Il cancro non ha fermato il canto di Kate Amato: “Aiutatela ad incontrare la cantautrice Ruth B”

Kate Amato ha 11 anni. Kate Amato sta combattendo una durissima battaglia contro il cancro che le rende difficile perfino parlare. Eppure, la malattia non le sta impedendo di cantare. Anche se purtroppo le sue condizioni degli ultimi giorni sono terribili.

Nei giorni scorsi The Truth 365, campagna social e documentario vincitore dell’Emmy che dà voce ai bambini che combattono il cancro, è stato al fianco di Kate e ha girato questo video in cui la bambina canta “Lost Boy” della cantautrice canadese Ruth B. “Aiutateci ad avere l’attenzione di Ruth B, condividete il più possibile”, scrivono gli autori su Facebook. Al momento il video ha avuto oltre 179mila visualizzazioni.

Il 6 ottobre, aggiornando la pagina Team Kate, i genitori della bambina hanno riferito che le sue condizioni sono molto gravi. “Gli esami mostrano che le dimensioni del tumore della gamba, dei polmoni e dell’addome sono aumentate e ci sono nuovi tumori nel fegato, nei reni e nelle ghiandole surrenali – scrivono – La velocità di progressione della malattia è terrificante. Ci hanno consigliato di iniziare una nuova terapia per ottenere miglioramenti. Purtroppo non possiamo tornare ancora nella nostra casa in Florida, nella nostra città c’è ancora l’evacuazione obbligatoria per via dell’uragano Matthew. Resteremo in Ohio durante questa transizione di Kate con il nuovo trattamento”. Intanto Kate, radiosa nelle foto, ieri ha avuto la possibilità di incontrare e coccolare un cucciolo di leopardo e un cucciolo di canguro.

“C’è stato un tempo in cui ero solo – canta Kate nella sua versione del brano “Last Boy” – Nessun posto in cui andare e nessun posto da chiamare casa. Il mio unico amico era l’uomo sulla luna, e anche lui a volte se ne andava via. Poi una notte, non appena chiusi gli occhi, vidi un’ombra che volava in alto. Lui venne da me con il più dolce dei sorrisi. Disse di volermi parlare per un po’. Disse: “Peter Pan, è così che mi chiamano. Ti prometto che non sarai mai solo”. Da quel giorno… Io sono un bimbo sperduto dell’isola che non c’è, che di solito se ne va in giro con Peter Pan. Quando ci annoiamo giochiamo per il bosco, sempre nascondendoci da Capitan Uncino. Scappa scappa, bimbo sperduto, mi dicono. Lontano dalla realtà. L’isola che non c’è è una casa per i bimbi sperduti come me e i bimbi sperduti come me sono liberi”.

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Legge di Bilancio, Matteo Renzi: “RIlievi Ue? Basta egoismi, diano una mano sui migranti”

Sulla Legge di Bilancio appena varata dal governo rischia di innescarsi un nuovo scontro tra Roma e Bruxelles. Ad accendere la miccia è stato il presidente del Consiglio Matteo Renzi, in una intervista al Tg1. Rispondendo sui possibili rilievi che la Commissione potrebbe fare sulla manovra, il premier ha spiegato: “Sono curioso capire quali rilievi. L’Ue – ha aggiunto – vuole discutere le nostre spese immigrazioni? Ho un’idea brillante idea: inizino a darci mano loro, mentre stanno prevalendo gli egoismi e non la solidarietà. Appena ci iniziano a dare una mano, le spese si abbasseranno”.

Sul fronte europeo, secondo quanto spiegato oggi da Repubblica, sarebbe stata accolta decisamente male la decisione del governo di fissare l’asticella del defict al 2,3%. L’accordo con i massimi livelli dell’esecutivo Ue sarebbe stato di arrivare al massimo al 2,2%. L’ulteriore aumento fissato in extremis dal capo del governo italiano sarebbe stato interpretato come un blitz non concordato e su cui la Ue non vorrebbe transigere. Rimanendo pronta, sempre secondo quanto riportato da Repubblica, a bocciare la manovra già entro il prossimo 30 ottobre.

