Ungheria, referendum sulle quote dei migranti non raggiunge quorum. Ma per Orban contano i tanti “no”

Alla quasi unanimità ma senza raggiungere il quorum del 50%, l’Ungheria ha detto di no per referendum all’obbligo di accogliere profughi per alleggerire il carico di altri paesi dell’Ue, come Italia e Grecia. Ma non lo ha fatto con il minimo di consistenza plebiscitaria che aveva chiesto il premier nazionalista-conservatore ed euroscettico Victor Orban, vincitore, ma in una certa misura anche sconfitto, del referendum.

In serata, con le urne chiuse alle 19:00, i primi exit poll davano una vittoria del no con 3,2 milioni di voti e una quota del 95%, di cinque punti superiore a quanto previsto dai sondaggi. L’affluenza pero’, come annunciato dall’Ufficio elettorale nazionale e’ stata del 43,42% soltanto: il quorum del 50% non e’ stato raggiunto e dunque la consultazione non e’ valida secondo la legge in vigore, a dimostrazione che gli appelli al boicottaggio dell’esile opposizione ungherese, assieme alla tradizionale disaffezione per lo strumento referendario, si sono fatti sentire. Secondo Orban, comunque, cambia poco: già dopo aver votato in mattinata in una scuola elementare del suo quartiere a Buda, ha detto che “non importa se il referendum risulterà valido o meno: conseguenze giuridiche ci saranno comunque. L’importante è che i no siano maggioranza”. Il premier ha annunciato inoltre che “la cosa più importante” per lui e’ quella di poter andare a Bruxelles già questa settimana per “condurre negoziati” e ottenere che non sia obbligatorio per l’Ungheria accogliere “il tipo di gente” che “noi non vogliamo”, ha aggiunto con implicito riferimento a potenziali terroristi e musulmani.

Orban ha sottolineato che gli ungheresi dono “orgogliosi” di essere “i primi”, e “sfortunatamente” anche “gli unici” a votare in un referendum “sulla questione dei migranti”. A Bruxelles, dove la consultazione non avrebbe avuto valore anche se il quorum fosse stato raggiunto, Orban troverà un muro: il presidente del Parlamento europeo, il tedesco Martin Schulz, ha definito “un gioco pericoloso” quello del premier ungherese di far votare su decisione da lui stesso avallate in sede comunitaria e riguardanti l’accoglienza solo “solo di circa 1.300 profughi” sui 160 mila che devono essere smistati in partenza da Italia e Grecia. Fra le possibili conseguenze di cui ha parlato il premier, c’è anche una modifica della costituzione ungherese per vietare di accogliere in Ungheria cittadini stranieri senza l’approvazione del Parlamento ungherese. Insomma proprio il senso del quesito del referendum per il quale il governo ha fatto una campagna che l’opposizione ha definito xenofoba e islamofoba.

Orban si e’ speso con toni epocali (voto di “significato epocale” non solo per l’Ungheria ma anche per l’intera Unione europea) drammatizzando anche con un impegno a dimissioni in caso di un’impossibile vittoria dei sì. La sua propaganda in difesa dell’Europa “cristiana” e quella dei suoi uomini più vicini che hanno spesso battuto il tasto del nesso profughi-terroristi, ha pagato dunque solo in parte. Una campagna che peraltro ha ricevuto l’appoggio del partito di estrema destra Jobbick che si innesta su una politica di chiusura sul fenomeno delle migrazioni: la rete metallica srotolata ai confini meridionali dopo la crisi dei profughi che l’anno scorso ha visto transitare per l’Ungheria quasi 400 mila migranti. Ma soprattutto l’aver accolto solo 508 richiedenti asilo, respingendone otto su dieci, con una durezza che dovrebbe ripetersi quest’anno. E tanto per scoraggiare chi volesse mettersi in marcia sulla rotta balcanico-ungherese, le autorità di Budapest si comportano in un modo che ha spinto Amnesty International ha parlare di “orribile” trattamento.

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Il Nyt pubblica dichiarazione redditi di Donald Trump: potrebbe avere evaso le tasse per 18 anni. La replica: “Falso”

Il New York Times ha ottenuto e pubblicato la dichiarazione dei redditi di Donald Trump per il 1995 e dall’analisi dei documenti effettuata da esperti consultati dal giornale emerge che l’attuale candidato repubblicano per la presidenza degli Stati Uniti ha usufruito di una detrazione tale che potrebbe poi avergli concesso, in maniera legale, di non pagare le imposte federali sul reddito per 18 anni.

