Renzi reloaded: al Lingotto i vecchi cavalli di battaglia contro l’austerity e l’euroburocrazia

“Per anni una parte delle elite dell’Italia ha usato l’Europa per convincere gli italiani a fare riforme che altrimenti non avrebbero voluto fare. Ci sono stati premier che andavano in Europa con la giustificazione, come a scuola, premier tecnici animati da sentimento antipatriottico e antitaliano. Dicevano: ‘Ce lo chiede l’Europa’. Quella stagione ha migliorato forse i conti pubblici, forse. Ma ha disintegrato l’idea di Europa dei padri fondatori. Alla celebrazione del Trattato di Roma il 25 marzo dobbiamo mettere da parte quella stagione!”. Matteo Renzi è tornato. Ritrova i vecchi cavalli di battaglia contro l’austerity, contro i tecnici italiani (alla Mario Monti, per dire) e i burocrati europei. Ritrova ritmo e verve. La platea del Lingotto si scatena, ritrova il suo Renzi: senza grandi novità, non più il leader nuovo del 2013 ma con un inedito effetto rassicurante. “Io ci sono”. “Anche noi”, gli urlano dalla platea.

L’abito istituzionale di quando era premier e cravatta scura. Quando arriva con il ‘promesso’ vice-segretario Maurizio Martina sotto il palco del Padiglione 1 si scatena il delirio. “Voglio solo guardarlo!”, una signora sgomita nella folla. Lui raggiunge una postazione laterale e in mezzo al capannello di stampa e fans si mette serio a cantare l’inno nazionale. La tre-giorni di presentazione della candidatura alle primarie Dem del 30 aprile ha ufficialmente inizio.

Circa duemila persone presenti, “non ce ne aspettavamo così tante al primo giorno”, si sbalordisce il senatore renziano Andrea Marcucci. “Lingotto 2017”, recitano i maxi-schermi allestiti dai creativi pugliesi di Proforma, in rigoroso verde speranza: ne serve tanta, dopo la sconfitta al referendum, il calo, l’inchiesta Consip, gli attacchi, i veleni. “Tornare a casa per ripartire”, lo slogan: perché qui dieci anni fa è partito Walter Veltroni e il suo Pd. Veltroni oggi non c’è, ma questa platea ha delle similitudini con la sua. Anche se, come dice Renzi, “da allora i tempi sono cambiati: allora con il telefonino si telefonava, adesso è la decima cosa che si fa con quell’aggeggio…”. Ecco, ma senza andare per il sottile tra le sedie sistemate in mezzo alle piccole aule dei gruppi di lavoro, si notano le similitudini con il 2007: c’erano le suore allora per Walter, ce n’è una anche ora per Matteo. “Le porta Stefano Lepri, senatore cattolico torinese del Pd famoso per ‘il voto delle suore’”, ti dicono dal Pd. Curiosità.

C’è Sergio Chiamparino: “Il mio è un sostegno non acritico”, ci tiene a specificare mentre cerca di capire dove sedersi: non ci sono prime file riservate, sedia libera. C’è Piero Fassino, ci sono i parlamentari renzianissimi, come Francesco Bonifazi che sta un po’ nel backstage con Renzi, un po’ fuori. Ci sono i franceschiniani Francesco Garofani ed Emanuele Fiano, in prima fila anche l’ex lettiano Francesco Sanna. C’è Vincenzo De Luca: unico governatore del sud presente. Niente governo: non ancora, oggi c’è consiglio dei ministri a Roma. Gentiloni e i ministri del Pd, compreso Padoan, arriveranno tra domani e domenica.

“Io ci sono!”, urla ancora Renzi mentre chiude un intervento di apertura che non doveva esserci, almeno fino a ieri, ma che poi dura un’ora buona. Sembra abbia qualche kilo in meno. I sondaggi che lo danno al 63 per cento alle primarie lo hanno rinvigorito: “Un uomo si vede da come indossa le cicatrici”. Niente a che fare col tono opaco della kermesse con gli amministratori locali del Pd a Rimini a fine gennaio: era ancora pieno inverno, qui a Torino oggi la massima è 20 gradi.

“Dobbiamo togliere alla burocrazia la gestione dell’Ue, dobbiamo rimettere al centro la democrazia. L’Italia dovrà impegnarsi per l’elezione diretta del presidente della Commissione Ue. E’ un obiettivo di medio periodo, non sarà per le prossime elezioni ma dobbiamo chiedere primarie transnazionali!”. Non è un’idea nuova, Renzi l’ha accarezzata già alle europee del 2014, ma oggi al Lingotto suona bene: la vecchia e cara Europa, utile in tante battaglie.

Europa e M5s. “Sono passati dall’alleanza con l’anti-Ue Farage a quella con l’ultra-europeista Verhofstadt solo per piazzarsi!”. Qui la platea va in visibilio più che sulle primarie europee. Europa e Pd. “Il doppio ruolo di segretario e premier non è solo una norma dello statuto del Pd, non è solo un’ambizione ma è così in tutt’Europa: Merkel, Schroeder, Blair, Zapatero… Se non fossi stato anche segretario del Pd, non avrei vinto sulla flessibilità: è successo perché dietro avevo il consenso al 41 per cento!”.

Nessuna polemica diretta con gli avversari Pd. Anzi: “in bocca al lupo a Orlando ed Emiliano”. Nessun attacco diretto nemmeno agli scissionisti. “Non siamo contro qualcuno, ma per qualcosa”. Renzi fa l’inclusivo: “Dobbiamo restistuire senso alla parola ‘compagno’”. Annuncia la nuova scuola di formazione politica diretta dallo psicanalista Massimo Recalcati, porge un “saluto” cortese alla sindaca di Torino Chiara Appendino. Il resto è contro “l’antipolitica” tutta.

Quella del “populista che va nei talk show”, ma anche “del tecnocrate che fa tutto al chiuso dei Palazzi” e “del burocrate del ministero che fa a meno del ministro perché il governo passa e lui resta”. Applausi: la vecchia bestia della burocrazia da abbattere, che tre anni di governo non sono bastati, miete ancora successo. Almeno qui al Lingotto.

Qui c’è il Pd che forse non comprende fino in fondo cos’è questa “piattaforma Bob” che il leader lancia in onore di Kennedy e in risposta alla Rousseau del M5s. Ma è un pubblico che si scalda quando lo sente attaccare il reddito di cittadinanza: “Noi vogliamo una repubblica fondata sul lavoro non sull’assistenzialismo!”. Il leader evita la formula confusa del ‘lavoro di cittadinanza’, usata in diverse interviste, mai meglio specificata, a rischio trappola insomma. Cita Veltroni che a sua volta citò lo svedese Olof Palme: “Bisogna combattere la povertà non la ricchezza”.

Colonna sonora che parte dall’elettronica di Kruder & Dorfmeister, ma poi si arrende a Claudio Baglioni. L’età media è alta al Lingotto. “Sono i problemi della sinistra…”, allarga le braccia Marcucci. “Vogliamo essere eredi e non reduci”, insiste Renzi. “L’Italia dei prossimi dieci anni riparte da Bruxelles”. Sul palco sale l’alleato Joseph Muscat, il premier maltese che parla italiano: “Vi auguro tanta sete di governo…”. Ma la folla è ancora lì impegnata a commentare il suo Renzi: che non regala più il brivido dell’imprevisto come il rottamatore del 2013, ma dà sollievo ad una platea spossata dal 4 dicembre.
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