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Virginia Raggi pubblica un video in diretta su Facebook dal ritiro della giunta: “I giornalisti pagherebbero per averlo”. Poi lo cancella

“Questo è quello che i giornalisti hanno chiamato conclave. Immagino che pagherebbero oro per avere queste immagini che noi facciamo vedere a voi”. Lo dice Virginia Raggi, sindaca di Roma, in un video girato con un telefonino dal raduno nei pressi di Anguillara e postato su Facebook. Nel video viene inquadrata la sua maggioranza e la sua giunta festosa in agriturismo. Raggi mostra la sua squadra che applaude e urla in coro “Virginia, Virginia”, ma le immagini sono sfocate. Motivo per cui, spiegano dall’entourage della sindaca, il video è stato poi cancellato. Ma qualcuno lo ha salvato e le immagini girano già sul web.

“Questa non era organizzata”, commenta Raggi in riferimento ai cori e saluta divertita: “A domani”. Poi la sindaca guardando il cellulare ammette: “Non so spegnerlo. La sto già pubblicando, dovrei spegnere…siamo in diretta…- aggiunge rivolta ai suoi che ridono – la domanda è come si spegne!”.

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Siria, nulla di fatto ai colloqui di Losanna: l’intesa tra Stati Uniti e Russia per il cessate il fuoco è ancora lontana

Dai colloqui a Losanna sulla Siria nulla di fatto per un cessate il fuoco ad Aleppo. Oltre al segretario di Stato americano John Kerry e l’omologo russo Serghei Lavrov, erano presenti anche i ministri degli Esteri di Qatar, Turchia, Arabia Saudita, Iran, l’Egitto, Irak e Giordania, e l’inviato speciale delle Nazioni Unite, Staffan de Mistura. Fonti diplomatiche hanno reso noto che l’obiettivo effettivo di questo incontro non era quello ambizioso di una tregua, ma quello di di coinvolgere gli attori regionali nelle trattative sulle varie ozpioni possibili per porre fine alle ostilità. Negoziati che fino ad oggi si erano imitati a Washington e Mosca, come accade con l’intesa, mai rispettata, raggiunta tra Lavorv e Kerry a Ginevra il 9 settembre scorso.

L’unico elemento su cui i partecipanti al summit di Losanna hanno concordato, al termine di quattro ore di riunione, è quello generico di “prolungare i contatti nei prossimi giorni”, ha spiegato Lavrov, aggiungendo che “sono stati affrontati temi interessanti che possono influire sulla situazione sperando che si riesca a raggiungere un’intesa” per far progredire il processo di pace.

Kerry ha evitato di manifestare delusione per l’esito del summit di Losanna. Il capo della diplomazia americana ha definito l’incontro, durato 4 ore, “uno schietto scambio di idee da cui sono emerse nuove ipotesi, senza tensioni e rancori”.

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Quando Nikola Tesla preannunciò l’invenzione dello smartphone

Nikola Tesla era un visionario. Una mente avanti almeno di un secolo, tanto da riuscire a prevedere invenzioni che sarebbero state realizzate molti anni dopo la sua morte. Basti pensare che nel 1926 era riuscito a prevedere l’invenzione degli smartphone.

Un genio – sono oltre 700 i brevetti che portano il suo nome – mai riconosciuto fino ai giorni nostri, tanto che il suo nome non compare nei libri di storia. Eppure molta della tecnologia dei nostri tempi si deve a lui. Su tutte le comunicazioni radio senza fili e i raggi x.

John B. Kennedy, un reporter americano, ha avuto la fortuna di intervistare Tesla, “un uomo alto, snello, una figura ascetica che veste abiti sobri e che osserva il suo interlocutore con sguardo fisso e profondo”, scrive nel suo articolo il giornalista. Una vita quasi monacale quella dell’ingegnere-filosofo-inventore: non beve, non fuma, segue una dieta ferrea. Totalmente concentrato nella sua missione: scoprire e creare.

tesla

Dopo un paio di domande, Tesla spiazza il suo intervistatore con una frase: “C’è una netta differenza tra progresso e tecnologia. Il progresso fornisce benefici all’umanità. La tecnologia non necessariamente”. Quindi inizia a parlare, spiegando a Kennedy la sua visione di un mondo futuro: “Quando la telefonia senza fili sarà perfettamente applicata, l’intera Terra si trasformerà in un enorme cervello, quale di fatto è, e tutte le cose saranno parte di un intero reale e pulsante. Saremo in grado di comunicare l’uno con l’altro in modo istantaneo, indipendentemente dalla distanza. Non solo, ma attraverso la televisione e la telefonia riusciremo a vederci e sentirci esattamente come se ci trovassimo faccia a faccia, anche se lontani migliaia di chilometri; e gli strumenti che ci permetteranno di fare ciò saranno incredibilmente semplici, in confronto al telefono che usiamo ora. Un uomo sarà capace di tenerli nel taschino del gilet”.