I documenti ottenuti dal New York Times non sono mai stati resi pubblici prima e mostrano che nella dichiarazione dei redditi per il 1995 di Donald Trump risulta una perdita pari a 916 milioni di dollari e una deduzione fiscale di quella entità – si spiega – potrebbe appunto avergli consentito di godere legalmente dello ‘sconto’ sulle imposte federali per quasi due decenni successivi. Sebbene infatti il reddito di Trump soggetto a tassazione per gli anni successivi resti sconosciuto, dichiarare una tale perdita per quell’anno potrebbe averlo messo nelle condizioni di ‘cancellare’ oltre 50 milioni di dollari all’anno di reddito imponibile per oltre 18 anni. Gli esperti fiscalisti interpellati dal New York Times sottolineano come alcune regole fiscali particolarmente vantaggiose per i più facoltosi possono aver consentito a Trump di utilizzare la perdita dichiarata per cancellare una somma equivalente di reddito imponibile in un periodo di 18 anni. Una “indennità fiscale straordinaria”, nota il giornale, “che Trump ha tratto dallo sfascio finanziario che si lascio’ alle spalle all’inizio degli anni attraverso la cattiva gestione di tre casino’ ad Atlantic City, la sventurata incursione nel settore delle compagnie aeree e l’intempestivo acquisto del Plaza Hotel a Manhattan”. Trump ha declinato di commentare sui documenti, riferisce ancora il New York Times, ma il suo staff ha diffuso una nota che non contesta né conferma la somma indicata di 916 milioni di dollari.

LA REPLICA – “L’unica notizia qui è che un documento fiscale di oltre vent’anni fa è stato ottenuto illegalmente, un’ulteriore dimostrazione che il New York Times, come i media dell’establishment in generale, è un’estensione della campagna per Clinton, del Partito Democratico e dei loro speciali interessi globali”. E’ la replica, attraverso una nota diffusa dallo staff per la campagna elettorale di Donald Trump, alla pubblicazione da parte del New York Times di una dichiarazione dei redditi del tycoon risalente al 1995 e mai diffusa prima. Il candidato repubblicano per la presidenza degli Usa non ha infatti fino ad ora risposto alle richieste di pubblicare le sue dichiarazioni dei redditi. “Mr Trump è un uomo d’affari molto abile – si legge ancora nel comunicato – che ha la responsabilità verso i suoi affari, la sua famiglia e i suoi dipendenti di non pagare più tasse di quanto sia legalmente richiesto. Detto questo Mr Trump ha pagato centinaia di milioni di dollari in tasse”.

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Il leader dei socialisti spagnoli Sanchez si è dimesso dopo il voto contro del Psoe

Il contestato segretario del Psoe Pedro Sanchez si è dimesso dall’incarico dopo essere stato battuto nel consiglio federale sulla mozione di tenere un congresso straordinario. “Ho sempre creduto – ha detto Sanchez, secondo quanto riferisce una fonte del suo entourage – che il Partito socialista potesse offrire un’alternativa, ma purtroppo non è stato possibile, quindi mi dimetto. E’ stato un onore”.

La Spagna è dalle elezioni del 20 dicembre 2015 che si trova in una situazione di stallo totale (per la prima volta dopo la fine del franchismo nel 1975 né i Popolari né i Socialisti avevano ottenuto la maggioranza assoluta alle Cortes) tale che il Paese era stato costretto a tornare alle urne il 26 giugno. Ma anche in questa occasione nessun partito aveva ottenuto i 176 voti su 350 necessari per formare un esecutivo.

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Quando il neo assessore M5s di Roma Massimo Colomban applaudiva Matteo Renzi (VIDEO)

Il pentastellato assessore di Roma fresco di nomina Giovanni Colomban, imprenditore scelto dalla Raggi, in passato applaudiva Renzi. “Io ho sempre optato per gli innovatori – spiegava infatti Colomban al Corriere Veneto il 28 febbraio 2014, sei giorni dopo l’insediamento del nuovo esecutivo – e Renzi lo è. Aspettiamo che i suoi annunci siano seguiti dai fatti, ma abbiamo fiducia”.. Qualche settimana più tardi, il 18 marzo, nella trasmissione “Coffee Break” su La 7, elogiava la flessibilità del Jobs Act, ospite anche il neoministro Giuliano Poletti.

