d’intelligence, già accusate da Trump di essere dietro alle molte fughe di notizie che hanno caratterizzato l’avvio della sua presidenza. Questa volta, però, per i big dell’intelligence Trump l’ha sparata troppo grossa: intercettazioni di quel genere, infatti, sarebbero illegali, dato che il presidente statunitense non ha il potere di ordinare l’ascolto delle conversazioni telefoniche di qualsiasi cittadino. A dirimere la questione dovrebbe essere il Congresso, con un’indagine affidata appunto alla Commissione sui servizi della Camera.

Lo staff presidenziale ha detto che non ci saranno più commenti fino a nuovi sviluppi e, tornato a Washington dalla sua residenza in Florida, Trump non ha effettivamente rilanciato in alcun modo. Ma i media – in particolare il Washington Post, in un lungo articolo oggi in apertura del sito – lo descrivono un presidente “infuriato” per le fughe di notizie, in particolare, sui contatti tra i suoi collaboratori e la Russia.

Nell’epoca delle fake news, persino i collaboratori di The Donald faticano a trovare una linea comune sulla genesi dell’attacco a Obama. Secondo il New York Times, le “prove” da cui nascono le accuse di Trump si riducono alle dichiarazioni di un conduttore radiofonico conservatore, Mark Levine, e a un articolo apparso su Breitbart, il sito “trumpista” guidato fino a qualche tempo fa da Steve Bannon, attuale capo della strategia della Casa Bianca.

Questa la ricostruzione del NyTimes:

Giovedì, nella sua trasmissione radiofonica serale, il conduttore Mark Levine ha parlato di come l’amministrazione Obama, nei suoi ultimi mesi, abbia cercato di fermare l’avanzata di Trump alla presidenza. Parlando di tattiche da “Stato di polizia”, ha suggerito che proprio le azioni di Obama dovessero essere oggetto di un’inchiesta congressuale. Poche ore dopo un articolo su Breitbart rilanciava le accuse. Non è chiaro se qualcuno abbia messo sul tavolo di Trump l’articolo o se il presidente lo sia andato a cercare da sé. Fatto sta che venerdì mattina, alla Casa Bianca – rivela ancora il New York Times – Trump era di pessimo umore. E, nel corso di una tempestosa riunione, ha accusato lo staff della comunicazione di aver mal gestito la vicenda Sessions. Ancora furioso, quando sabato si è svegliato a Mar-a-Lago, la sua residenza a Palm Beach, in Florida, ha cominciato a twittare facendo notare, tra l’altro, che anche la stessa Nancy Pelosi, e quindi membri dell’amministrazione Obama, avevano incontrato l’ambasciatore russo.

Il paradigma dello scontro va in scena anche all’interno della Casa Bianca, dove crescono le difficoltà per il capo dello staff Reince Priebus, fin dall’inizio in competizione con lo stratega Bannon. Secondo quanto scrive Politico, Priebus viene accusato di non delegare nulla, forse per bloccare l’accesso diretto al presidente a suoi sottoposti, e quindi di passare al volo da una riunione all’altra, con risultati inconcludenti. “La sua è pura incompetenza, manca di strategia, di capacità organizzativa”, afferma una delle fonti citate da Politico, mentre un’altra sentenzia: “C’è insofferenza da parte di molti, compreso il presidente, per il fatto che le cose non stanno andando nel verso desiderato. Reince, che sia giusto o no, è quello che finirà per prendersi la colpa”.


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Incendio a Montesilvano, senegalese si appende al cornicione per sfuggire alle fiamme. Poi perde la presa e cade: morto

Si sono svegliati di soprassalto, il loro appartamento al sesto piano era invaso dal fuoco, istintivamente sono andati verso una finestra. Uno dei due ha trovato una nicchia sicura, l’altro ha resistito per un po’ reggendosi al cornicione, ma poi ha perso la presa ed è precipitato nel vuoto. E’ morto così, a Montesilvano, Ndiaga Diallo, 52enne senegalese. Il connazionale con cui divideva l’appartamento in via Isonzo, 46enne, è stato salvato dai Vigili del Fuoco che lo hanno raggiunto con l’autoscala. E’ stato ricoverato in ospedale a Pescara con una seria intossicazione. Il rogo si sarebbe sviluppato nel soggiorno-cucina dell’appartamento che è stato dichiarato inagibile e ora è sotto sequestro.