Con queste poche parole, l’inventore ha anticipato di quasi un secolo tutta la tecnologia che oggi ci sembra tanto banale possedere: smartphone, internet, la rete wireless, Face Time e le altre centinaia di app che utilizziamo tutti i giorni. E lo ha fatto nel 1926. Ma il suo nome non appare sui libri di storia.

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Matteo Renzi stretto tra Mosca e Washington sceglie la battuta: “Con la Nato volevamo invadere la Russia”

Per Matteo Renzi il bilaterale con Barack Obama martedì prossimo alla Casa Bianca avrebbe dovuto essere una sorta di marcia trionfale verso il Consiglio europeo del 20 ottobre. Da Washington il premier conta di arrivarci carico di endorsement americano sulla flessibilità, sulla crescita e sulla crisi dei migranti, nonché forte del sostegno di Barack Obama, che ha deciso di dedicare all’Italia l’ultimo bilaterale della sua presidenza. Invece l’appuntamento si sta facendo difficile. Soprattutto dopo la conferma da parte del segretario della Nato Jens Stoltenberg dell’invio di soldati italiani al confine fra la Lettonia e la Russia: notizia decisa al vertice di Varsavia quest’estate, già nota, ma spiegata oggi da Stoltenberg in un’intervista a La Stampa. Ora l’incontro alla Casa Bianca cade in una fase di rapporti al minimo e di massima tensione tra Mosca e l’Occidente, con l’Italia in imbarazzo a gestire un delicatissimo equilibrio, compromesso anche dall’indagine dell’Fbi sul presunto ruolo di Mosca dietro lo scandalo delle mail che ha coinvolto Hillary Clinton.

È per questo che oggi al Colle, al consueto pranzo con il presidente Sergio Mattarella che precede il Consiglio europeo, Renzi ha fatto ricorso all’arma di riserva: fare una battuta per tentare di sdrammatizzare la tensione creatasi con Mosca. “Si stava progettando il piano di invasione della Russia…”, ha detto arrivando al Quirinale. Non è un caso che la battuta sia trapelata fino ai media: scientemente, per sciogliere il gelo con Mosca che nel pomeriggio aveva commentato lapidariamentre tramite il ministero degli Esteri: “La politica della Nato è distruttiva. L’Alleanza è impegnata nella costruzione di nuove linee di divisione in Europa invece che di profonde e solide relazioni di buon vicinato”.

Il pranzo al Quirinale non è andato oltre la battuta di Renzi sul caso Nato-Russia. Si è concentrato invece sui temi del Consiglio europeo della settimana prossima: dall’immigrazione al trattato commerciale con gli Usa e – questo sì – i rapporti tra Usa e Ue, partendo dall’assunto che ieri lo stesso Mattarella ha ritenuto opportuno sottolineare alla celebrazione del 50esimo anniversario della Nato Defense College in Italia. E cioè che “la via del dialogo rimane centrale, no ad una nuova guerra fredda”.

Ma il caso diplomatico si è creato comunque. Ed è a questo punto che il ministro Paolo Gentiloni si affretta a precisare: l’invio dei militari italiani non deve essere considerato un’aggressione verso Mosca, “ma una politica di rassicurazione e difesa dei nostri confini come Alleanza Atlantica”. Si tratta solo di “140 soldati”, dice il titolare della Farnesina. “L’Italia ha dato la disponibilità per fornire una compagnia con numeri non molto consistenti all’interno di una organizzazione che prevede il coinvolgimento di moltissime nazioni della Nato. Noi, in questo contesto, saremo con i nostri militari in Lettonia”, sottolinea pure il ministro della Difesa, Roberta Pinotti, che tra l’altro non ha partecipato al pranzo al Colle “perché i temi trattati non erano di competenza del ministero”, fanno sapere dal suo entourage.

Ad ogni modo, l’incendio non si spegne. Il clima è troppo incandescente anche a livello di dibattito interno. Prende parola persino l’ex premier Enrico Letta, di solito più schivo e invece stavolta con “più di un dubbio” sulle mosse atlantiche.