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Referendum, Gustavo Zagrebelsky Vs Matteo Renzi: scontro tra due mondi sulla tirannia della maggioranza

Lo scontro tra due mondi opposti. Divisi su tutto, persino sull’idea stessa di democrazia. E’ questo il leit motiv dello confronto tv tra il costituzionalista Gustavo Zagrebelsky e il presidente del Consiglio Matteo Renzi in onda su La7.

A 64 giorni dal referendum il premier e il giurista, moderati da Enrico Mentana, si confrontano sul “merito” della riforma costituzionale che sarà sottoposta alla consultazione del 4 dicembre. Da una parte chi l’ha promossa per uscire dalla “palude”, dall’altro il “professorone” in prima fila per arginare la “deriva autoritaria” nel caso di vittoria del Sì. Ma si capisce, guardando il duello, che a dividere i due interlocutori non sono solo gli articoli e le modifiche apportate al testo costituzionale, quanto una differenza ontologica della concezione del sistema democratico. “Le elezioni in democrazia non si vincono – dice a un certo punto Zagrebelsky – Chi prevale nelle elezioni non ha ‘vinto’ ma è colui che gli elettori hanno incaricato di un grave compito. Mentre il ‘vincere’ comporta che ci siano degli ‘sconfitti’, che non conteranno nulla”.

“Il cittadino ha il dovere di decidere chi vince alle elezioni e l’Italicum è già una legge proporzionale”, ribatte Renzi. “Il Senato conta meno, perchè non si può continuare con un sistema che scambia la complessità e l’arzigogolo con la democrazia”, aggiunge il premier. Semplificazione contro complessità.

Renzi ha il dente avvelenato nei confronti del costituzionalista per quell’appello firmato contro la “deriva autoritaria”: “Lei ha firmato l’appello ‘Libertà e Giustizia’ che parla di svolta autoritaria: questo appello a mio giudizio è offensivo verso l’Italia. La svolta anti democratica c’è, ed è dove si incarcerano giornalisti, insegnanti, magistrati, non in un Paese in cui si tagliano il Cnel e qualche centinaia di poltrone”, ha attaccato il premier. E poi ha aggiunto: “Con la riforma si semplifica la vita delle persone e si riducono costi della politica, si riducono le poltrone”.

Ma il professore Zagrebelsky, col piglio del docente, ribatte: “L’instabilità del nostro paese deriva dal fatto che è un sistema politico molto complesso. Con questa riforma c’è un rischio di concentrazione dei poteri al vertice e il rischio di passare dalla democrazia all’oligarchia”, spiega ancora Zagrebelsky osservando come degli stessi sistemi costituzionali applicati a diverse realtà possano portare ad esiti diversi. “La Costituzione di Bokassa è molto simile a quella degli Usa. Ma la resa è completamente diversa”, afferma citando il noto dittatore della Repubblica Centrafricana. E rimarca la svolta autoritaria: “Il significato di queste riforme è conservativo, servono a blindare un sistema sempre più oligarchico. I fautori del No pensano che le vere riforme si fanno sul corpo, ovvero sulla classe politica, perché riformi se stessa”.

Poi si passa alle nuove modalità per l’elezione del Presidente della Repubblica: “Oggi è richiesta maggioranza assoluta dei due terzi, calcolata sul numero dei componenti delle Camere. Quando si abolisce il requisito dei componenti vuol dire che un numero anche minimo di presenti con una parte del Parlamento eventualmente assente può eleggersi il suo Capo dello Stato. E questo in un parlamento nel quale ci sono deputati che passano da uno schieramento all’altro per valutazioni non sempre limpidissime”.

Il presidente del Consiglio difende invece il sistema introdotto dalla riforma: “Sono radicalmente in dissenso da lei. Con l’Italicum la maggioranza avrebbe il 55% dei seggi: con il sistema di voto previsto oggi, dal quarto scrutinio la maggioranza semplice può eleggersi il presidente della Repubblica. Il Parlamento invece ha previsto di alzare il quorum fino al settimo scrutinio quando i 3/5 dei votanti previsti sono una norma di chiusura. Ma nessuno può pensare che c’è una minoranza così assurda da andar via per far eleggere il presidente”.