I due senegalesi risultano irregolari in Italia, secondo quanto accertato dai Carabinieri della Compagnia di Montesilvano, coordinati dal capitano Vincenzo Falce, che ora indagano per capire le cause dell’incendio.

Le finestre “piene di fiamme”, i due uomini che chiedevano aiuto, persone in strada che urlavano “state fermi, i soccorsi stanno arrivando”: così un testimone ripercorre i drammatici momenti dell’incendio di via Isonzo. “Proprio quando stava intervenendo l’autoscala, uno dei due ha perso l’appiglio ed è caduto” aggiunge. “Io urlavo ‘calma calma!’ – racconta tra le lacrime una donna – Dicevamo a quel ragazzo di stare fermo, ma purtroppo all’improvviso è caduto”. “Ero sul terrazzo, ho visto due finestre piene di fuoco e quelle due persone che chiedevano aiuto. In quel palazzo abitano molti stranieri, tutte persone tranquille. Abbiamo buoni rapporti di vicinato” racconta un altro residente. “Ho sentito un forte rumore di calcinacci e odore di bruciato, ma solo quando sono uscito mi sono reso conto che a bruciare era un appartamento sul mio stesso pianerottolo.

Una volta arrivati, i soccorritori hanno fatto evacuare l’edificio” riferisce un inquilino. Due le squadre dei Vigili del Fuoco intervenute, partite – subito dopo la prima di tante chiamate pervenute ai numeri di emergenza – una da Montesilvano, un’altra da Pescara, con un’autobotte e l’autoscala che ha avuto qualche difficoltà a passare, ostacolata da un palo e da un grosso albero. Stando alle prime informazioni, l’appartamento distrutto sarebbe di proprietà di un altro senegalese. Il pm Rosangela Di Stefano ha disposto l’autopsia sul corpo del 52enne.

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Ambasciata Usa in Israele, “entro maggio sarà spostata a Gerusalemme”

“Entro fine maggio il presidente Donald Trump annuncerà lo spostamento dell’ambasciata Usa da Tel Aviv a Gerusalemme”. Il passo in avanti in una questione che rischia – come più volte ammonito da parte dei palestinesi e del mondo arabo – di avere conseguenze imprevedibili, è stato rivelato al sito americano ultraconservatore ‘Breitbart News’ dal parlamentare repubblicano Usa Ron DeSantis che ha guidato ieri ed oggi a Gerusalemme una delegazione di rappresentanti del Congresso per verificare le condizioni e le possibili ricadute della mossa.

DeSantis – che insieme alla delegazione ha incontrato il premier Benyamin Netanyahu e deputati israeliani – ha anche indicato come possibile sede della nuova ambasciata la struttura del compound del Consolato Usa a Gerusalemme che si trova ad Arnona nella parte sud della città all’interno della zona ebraica delimitata dalla linea armistiziale del 1949, ma ad un passo del quartiere palestinese di Jabel Mukaber. Un edificio in potenza “già pronto all’uso” e dotato di maggiore sicurezza rispetto all’ambasciata di Tel Aviv, ha spiegato DeSantis.

L’indicazione di maggio come scadenza del possibile trasferimento non sembra casuale: in quella data si celebreranno in Israele i 50 di Gerusalemme capitale riunificata dello stato ebraico dopo la Guerra dei 6 giorni del 1967. Lo spostamento dell’ambasciata americana da Tel Aviv, previsto da una legge del 1995, è stato finora rallentato dai presidenti Usa, Barack Obama compreso. La deroga a questa legge scade però proprio a maggio.

“Molta gente – ha dichiarato il parlamentare repubblicano a Breitbart – ha pensato che la cosa si sarebbe fatta in un giorno solo. E quando non è avvenuto, la stessa gente ha detto. ‘Bene (Trump) non lo farà. Non manterrà la sua parola’”. Ma DeSantis ha subito aggiunto che “Trump ha dato prova di essere un uomo di parola” e che pertanto “non firmerà la deroga per l’ambasciata stessa”, come fatto da Obama. “Del resto – ha proseguito DeSantis – abbiamo già il nostro ambasciatore, David Friedman, sul posto. Così io penso che questo è quello che succederà”.