Quello di Letta è un carico da 90 che appesantisce un clima già infuocato dagli attacchi dell’opposizione. Beppe Grillo: “Renzi e Napolitano ci trascinano verso la guerra”. E ancora: “La Russia è un partner essenziale non un nemico”. Su Twitter il M5s lancia l’hashtag #vogliolapace. Erasmo Palazzotto, componente di Sinistra Italiana in commissione Esteri alla Camera, considera “uno scandalo che si parli dell’invio dei militari italiani dando per scontata la ratifica del Parlamento quando il Parlamento non ne ha nemmeno discusso”. Renato Brunetta di Forza Italia: “No ad una nuova guerra fredda. Il governo riferisca in Parlamento”. Matteo Salvini della Lega: “Una follia anti-russa. Chi fa prove di guerra con la Russia e’ matto o e’ in malafede. Armi e soldati usiamoli contro l’Isis, non contro chi lo combatte!”

Il governo si trova stretto tra gli impegni nell’Alleanza Atlantica, la necessità di non rovinare i rapporti con Mosca e l’esigenza di non rifiutare l’abbraccio di Obama, utilissimo a Renzi in questa fase di ennesima trattativa con l’Unione Europea sui conti pubblici e anche sull’immigrazione, altro ingrediente del menu del pranzo al Quirinale. Perché Renzi spera nel sostegno di Washington anche per la crisi dei profughi. Non a caso, con Renzi alla Casa Bianca ci sarà anche Giusi Nicolini, la sindaca di Lampedusa. Non a caso alcuni giorni fa, riferendo sul prossimo Consiglio Europeo alla Camera, il premier ha ricordato: “Il presidente Obama, in un importante articolo pubblicato nei giorni scorsi, ha sottolineato la contraddizione di un mondo più prospero che mai, ma accompagnato da una inquietudine crescente”. Ad aprile il presidente Usa ha bacchettato l’Europa sui migranti: “Il mondo non ha bisogno di muri”. Un messaggio che oggi torna utile al governo di Roma, visto che Germania e Austria stanno per chiedere il prolungamento dei controlli alle frontiere.

Sui profughi Renzi si prepara a battere i pugni sul tavolo al Consiglio europeo del 20 e 21 ottobre prossimi. La richiesta è di tagliare i fondi europei ai paesi (prevalentemente dell’est) che non accolgono i migranti. E’ un’arma un po’ spuntata visto che il blocco di Visegrad (Polonia. Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria) gode di appoggi forti a Berlino e non si piegherà facilmente, come si è visto finora del resto. Ma Renzi vuole provarci ugualmente: deve, per il bene della campagna referendaria e per seminare sperando in un futuro più generoso magari l’anno prossimo dopo le elezioni in Germania, meta che appare lontanissima.

Anche per questo mercoledì a Bruxelles il capogruppo dei socialisti all’Europarlamento Gianni Pittella lancia quelli che definisce “gli Stati generali” dei progressisti insieme al leader del Labour Jeremy Corbyn, il portoghese Antonio Costa, Lady Pesc Federica Mogherini, il vicepresidente della Commissione Ue Frans Timmermans e ci sarà persino ‘l’arci-nemico’ di Renzi, Massimo D’Alema, come presidente della Feps. L’idea è cercare di seminare bene e meglio in vista delle prossime elezioni europee nel 2009.
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M5S con Grillo a bordo dei treni pendolari per dire “no” alla riforma costituzionale

Alessandro Di Battista ha messo all’asta lo scooter, che in estate lo ha portato in giro da una città all’altra per dire “no” alla riforma costituzionale. Non serve più e il ricavato andrà invece ai terremotati. Niente più moto, bensì treni regionali sui quali viaggerà il Movimento 5 Stelle per opporsi al referendum del 4 dicembre.

La campagna sui treni dei pendolari partirà a novembre e vedrà in prima linea Alessandro Di Battista, presente in tutte le tappe. “Tra una stazione e l’altra darò appuntamento ai cittadini e parlerò con loro – dice all’Adnkronos – li inviterò a salire in treno con noi”. Stavolta Di Battista non viaggerà ‘in solitario’, come l’estate scorsa in scooter, ma sarà affiancato dagli altri parlamentari del Movimento. Che non faranno l’intero tour, ma animeranno le piazze con comizi e iniziative, e raggiungeranno il deputato romano tra una stazione e l’altra, in base alle appartenenze regionali dei singoli.

Il piano è stato approvato dall’assemblea dei deputati, che ha anche passato in rassegna grafiche e cartellonistica. Tra una tappa e l’altra a sorpresa arriverà anche Beppe Grillo. Non è ancora noto, ma di certo non mancherà per dare lo sprint finale.