Zagrebelsky resta convinto della svolta autoritaria, derivante dal combinato disposto riforme – Italicum. Combinata con questa legge elettorale, la riforma “raggiunge un risultato di premierato assoluto, più forte del presidenzialismo”, ha affermato il giurista aggiungendo che il ddl Boschi è più forte di quella voluta da Silvio Berlusconi. “Ma che sta dicendo? Lei sta dicendo una cosa che non è vera”, replica Renzi che attacca: “La sua parte culturale si è sempre preoccupata di andare contro Berlusconi. Noi abbiamo smosso la palude, perché non volete parlare di futuro?”.

Tuttavia Renzi riconosce che la legge elettorale ha un elemento da correggere: “Il meccanismo dei capolista non piace nemmeno a me ed è una delle cose che vorrei cambiare”, ha annunciato il premier.

Il dibattito al calor bianco – seppur condito dal “profondo rispetto” espresso numerose volte dal premier al giurista – è la rappresentazione plastica dell’incomunicabilità di due mondi contrapposti, ma al tempo stesso orbitanti nell’idea di “sinistra”. Dove nemmeno il metodo per riformare il sistema istituzionale è condiviso: “Il problema – dice Zagrebelsky – è la complessità politica, non è legata alle regole scritte nella Costituzione. Quello del presidente mi sembra il ragionamento del debole che vuole le regole per diventare forte. Ma le regole non rendono forte nessuno se è debole”.

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Gli italiani viaggiano in autobus perché “costa meno ed è più sicuro”, solo il 5% sceglie il treno

Tra i tanti che affollano il piazzale della stazione Tiburtina, a Roma, c’è Maria che ha 23 anni ed è una studentessa. Per arrivare a Massa Carrara ha preso un bus notturno da Bari, sosta a Roma e cambio mezzo fino in Toscana. “Flixbus è la mia compagnia preferita – dice ad HuffPost – soprattutto per i prezzi, in viaggio incontro famiglie con bambini, anziani, giovani, la classe media insomma”. Luca sta aspettando l’autobus con suo padre, ha 19 anni e ha con se tante valigie: “Mi trasferisco a Pisa per studiare – dice – anche se gli orari non sono comodi e il viaggio è più lungo, abbiamo scelto il pullman, così non dobbiamo fare cambi. Del resto, mio padre è un commerciante e io non lavoro, dobbiamo scegliere chi offre il prezzo più basso”.

A un anno dalla liberalizzazione del mercato, con l’arrivo in Italia di Flixbus, l’azienda tedesca di viaggi low cost in autobus che è riuscita a comprare il diretto competitor scozzese Megabus, il mercato dei trasporti su gomma è notevolmente cresciuto. Stando ai dati dell’azienda, a bordo degli autobus verde acido hanno viaggiato, nel 2016, 1 milione e 800mila passeggeri, con una media del costo del biglietto di 5 euro, per viaggi lunghi 6/8 ore.

Flixbus non è una compagnia di autobus nel senso “classico”: non ha una flotta e non ha autisti. Ha stabilito con il ministero dei Trasporti delle rotte e poi ha avviato con 50 aziende italiane una partnership. Una mano di vernice verde, il marchio arancione per “brandizzare” i mezzi e il gioco è fatto.

Un mercato florido, che attrae investitori stranieri e per questo Ferrovie dello Stato ha annunciato di voler investire sul trasporto su gomma con Bus Italia: “Perché è il futuro – dice l’Ufficio stampa di Fs ad HuffPost – l’80% degli italiani usa l’automobile per spostarsi, il restante 20% il trasporto collettivo, di cui il 15% viaggia in autobus e il 5% sceglie il trasporto ferroviario”. Un futuro che però ha il sapore di passato, ci ricorda i nostri nonni che si spostavano in corriera perché non avevano i soldi per il treno. “I nostri amici tedeschi di Deutsche Bahn – ha detto l’amministratore delegato di Fs Renato Mazzoncini – hanno l’incubo di Flixbus. È un servizio tipo Uber basato su una app. Ci sono tanti padroncini di minibus che si iscrivono alla piattaforma. Chi ha pochi soldi per una lunga percorrenza compra una tratta. Il 30% dell’incasso va alla piattaforma, che non ha bus, il resto all’autista. È una nicchia con cui bisogna fare i conti”.