Il parlamentare del Likud (il partito di Netanyahu) Yehuda Glick che ha incontrato la delegazione Usa capitanata da DeSantis ha fatto appello affinchè la promessa fatta in campagna elettorale da Trump sia mantenuta. “E’ tempo – ha sottolineato – che il presidente rispetti l’impegno e la legge approvata dal Congresso nel 1995”.

La reazione palestinese non si è fatta attendere. Ziad Khalil Abu Zayyad, portavoce di Fatah, partito del presidente Abu Mazen ha ammonito la delegazione Usa sulla necessità “di comprendere che spostare l’ambasciata Usa a Gerusalemme non solo farà esplodere la situazione in Palestina ma l’intera regione”. Una reazione giunta poche ore prima che il premier Netanyahu chiedesse, e ottenesse, la cancellazione a Jatt, villaggio arabo-israeliano a nord di Tel Aviv, dei cartelli stradali che indicavano ‘via Arafat’. “Non possiamo permettere che nello Stato d’Israele – ha motivato durante il consiglio dei ministri – siano dedicate strade in ricordo di uccisori di israeliani o di ebrei”.
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Carlo Cracco lascia MasterChef e tv: “Torna a superarmi con i fornelli”. Al suo posto? “Spero una donna”

Carlo Cracco lascia la tv per tornare a immergesi nella cucina. Lo racconta in una intervista a Repubblica dove parla dei nuovi progetti, tra cui un ristorante in Galleria a Milano e spiega che al suo posto, come giudice di MasterChef, vede bene una donna. Ecco alcuni passaggi.

Carlo Cracco, è vero che lascia MasterChef?
“Sì, giovedì premierò il vincitore e poi mi fermo”.

Perché?
“Devo pensare a costruire il futuro. Mio, di tutto il mio staff. E anche della cucina italiana”.

E come si costruisce il futuro?
“Seguendo i miei due nuovi progetti. Un impegno che mi assorbirà totalmente nei prossimi mesi e a cui mi dedicherò con tutto me stesso. Non c’è spazio per altro, nemmeno per MasterChef che tanto mi ha dato, una esperienza fantastica”.

Non è che ha litigato con qualcuno?

“No, no. È stato molto bello ma veramente adesso voglio concentrarmi sul mio vero lavoro”.

Cracco racconta poi la sua idea di un ristorante in Galleria ad autunno e di un altro in una zona più decentrata di Milano. Di MasterChef parla della seconda edizione “la più bella” e poi ricorda la sua gioia più grande: “Aver contagiato gli italiani con la passione per il cibo. Soprattutto i giovani hanno riscoperto che quello del cuoco è un mestiere bello e importante. Una soddisfazione. Ma vorrei aggiungerne un’altra”.

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Il caso Consip scuote il Governo, Paolo Gentiloni: “La maggioranza è solida”

“Abbiamo una maggioranza solida, abbiamo una serie di riforme decise dal governo di cui già facevo parte da completare. Abbiamo nuove iniziative di cambiamento avviate in queste settimane. Con un catalogo lungo. Ma la mia non è una scelta, fa parte del mio dovere trasmettere a tutti i nostri concittadini l’idea che il governo si concentra sulla sua attività e sul tentativo di dare una soluzione ai problemi. E’ di questo che abbiamo bisogno”. Lo ha detto il presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, a Catania.

“Non dobbiamo dimenticarci da dove veniamo: da 7-8 anni di crisi continuativi, durissimi sul piano sociale che soltanto ultimamente grazie a sacrifici degli italiani, alle imprese che esportano, al senso del dovere dei nostri lavoratori e all’impegno dei governi guidato da Renzi e da chi l’ha preceduto, ci siamo rimessi gradualmente in carreggiata. Ma le cicatrici di questi anni sono lì”, ha proseguito Gentiloni. Il premier ha poi aggiunto: “Utilizzare i fondi per il Mezzogiorno è uno dei problemi cruciali del Paese. Se diamo risposte al divario non facciamo una cosa utile e importante per il Sud ma recuperiamo una delle potenzialità per la crescita del nostro Paese”.

“Abbiamo bisogno di riprendere direttamente in mano la questione dello sviluppo del Mezzogiorno – ha annunciato – e tra un mese lo faremo con un grande incontro a Matera”. “L’Italia è un paese ricco di opportunità e straordinariamente ricco di potenzialità . Noi dobbiamo mettere l’amore e la dedizione per il nostro Paese davanti a tutto”.
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