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Samsung, la Banca centrale della Corea del Sud taglia le stime del Pil a causa del flop del Galaxy Note 7

Quando il flop di un smartphone è così grande da determinare un taglio delle stime della crescita di un Paese. E’ il caso del Samsung Galaxy Note 7, il concorrente in pectore dell’iPhone 7: la sua produzione è stata bloccata due giorni fa dopo che circa un mese fa 2,5 milioni di esemplari erano stati richiamati in 10 Paesi a causa delle batterie agli ioni in litio esplose mentre il telefonino era in carica. Ora il flop intacca il Pil del Sud Corea, il Paese dove risiede il cervellone di Samsung. La Banca centrale, infatti, ha tagliato la stima del Pil per il prossimo anno, dal 2,9 al 2,8 per cento.

Il gruppo Samsung pesa per il 17% sulla ricchezza del Paese sudcoreano. Dopo l’annuncio dello stop alla produzione e del ritiro degli apparecchi dal mercato, il titolo è crollato in Borsa e Samsung ha tagliato le stime di utile di oltre il 33 per cento. “Una tale débâcle non può non avere impatto sull’economia del Paese”, ha dichiarato il governatore della banca di Corea, Lee Ju-Yeol. Samsung “rappresenta una parte importante nella nostra economia e abbiamo tenuto conto dell’impatto del blocco della produzione nelle nostre previsioni”, ha aggiunto.

Chi sorride a Samsung sono le agenzie di rating. Nonostante la decisione di fermare la produzione del Galaxy Note 7, Moody’s conferma il rating A1 e l’outlook stabile grazie al solido profilo finanziario. Secondo l’agenzia di rating, i costi dello stop alla produzione e del ritiro degli apparecchi presenti sul mercato possono salire da un trilione di won a 1,5 (da 900 milioni a 1,4 miliardi di dollari), ma restano sostanzialmente “gestibili”.

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Mediaset presenta un ricorso contro Vivendi: “Sequestrare il 3,5% delle azioni dei francesi”. Il titolo ko in Borsa

Mediaset stringe nella battaglia giudiziaria contro Vivendi per portare il gruppo francese a onorare il contratto per l’acquisto di Premium. Secondo quanto appreso dall’ANSA, il Biscione ha depositato una richiesta di sequestro di azioni proprie di Vivendi pari al 3,5% del capitale (dal valore di circa 820 milioni), cioè la quota che le parti si sarebbero dovute scambiare: il Tribunale di Milano ha fissato la prima udienza sull’istanza cautelare per il prossimo 8 novembre, mentre al momento le cause per danni intentate da Mediaset e Fininvest rimangono in calendario il 21 marzo 2017.

Di fronte al giudice civile Vincenzo Perrozziello, che ha accolto la fondatezza del ricorso d’urgenza di Mediaset, le parti dovranno presentarsi e presumibilmente portare proprie memorie sulla vicenda: di fatto il Biscione prova a ‘stanare’ i francesi, che per ora tentano di cuocere lentamente una controparte che si deve occupare interamente di una società che pensava di aver già ceduto, non potendo tra l’altro compiere su di essa alcuna scelta. Formalmente la pay tv sarebbe infatti in una gestione condivisa, ma se il management Mediaset prende delle decisioni queste potrebbero venir impugnate come mancanze nel contratto di vendita.

Oggetto del contendere è ovviamente il contratto di acquisto di Premium da parte di Vivendi firmato nell’aprile scorso con uno scambio paritario del 3,5% tra le capogruppo Mediaset e Vivendi. La valorizzazione della pay tv, dalla quale sarebbe dovuto uscire il socio di minoranza Telefonica, fu superiore ai 700 milioni, ma in maggio i conti del primo trimestre di Premium evidenziarono una perdita mai emersa prima: oltre 56 milioni, che in proiezione indicava un rosso di oltre 200 milioni l’anno, pur superando la quota di due milioni di abbonati.

Ed è su questa debolezza strutturale della pay tv che in Borsa il titolo Mediaset fatica: nell’ultima seduta il Biscione ha ceduto il 4% tornando ai minimi degli ultimi due anni toccati in agosto. Dall’emersione dei contrasti con Vivendi Mediaset ha perso il 20%, dalla Brexit un terzo del suo valore. La novità delle ultime ore è che Premium, che già ha dato via libera a un aumento di capitale per ripianare le perdite, potrebbe fortemente rivedere il suo perimetro. In che modo non è ben chiaro, ma gli analisti pensano ovviamente a un forte taglio dei costi.

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