Ma chi decide di utilizzare i bus anziché i treni? “Tutti i pendolari – dice l’Ufficio stampa di Fs – soprattutto quelli che hanno più tempo a disposizione per gli spostamenti. Di certo, è il costo più basso a incentivare le vendite, per questo motivo è un mercato che accoglie i giovani, le famiglie, i lavoratori, gli immigrati. Sui treni viaggia chi ha più disponibilità economica, sicuramente, ma anche meno tempo a disposizione per raggiungere la meta”.

Secondo uno studio effettuato da Traspol, Laboratorio di Politica dei Trasporti del Politecnico di Milano, in collaborazione con il motore di ricerca specializzato negli autobus a lunga percorrenza Checkmybus.it, nei primi sei mesi del 2016 a utilizzare gli autobus sono maggiormente le donne, che lo considerano un mezzo “più sicuro e affidabile” soprattutto per viaggiare di notte, e i giovani sotto i 34 anni, più avvezzi all’uso dello smartphone, che acquistano i biglietti tramite le app.

Per rendersene conto basta andare ai terminal sempre affollati di studenti fuorisede, giovani con pochi soldi e tanta voglia di viaggiare, famiglie con bambini che devono far quadrare i conti e immigrati pieni di borse con la merce da vendere. Uno dei vantaggi individuato da Traspol, infatti, è anche la comodità del trasporto bagagli, rispetto alle anguste cappelliere dei treni, soprattutto quelle dei regionali.

Il trasporto su gomma non è una fascia di mercato nuova ed è sviluppata in particolare al Sud. I dati di Traspol dimostrano che con la liberalizzazione e l’arrivo delle compagnie low cost da gennaio a giugno la vendita di biglietti si è triplicata, questo perché l’offerta è aumentata grazie agli investimenti al Centro – Nord, dove, soprattutto Flixbus, ha inaugurato nuove tratte. La meta più richiesta, infatti, è Milano. Al Sud, invece, c’è stato un consolidamento delle rotte già esistenti.

mercato
La frequenza delle corse, fonte ANAV

Secondo Traspol, i biglietti più ricercati sono quelli per viaggi che coprono una distanza entro i 600 km, come Milano – Roma, Pescara – Bologna, Siena – Roma, tratte tipiche dagli intercity che hanno subito un calo delle vendite. Proviamo a cercare un intercity Milano – Roma partenza il 29 settembre: la prima soluzione è alle 20.50, viaggiando di notte, con un cambio alle 1:30 ad Ancona, ripartenza con treno regionale alle 3:47, al costo di 56,65 euro. Con l’autobus: le soluzioni di viaggio ci sono ogni ora, dalle 9:10 del mattino alle 23:15, i prezzi oscillano dai 15,50 euro ai 55, 9 ore la media viaggio.

milano roma

flixbus

Altro dato significativo a seguito della liberalizzazione del mercato è l’abbassamento dei prezzi anche delle aziende storiche e fidelizzate, soprattutto al Meridione, grazie all’ingresso di nuovi competitor, soprattutto il più temuto da tutti: Flixbus.

Sugli accordi tra le aziende italiane partner e Flixbus c’è un alone di mistero. La casa madre non ha voluto rilasciare dichiarazioni in merito, così come alcune compagnie che sono state contattate o hanno aderito alla partnership, anche l’autista intervistato ha preferito non rispondere.

E se i giovani guardano di più alle novità e ai bassi costi, gli adulti preferiscono il pullman che da anni li riaccompagna a casa, come Giuseppina, 58 anni, che sceglie sempre la stessa compagnia “mi trovo bene e costa poco, perché dovrei cambiare?”.

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Matteo Renzi alla ricerca della pax referendaria. Mano tesa a: Cgil, agricoltori, destra, Bersani… Solo con D’Alema e Di Maio…

“Siccome oggi è il compleanno di Silvio Berlusconi e Pier Luigi Bersani facciamo un applauso a tutti e due. Sono nati nello stesso giorno. E siccome ieri abbiamo chiuso il primo accordo sulle pensioni, mi voglio allargare: oggi è anche il compleanno della Cgil. Compie 110 anni”. Sì, è Matteo Renzi che parla, ma quello ‘buono’: il lato (inedito) che ha deciso di utilizzare per cercare la pax referendaria in vista del fatidico 4 dicembre.

Passata l’estate, la strategia inclusiva pensata già a luglio diventa realtà. Il premier si tuffa nella campagna referendaria per il sì, pancia a terra e giri per le città, gesti studiati anche a Palazzo Chigi e annunci che cercano una cosa sola: pace e voti in vista del 4 dicembre. Renzi ha deciso di sfrondare l’albero dei nemici storici. Magistrati e sindacalisti in primis. Non li attacca più. Anzi li ‘abbraccia’ ogni volta che può per legarli al sì nel giorno che stabilirà il destino della sua carriera politica.

Nel mirino, che ormai serve solo a lanciare fiori metaforici e giammai cannonate al vetriolo, c’è persino lei: la vituperata Cgil. Già due mesi fa, il premier ha pianificato la sua strategia di ‘corteggiamento’, annunciando già allora la nuova e inedita fase di concertazione con i sindacati sulle pensioni. “Ma poi decide il governo”, diceva allora. Frase puntuta, nei mesi arrotondata, fino a svanire. Non a caso.

Ieri è arrivato l’accordo sulle pensioni, oggi Renzi se lo rivende ricordando da galantuomo il compleanno della Cgil a Perugia, in una delle ormai numerosissime tappe di campagna elettorale. Vero è che a luglio con i suoi non pensava che la Cgil si sarebbe schierata per il no al referendum, cosa che invece è successa. Ma poco importa. Con l’estensione della quattordicesima, il premier pensa di aver conquistato una buona fetta di pensionati, il grosso degli iscritti alla Cgil.

Con i magistrati la storia è un po’ diversa, ma il filo strategico è lo stesso. Martedì sera, in conferenza stampa dopo il consiglio dei ministri, Renzi parla del disegno di legge sul processo penale, quello che accorcia i tempi di prescrizione di reati come la corruzione. Testo fermo da tempo al Senato, eppure il premier non è ancora convinto di metterci la fiducia. “Noi abbiamo fatto delle regole che secondo me sono buone – dice – ma io ci penso su due volte a mettere la fiducia su una cosa che Davigo definisce provvedimenti dannosi o inutili, su atti della giustizia che vogliono aiutare i magistrati, con i magistrati che dicono che sono dannosi. Tendenzialmente escludiamo il voto di fiducia”. Vero è che il presidente dell’Anm ha espresso critiche sul testo. Ma è vero anche che il testo è fermo in Senato per le critiche dei centristi di Verdini e di Alfano. Tuttavia, il premier prova comunque a fare bella figura con i magistrati. Ci prova.

E poi c’è il resto. Oggi per dire è andato alla giornata nazionale dell’extravergine italiano organizzata dalla Coldiretti a Firenze. E annuncia: “Nel quadro economico del Def a cui seguirà la legge di stabilità del 15 ottobre abbiamo previsto che la parte di Irpef agricola che pagate sia cancellata a partire dal 2017″. Chissà se la platea si convince. Si direbbe di no, a giudicare dai fischi partiti all’indirizzo del palco quando il segretario generale Vincenzo Gesmundo schiera l’associazione sul sì al referendum. Però Renzi ci prova.

Come ha provato a incontrare gli ambientalisti e varie categorie professionali subito dopo il terremoto per esporre il piano di prevenzione anti-sismica ‘Casa Italia’. Un’intera giornata di ‘udienze’ a Palazzo Chigi, insieme al project manager Giovanni Azzone, rettore del Politecnico di Milano. Dovevano rivedersi entro la fine di settembre, però. Ma ancora non c’è traccia dei nuovi incontri.

E poi Renzi prova ad adescare l’elettorato di destra con la storia del Ponte sullo stretto. E’ la destra degli imprenditori che ha in mente. Tenta di riportarli alla sua ragione dopo aver perso la scommessa con i moderati alle scorse amministrative, quando si è scoperto che da destra molti voti sono andati al M5s. Ad ogni modo oggi difende la scelta. A Perugia dice: “I voti di destra? Chi non li prende resta minoranza…”.

Quelli che proprio lo fanno imbestialire, quelli con i quali non tenta strategie di seduzione, anzi continua a usare tattiche di attacco, sono Massimo D’Alema e Luigi Di Maio, evidentemente persi alla causa. “D’Alema – dice a Perugia – sui punti della riforma, per storia personale, è totalmente d’accordo. Ma siccome ha come obiettivo la distruzione di una persona e di un’esperienza, fa la sua battaglia. Auguri. D’Alema è un esperto di lotta fratricida in casa. Citofonare Romano Prodi e Walter Veltroni per sapere di che stiamo parlando. Se si fosse impegnato a combattere il centrodestra quanto ha combattuto i suoi compagni di partito, questo Paese sarebbe diverso”.

Quanto a Di Maio, la prende dal no alle Olimpiadi, sancito oggi dal voto dell’assemblea capitolina. Ma non attacca Virginia Raggi, fedele alla scelta di non attaccare un “sindaco eletto” che i renziani considerano in crisi nei rapporti con il movimento. Renzi invece attacca Di Maio: “Qualcuno dice che i soldi delle Olimpiadi li destineranno alle periferie. Mi auguro che ci sia qualcuno che li aiuti e li riporti alla ragionevolezza perché i soldi delle Olimpiadi, per definizione, vanno dove si fanno le Olimpiadi. Non è difficile. Anche senza email, questo basta un sms e si capisce”. Il riferimento è all’email della Raggi sulle indagini giudiziarie a carico dell’assessore capitolino Muraro, che Di Maio dice di non aver letto bene.

Domani sera negli studi di Enrico Mentana su La7, Renzi terrà l’atteso faccia a faccia con il costituzionalista Gustavo Zagrebelsky, alfiere del comitato del no. Ma con lui l’intento non è l’attacco, bensì il merito della riforma. Avanti così in una inedita tattica diplomatica fino al 4 dicembre. Passando per l’appuntamento clou della campagna del sì: la Leopolda edizione 2016, fissata nel weekend 18-20 novembre, a due settimane esatte dal referendum.
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Quante ne sai di serie tv? Un test per scoprire se sei veramente un esperto

Qual è quella serie tv interamente popolata da zombie? E quell’altra in cui si scopre il lato marcio della politica? E invece qual è il titolo del telefilm cult degli anni ’90 in cui una ragazza doveva vedersela con i vampiri? Se sei un appassionato di cinema e serie tv, questo quiz fa proprio per te; altrimenti, ti aiuterà a scoprire il meglio degli ultimi decenni…

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Spari in una scuola elementare negli Stati Uniti, feriti 3 bambini. Arrestato un adolescente

Sparatoria in una scuola elementare in South Carolina, a Townville. Due bambini, riportano alcuni media locali, sarebbero stati colpiti. Ferito anche un insegnante. Massiccia la presenza delle forze dell’ordine nella zona. La scuola è stata evacuata e gli studenti sono stati condotti nella chiesa battista di Oakdale.

Una persona è stata arrestata. Si tratta di un teenager. La polizia ha spiegato che sarebbe stato lui ad aprire il fuoco. Le
forze dell’ordine hanno parlato di un’aggressione isolata.

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Lei ha subito un intervento al polso, lui l’aiuta a sistemare i capelli. La foto di quest’anziana coppia mostra il vero amore

Con il polso stretto in un gesso e una camicia da notte rosa un’anziana donna tiene alto in mano lo smartphone, per immortalare la scena in uno scatto. Il marito le sta sistemando i capelli con cura. Con lo sguardo concentrato, di chi sta maneggiando qualcosa di caro e con un sorriso dolce sulla bocca, di chi sta facendo qualcosa con piacere.

Amy Pennington è la nipote di questa anziana coppia e ha deciso di condividere su Twitter l’immagine che ritrae i nonni in un momento di intima quotidianità. La donna ha subito un intervento chirurgico al polso e il marito è corso in suo aiuto, supportandola nei piccoli gesti quotidiani, come appunto anche quello di pettinare i capelli.

Oltre 200mila persone hanno battuto un like all’immagine, diventata virale in breve tempo. Nei commenti molti utenti hanno espresso la loro ammirazione per la dedizione dell’uomo, sperando che il futuro regali loro un amore così. “Mi auguro che tra 60 anni la mia vita sarà in questa maniera”, commenta Lindsay. “Un giorno farò questo per te”, scrive Chris aggiungendo un tag alla fidanzata, trasformando la foto in un’icona, una promessa d’amore.

Tanta celebrità la coppia non poteva certamente aspettarsela e non è ben chiaro se la nipote Amy abbia confessato loro di aver postato lo scatto online: “Mia nonna rimarrebbe sconvolta se sapesse di esser diventata famosa su Twitter in una foto nella quale è in pigiama e senza trucco”.

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